"Unleash your creativity and unlock your potential with MsgBrains.Com - the innovative platform for nurturing your intellect." » » David Copperfield- Charles Dickens-eBook online free

Add to favorite David Copperfield- Charles Dickens-eBook online free

Select the language in which you want the text you are reading to be translated, then select the words you don't know with the cursor to get the translation above the selected word!




Go to page:
Text Size:

Io le volevo sempre bene. I sentimenti che qui ritraggo sonnecchiavano, e si svegliavano appena e si riaddor-mentavano nei più intimi recessi dell’anima. Non avevano alcuna evidenza in me; non avevano alcuna influenza in nulla che io dicessi o facessi. Portavo io il peso di tutte le nostre piccole cure e di tutti i miei progetti; Dora teneva le penne; e sentivamo entrambi che le nostre parti erano divise nel modo imposto dalle circostanze. Ella mi voleva veramente bene ed era orgogliosa di me; e quando Agnese scriveva poche calde parole nelle sue lettere a Dora, sul piacere e l’interesse coi quali i miei vecchi amici seguivano lo svolgersi della mia crescente fama, e leggevano il mio libro come sentendone dalla mia viva voce il contenuto, Dora le leggeva con lagrime di gioia nei fulgidi occhi, e diceva che io ero il suo caro e illustre maritino.

«Il primo erroneo impulso d’un cuore indisciplinato.» In 1242

Charles Dickens David Copperfield

quel tempo, mi tornavano in mente queste parole della signora Strong: m’erano sempre presenti. Spesso mi svegliavo la notte con quelle parole in cuore: ricordo d’averle lette, nei sogni, scritte sui muri delle case.

Giacché m’ero accorto che anche il mio cuore era indisciplinato la prima volta che s’era acceso di Dora; e che se fosse stato disciplinato non avrebbe potuto sentire, dopo il matrimonio, ciò che sentiva nelle sue segrete prove.

«Non v’è peggiore disparità nel matrimonio del disaccordo in fatto di carattere e di idee». Neppure queste parole avevo dimenticate. M’ero sforzato di adattare Dora a me, e non c’ero riuscito. Non mi rimaneva che d’adattare me a Dora, di dividere con lei ciò che potevo, ed esserne soddisfatto; di portare sulle sole mie spalle tutto il carico che potevo e d’esserne soddisfatto. Questa era la disciplina alla quale tentai d’assoggettare il mio cuore, quando cominciai a pensare. E così il secondo anno fu molto più felice del primo; e, quel che è più, la vita di Dora fu tutta un raggio di sole.

Ma quell’anno non rafforzò la fibra di Dora. Avevo sperato che delle mani più delicate delle mie sarebbero venute ad aiutarmi a modellarle il carattere e che il sorriso d’un bimbo avrebbe mutato in donna mia moglie-bimba.

Invano. Lo spirito ondeggiò un momento sulla soglia della sua piccola prigione, e, ignaro di quella cattività, mise le ali.

1243

Charles Dickens David Copperfield

– Quando potrò correre di nuovo come prima, zia –

diceva Dora – farò correre Jip. Sta diventando pesante e pigro.

– Credo, mia cara – disse mia zia, lavorando tranquillamente accanto a lei – che abbia una malattia più grave della pigrizia. Son gli anni, Dora.

– Credete che sia vecchio? – disse Dora, stupita. – Mi sembra strano che Jip possa esser vecchio.

– È un inconveniente al quale tutti siamo soggetti, piccina, a misura che andiamo innanzi nella vita – disse mia zia, allegramente. – Io ne risento molto più di prima, te ne assicuro.

– Ma Jip – disse Dora, dandogli uno sguardo di compassione – anche il piccolo Jip! Oh, poverino!

– Spero che vivrà ancora a lungo, Fiorellino – disse mia zia carezzando sulla guancia Dora, che s’era sporta sull’orlo del canapè per guardar Jip, il quale rispose levandosi sulle zampe di dietro, e sforzandosi, nonostante l’asma, d’arrampicarsi sulla padroncina. – Quest’inverno farò foderare con la flanella la sua casetta, e son certa che la primavera prossima ne verrà fuori più fresco che mai, come i fiori. Maledetto cane! – esclamò mia zia. –

Se avesse più vite d’un gatto e fosse sul punto di perder-le tutte, credo che userebbe il suo ultimo respiro ad abbaiarmi contro!

Dora lo aveva aiutato a salire sul canapè; e di lì esso 1244

Charles Dickens David Copperfield

abbaiava contro mia zia con tanta forza, che non poteva tenersi ritto e si doveva sgolare di sbieco. Più mia zia lo guardava, e più esso s’infuriava; giacché lei aveva da poco adottato gli occhiali, e Jip, chi sa per quale imper-scrutabile ragione, considerava gli occhiali un’offesa assolutamente personale.

Dora lo fece accucciare accanto a lei, a forza di persuasione; e quando l’ebbe acchetato, gli tirò un orecchio a traverso la testa, ripetendo pensosa: «Anche il piccolo Jip! Oh, poverino!»

