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La povera piccola Dora accolse questo consiglio con qualche cosa che era un singhiozzo o un grido.

– ... Dopo ci sarebbe utilissimo – continuai.

– E se tu mi promettessi di leggere un po’... un po’ il Libro di cucina che io ti manderei, sarebbe eccellente per tutti e due. Perché la nostra via nella vita, mia cara Dora

– dissi, infervorandomi del soggetto – è piena ora di sassi e di triboli, e toccherà a noi spianarla. Noi dobbiamo lottare per andare innanzi. Noi dobbiamo lottare valoro-samente. Vi sono ostacoli da affrontare, e li affrontere-mo, e li supereremo!

Continuavo sempre con maggior calore, col pugno chiuso e il volto pieno di entusiasmo; ma era inutile andare innanzi. Avevo detto abbastanza. Il bel risultato che avevo ottenuto! Oh, lei aveva tanta paura! Oh, dov’era Giulia Mills? O perché non la conducevo da Giulia Mills, e perché non me n’andavo via, per favore? Di guisa che, in breve, ero assolutamente fuori di me, e dicevo delle cose pazze aggirandomi per il salotto.

Quasi mi parve d’averla ammazzata. Le spruzzai dell’acqua in viso. M’inginocchiai, mi mise le mani nei capelli, mi chiamai bruto spietato e crudelissima bestia. Le implorai di perdonarmi. La supplicai di levar su gli occhi. Sconvolsi la cassetta da lavoro della signorina Mills in cerca d’una boccettina d’odore, e nel mio disperato scompiglio mentale m’aggrappai a un agoraio d’avorio 963

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e lo vuotai sul volto di Dora. Mostrai il pugno a Jip, che era più frenetico di me. Commisi tutte le stravaganze possibili ed impossibili, ed ero già al colmo della disperazione, quando la signorina Mills fece il suo ingresso nel salotto.

– Che è stato? – esclamò la signorina Mills, soccor-rendo l’amica.

Risposi: «Io, Signorina Mills. Sono stato io! Guardate il colpevole!» e altre parole simili, e mi nascosi il viso nel guanciale del canapè.

Prima la signorina Mills pensò che ci fossimo bistic-ciati, e che fossimo arrivati sull’orlo del deserto di Sahara; ma presto comprese lo stato delle cose, perché la mia dolce ed affettuosa Dora, abbracciandola, cominciò a dire che io ero un «povero lavoratore»; e poi pianse sulla mia sorte, e mi abbracciò, e mi chiese di conser-varle tutto il suo denaro, e poi s’abbandonò sul collo della signorina Mills, singhiozzando come se il suo cuoricino si fosse infranto.

La signorina Mills forse era nata per la nostra felicità.

Ella volle sapere da me in poche parole di che si trattasse, consolò Dora, e gradatamente le fece capire che io non ero un lavoratore – dalla mia maniera di parlare credo che Dora avesse concluso che fossi un marinaio, e salissi e scendessi lungo una passerella tutto il giorno –

e così ci fece far la pace. Quando ci fummo completa-964

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mente rimessi, e Dora andò su a spruzzarsi un po’ d’acqua di rosa sugli occhi, la signorina Mills fece servire il tè. Nell’intervallo che seguì, dissi alla signorina Mills che ella era più che mai mia amica, e che il mio cuore doveva cessare di battere, prima che potessi dimenticare la sua simpatia.

Allora esposi alla signorina Mills tutto ciò che invano mi ero sforzato di esporre a Dora. La signorina Mills osservò, parlando in generale, che la Capanna della Mode-razione era migliore del Palazzo del freddo Splendore, e che dove c’era l’amore, c’era tutto.

Io dissi alla signorina Mills che questo era verissimo; e chi più di me, che volevo bene a Dora come nessun mortale mai aveva voluto bene alla sua fiamma, poteva esserne persuaso? Ma siccome la signorina Mills osservò, incredula, che sarebbe stato meglio per alcuni cuori se così fosse stato, aggiunsi che mi permettesse di limitare la osservazione ai mortali di genere maschile.

Allora lasciai che la signorina Mills dicesse se fosse saggio o no il consiglio da me dato intorno alle faccende domestiche e allo studio del Libro di cucina.

La signorina Mills, dopo aver meditato un poco, rispose così:

– Signor Copperfield, io con voi sarò sincera. Le sofferenze mentali e le prove da me sopportate sopperiscono in qualche modo alla scarsezza di anni, e io vi parlerò 965

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con la serietà e la sincerità di una Madre abbadessa. No.

Il consiglio non è adatto alla nostra Dora. Ella è un’anima di luce, di trasparenza, di gioia. Dico francamente che se la cosa fosse possibile, sarebbe forse meglio, ma... – e la signorina Mills scosse il capo.

Io mi sentii incoraggiato da quella concessione finale da parte della signorina Mills per chiederle, per amor di Dora, se dato che le si presentasse l’occasione di allet-tarla a qualche esperimento di vita pratica di quel genere, non fosse disposta a incoraggiarla. La signorina Mills rispose di sì con tanta prontezza, che io le chiesi inoltre se ella volesse accettar la custodia del Libro di cucina; e se, potendo indurre Dora ad accettarlo senza paura, fosse disposta a farmi quel segnalato favore. La signorina Mills accettò anche quell’incarico senza troppa fiducia di riuscire.

E Dora ritornò con viso così amabile, che in verità dubitai se fosse lecito turbarla con simili inezie volgari. Ed ella mi voleva tanto bene, ed era così affascinante (specialmente quando faceva star Jip ritto sulle gambe posteriori per dargli un crostino, e quando fingeva di pre-mergli il naso contro la teiera calda per punirlo di non voler star ritto) che mi considerai, per averla impaurita e fatta piangere, come una specie di mostro entrato nel nido d’una fata.

Dopo il te, avemmo un po’ di trattenimento con la chitarra; e Dora cantò quelle ariette francesi che parlavano 966

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della impossibilità di mai lasciar di danzare, tra la ra, tra la ra, e mi sentii un mostro maggiore di prima.

Una sola nube offuscò il nostro piacere, poco prima che mi congedassi. La signorina Mills alluse non so come al giorno appresso, e io mi feci disgraziatamente scappare che allora, costretto a darmi da fare, ero già in piedi alle cinque. Non so dire se Dora pensasse che fossi un sor-vegliante notturno; ma la cosa le fece una grande impressione, ed ella non suonò né cantò più.

Pensava ancora a questo quando le dissi addio; e mi raccomandò, nel suo tono vezzoso di carezza, come ad una bambola, pensai:

– Non t’alzare più alle cinque, cattivo. È una pazzia.

– Amor mio – le dissi – ho tanto da lavorare.

– Ma non lavorare! – disse Dora. – Perché devi lavorare?

Era impossibile, a quel dolce viso sorpreso, dir altrimenti che in tono di scherzo che si deve lavorare per vivere.

– Oh, che ridicolaggine! – esclamò Dora.

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