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tendo i riccioli – se continui a dire delle sciocchezze.

Ma avevo l’aspetto così grave che Dora cessò dallo scuotere i riccioli, e, mettendomi una manina sulla spalla, prima mi guardò sgomenta e ansiosa, poi cominciò a piangere. Che cosa terribile! Caddi in ginocchio innanzi al canapè, carezzandola, e supplicandola di non lacerar-mi il cuore; ma, per qualche tempo, la povera piccola Dora non fece che esclamare: «Oh Dio! Oh Dio!» E

«Ho tanta paura!» E «Dov’è Giulia Mills?» E «Oh, conducimi da Giulia Mills!» E «Vattene, per favore!», tanto che io ero fuor di me.

Finalmente, dopo molti scongiuri e molte proteste, riuscii a farmi guardare in faccia da Dora. Ella era ancora spaurita, ma gradatamente la consolai, finché il suo viso non ebbe un’espressione di tenerezza e la sua morbida e leggiadra guancia non si posò contro la mia. Allora le dissi, tenendola stretta fra le braccia, quanto io le volessi bene, con quanta forza e con quanto ardore; come mi sembrasse giusto liberarla dalla sua promessa, perché ero diventato povero; come non avrei potuto sopportare l’idea di perderla; come non temessi la povertà, se neppur lei la temeva, fidando nella forza del mio braccio e del mio cuore ispirato da lei; come già lavorassi con un coraggio che nessun innamorato aveva mai conosciuto; come avessi cominciato ad esser pratico e a pensare al-l’avvenire; come un tozzo di pane guadagnato col sudore della fronte fosse più dolce d’un banchetto imbandito 959

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per diritto ereditario; e tante altre cose dello stesso genere, dette in un impeto di calorosa eloquenza della quale fui meravigliato io stesso, benché ci avessi pensato giorno e notte, fin dal momento che mia zia m’aveva fatto la sorpresa del suo arrivo.

– Il tuo cuore è sempre mio, cara Dora! – dissi, deliran-te, perché dall’energia con la quale ella mi si stringeva sapevo che era ancor mio.

– Oh, sì! – esclamò Dora. – Sì, è tutto tuo, ma non mi far paura!

– Io farti paura! Dora!

– Non parlare di povertà, e di lavoro penoso! – disse Dora, stringendomisi più da presso. – Per carità! Per carità!

– Amor mio dolce – dissi – il tozzo di pane guadagnato col sudo...

– Oh, sì! Ma io non voglio sentir più parlare di tozzi di pane! – disse Dora. – E Jip deve avere tutti i giorni alle dodici una costoletta di castrato. Se no, morrebbe.

Io ero sotto il fascino della grazia delle sue maniere infantili. Spiegai teneramente a Dora che Jip avrebbe avuto la sua costoletta di castrato con la consueta puntualità. Tratteggiai il quadro della nostra frugale vita avvenire, resa indipendente dal mio lavoro – tenendo a modello la casetta visitata a Highgate e confinando mia zia 960

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nella camera superiore.

– Sono terribile adesso, Dora? – dissi con gran tenerezza.

– Oh, no, no! – esclamò Dora. – Ma spero che tua zia si tratterrà molto in camera sua. E spero che non sarà una vecchia brontolona.

Se mi fosse stato possibile voler più bene a Dora di quanto le volessi, son certo che gliel’avrei voluto. Ma sentivo che ella era un poco inaccessibile. Il mio novello ardore si attenuava nel trovare che era così difficile co-municarlesi. Feci un’altra prova. Quando si fu rimessa completamente, e stava arrotolando le orecchie di Jip, che le giaceva in grembo, io assunsi un aspetto grave, e le dissi:

– Mia cara, posso dirti una parola?

– Oh, per favore, non parlare d’esser pratico! – disse carezzevolmente Dora. – Perché mi metti paura.

– Cuor mio! – risposi. – Non c’è nulla da aver paura.

Vorrei che tu la pensassi diversamente. Vorrei darti invece coraggio.

– Oh, ma è proprio questo che mi fa paura!

– Amor mio, no. La perseveranza e l’energia del carattere ci metteranno in grado di sopportare le peggiori cose.

– Ma io non ne ho la forza – disse Dora, scotendo i riccioli. – È vero, Jip? Bacia Jip, e sorridi.

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Era impossibile rifiutare di baciare Jip, mentre me lo presentava con quello scopo, atteggiando la lucente rosea boccuccia alla forma di un bacio e dirigendo l’operazione, che volle venisse compiuta con esattezza nel centro del naso del cagnolino. Feci com’ella chiedeva, e m’ebbi dopo il compenso per la mia ubbidienza; e non so per quanto tempo non mi riuscì di riapparir grave.

– Mia Dora, mia diletta – dissi finalmente, ritrovando il mio aspetto solenne: – stavo per dirti qualche cosa.

Lo stesso giudice della Corte delle Prerogative si sarebbe innamorato di lei vedendola giungere le manine e le-varle, pregandomi e scongiurandomi di non farle più paura.

– Ma no, che non ti farò paura, cara! – le assicurai. – Ma Dora, amor mio, se qualche volta penserai, senza sco-raggiamenti, sai, tutt’altro; ma se qualche volta penserai, appunto per aver coraggio, che tu sei fidanzata a un giovane povero...

– No, no! Non lo dire! – esclamò Dora. – È così terribile!

– Ma no, anima mia! – dissi allegramente.

– Se tu vorrai pensare qualche volta a questo, e occuparti di tanto in tanto delle faccende domestiche del tuo papà, sforzandoti di abituarti un poco... ai conti, per esempio.

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