– Signora – rispose il signor Micawber – sono come dei conti e delle cambiali.
– E questo signorino – disse mia zia, meditabonda – che cosa sa fare?
– Era mia speranza, quando venni qui – disse il signor Micawber – di fare entrare Wilkins nella Chiesa: o forse mi farei comprendere meglio, dicendo nel Coro. Ma non era vacante un posto nella venerabile mole per la quale questa città è giustamente famosa; ed egli ha... egli ha contratto l’abitudine di cantare nei caffè piuttosto che nei sacri edifici.
– Ma le sue intenzioni sono ottime – disse teneramente la signora Micawber.
– Forse, amor mio – soggiunse il signor Micawber – le sue intenzioni sono ottime; ma non veggo ancora che le sappia esprimere e volgere a una meta qualsiasi.
La tetraggine apparve di nuovo nel viso del signorino Micawber, ed egli domandò, con qualche risentimento, che dovesse fare. Era nato falegname, forse, o verni-ciatore? Poteva andare giù al cantone ad aprire una far-macia? O presentarsi alle prossime assise, e proclamarsi avvocato? O forse uscir a viva forza sul palcoscenico dell’opera e riuscire con la violenza? Che cosa poteva fare, se non gli era stato insegnato nulla?
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Mia zia rifletté un poco, e poi disse:
– Signor Micawber, io mi meraviglio perché non abbiate mai pensato ad emigrare.
– Signora – rispose il signor Micawber – è stato il sogno della mia giovinezza e la fallace aspirazione della mia maturità.
Io son perfettamente persuaso invece che egli non ci avesse pensato mai.
– Sì? – disse mia zia, dandomi un’occhiata.
– E allora non sarebbe questa per voi e la vostra famiglia, signore e signora Micawber, l’occasione per emigrare?
– E le spese, signora, le spese? – disse il signor Micawber, melanconicamente.
– Questa è la principale, forse la sola difficoltà, mio caro signor Copperfield – suggerì la moglie.
– Le spese! – esclamò mia zia. – Ma voi ci state rendendo un gran servizio... ci avete reso un gran servizio, perché molto, certamente, verrà fuori dal fuoco... e quale cosa migliore potremmo fare per voi che trovarvi il denaro necessario?
– Io non potrei accettarlo in dono – disse il signor Micawber pieno d’animazione e d’ardore – ma se mi si potesse anticipare una somma sufficiente, al cinque per cento d’interesse all’anno, dietro la mia obbligazione 1356
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personale... cioè dietro dei miei chirografi a scadenza rispettiva di dodici, diciotto e ventiquattro mesi, per dar tempo al tempo, e far sì che la carta cambi...
– Se vi si potesse? Può essere e sarà, alle condizioni da voi stabilite, se volete – rispose mia zia. – Pensateci tutti e due. Ci son degli amici di Davide che fra breve parto-no per l’Australia. Se decidete di partire, potreste andare insieme, ed aiutarvi a vicenda. Rifletteteci, signore e signora Micawber. Prendete un po’ di tempo, e ponderate bene tutto.
– Ve una sola domanda che vorrei farvi, mia cara signora – disse la signora Micawber. – Il clima, com’è? È salubre?
– Il più salubre del mondo – disse mia zia.
– Se è così – rispose la signora Micawber – si presenta un’altra domanda. Sono le circostanze del paese tali da permettere a un uomo che abbia le qualità di mio marito la fondata speranza di salire nella scala sociale? Io non dico ora che debba poter aspirare a esser governatore o qualche cosa della stessa specie; ma si può ragionevolmente sperare... questo basterebbe... che il suo ingegno si sviluppi fino al punto della sua maggiore espansione?
– In nessun’altra parte ci sarebbe una speranza più fondata – disse mia zia – per un uomo che si comporti a modo e sia industrioso.
– Per un uomo che si comporti a modo – ripeté la signo-1357
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ra Micawber, con l’atteggiamento d’una persona d’affari
– e sia industrioso. Precisamente. È chiaro che l’Australia è la legittima sfera d’azione di mio marito.
– Io son persuaso, cara signora – disse il signor Micawber – che l’Australia è, nelle circostanze attuali, il paese, l’unico paese che si confaccia a me e alla mia famiglia; e che qualche cosa di straordinario avverrà su quelle sponde. Non è distante... comparativamente parlando; e benché sia giusto riflettere, per ubbidire al vostro desiderio, vi assicuro che è una semplice questione di forma.
Dimenticherò come, dopo qualche minuto, egli divenis-se l’uomo dalle speranze più folli che pareva avesse in pugno il ciuffo della fortuna, o come la signora Micawber si mettesse subito a discorrere delle abitudini del canguro? Dimenticherò mai la strada di Canterbury in un giorno di mercato, senza ripensare all’aria di decisione che egli mostrava accompagnandoci? Egli aveva già le maniere rudi e incuranti d’un viaggiatore arrivato di lontano, e guardava i buoi che gli passavano da presso con l’occhio d’un colono australiano.
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LIII.
UN ALTRO SGUARDO AL PASSATO
Debbo sostare ancora una volta. Oh, moglie-bimba!
Nella mobile folla che s’agita innanzi alla mia memoria, v’è una figura calma e cheta, che dice, nel suo innocente amore e nella sua infantile bellezza: «Fermati un poco e pensa a me... volgi lo sguardo sul piccolo Fiorellino, che sta per appassire e cadere al suolo».
Io mi fermo. Tutto il resto s’oscura e si dilegua. Di nuovo sono con Dora nel nostro villino. Non so più da quanto tempo ella sia inferma. Son così avvezzo alla sua infermità che non conto più i giorni. Non è da molto, forse, calcolando a settimane e mesi, ma per la mia triste esperienza si tratta d’un tempo molto lungo e penoso.
Non mi si dice più: «Aspettate altri pochi giorni.» Ho cominciato segretamente a temere che forse non spunte-rà più il giorno in cui mia moglie-bimba scorrazzerà al sole con Jip, il suo vecchio compagno.
Par ch’esso sia diventato improvvisamente vecchio.