– I suoi polmoni sono abbastanza buoni – disse allegramente mia zia – e le sue antipatie son sempre forti. Ha ancora molti anni innanzi a sé, certo. Ma se tu vuoi un cane con cui correre, Fiorellino, Jip non ti potrà servire più. Te ne darò io un altro.

– Grazie, zia – disse debolmente Dora – ma non lo vorrei.

– No? – disse mia zia, togliendosi gli occhiali.

– Non voglio altro cane che non sia Jip – disse Dora. –

Sarebbe fare un torto a Jip. E poi non potrei voler bene a un altro cane che non fosse Jip; perché non mi avrebbe conosciuto prima che mi maritassi, non avrebbe abbaiato a Doady la prima volta che venne a casa. Temo, zia, che non saprei voler bene a un altro cane.

– Certo – disse mia zia, carezzandole di nuovo la guancia. – Tu hai ragione.

1245

Charles Dickens David Copperfield

– Voi non vi siete offesa – disse Dora: – vero?

– Ma che, piccola sensitiva! – esclamò mia zia, chinandosi affettuosamente su di lei. – Pensare che io possa of-fendermene!

– No, no, non pensavo veramente così – rispose Dora –

ma io sono un po’ stanca, e quando sono stanca divento sciocca... sapete, son sempre un po’ sciocca; ma parlando di Jip divento più sciocca ancora. Esso m’ha conosciuta in tutto ciò che m’è accaduto, non è vero, Jip? E

non potrei metterlo da parte, ora che è mutato... non è vero, Jip?

Jip pareva s’annidasse nella padroncina, e le leccava dolcemente la mano.

– Tu non sei così vecchio, Jip, da abbandonare la tua padrona! – disse Dora. – Noi possiamo farci compagnia ancora un poco.

La mia leggiadra Dora! Quando venne giù a desinare la domenica seguente, e si mostrò così lieta di vedere il caro Traddles (che desinava sempre con noi la domenica), noi pensammo che si sarebbe messa a correre come prima, fra pochi giorni. Ma ci si diceva: «Aspettate altri pochi giorni», e ancora: «Aspettate altri pochi giorni»; ma ella non correva più, né passeggiava. Aveva sempre un aspetto leggiadro e gioioso; ma i piedini, che solevano danzare così agilmente intorno a Jip, rimanevano immobili.

1246

Charles Dickens David Copperfield

Cominciai a portarla da basso ogni mattina, e di sopra ogni sera. Essa mi s’abbrancava al collo, e rideva intanto, come se lo facessi per una scommessa. Jip abbaiava e saltellava d’intorno, e andava innanzi, e si voltava sul pianerottolo, anelante, per vedere se andavamo su. Mia zia, la migliore e la più allegra delle infermiere, ci seguiva, semovente massa di scialli e di guanciali. Il signor Dick non avrebbe ceduto ad anima viva la candela accesa che portava in mano. Traddles rimaneva spesso in fondo alla scala, guardando in su e assumendosi l’incarico dei lieti saluti di Dora alla più cara ragazza del mondo. Noi formavamo veramente una lieta processione, e mia moglie-bimba vi appariva la più lieta di tutti.

Ma, a volte, quando me la prendevo fra le braccia e la sentivo sempre più leggera, m’invadeva un’indescrivibile tristezza, come se mi avvicinassi a una ignota regione glaciale che m’intirizziva la vita. Evitavo di definire questo sentimento, e cercavo di nasconderlo a me stesso, finché una sera, che m’incombeva più uggioso, dopo aver sentito mia zia gridare il saluto d’addio: «Buona sera, Fiorellino», sedetti al tavolino, e piansi pensando:

«Oh, che nome fatale, e come il fiore appassisce sul suo stelo!»

1247

Charles Dickens David Copperfield

XLIX.

UN MISTERO

Ricevei una mattina per posta, datata da Canterbury e indirizzata al Doctor’s Commons, la seguente lettera che lessi con una certa sorpresa.

«Mio caro signore,

«Circostanze indipendenti dalla mia volontà hanno, per un considerevole lasso di tempo, rotto un’intimità che quelle rare occasioni, datemi dai miei doveri professionali, di contemplare le scene e gli eventi del passato, co-loriti dalle prismatiche sfumature della memoria, m’ha sempre largito, come sempre deve continuare a largirmi, dolci commozioni di non comune natura. Questo fatto, mio caro signore, congiunto con la segnalata dignità che i vostri meriti vi hanno conquistata, mi vieta dal presu-mere di aspirare alla libertà di rivolgermi al compagno della mia giovinezza con l’appellativo familiare di Copperfield! È sufficiente sapere che il nome al quale in questo momento ho l’onore di riferirmi sarà sempre pre-ziosamente custodito fra i monumenti della nostra casa (alludo agli archivi relativi ai nostri antichi pensionanti, conservati dalla signora Micawber) con sentimenti di stima personale che sono di sincera affezione.

Are sens