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– Cerco d’approfondire le mie cognizioni legali, signorino Copperfield – disse Uriah. – Studio la pratica di Tidd. Oh, che scrittore è Tidd, signorino Copperfield!

Dal mio sgabellino, che era una specie di torre d’osservazione, lo osservai ripigliare la lettura, dopo la sua esclamazione di entusiasmo, e seguir le righe con l’indice, mentre le narici, che aveva sottili e aguzze, con segni di scaltrezza, gli si allargavano e si contraevano in modo singolarissimo: pareva che ammiccassero invece degli occhi, che non ammiccavano mai.

– Immagino che siate già molto innanzi nella legge –

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dissi, dopo averlo guardato per qualche tempo.

– Io, signorino Copperfield? – disse Uriah.

– Oh, no. Io sono una persona modestissima.

Osservo che, riguardo alle sue mani, non avevo fantasti-cato: perché spesso si spremeva le palme l’una contro l’altra, come per asciugarsele e scaldarsele, e che se le sfregava di tanto in tanto, furtivamente, sul fazzoletto.

– So benissimo d’esser la più modesta persona al mondo

– disse Uriah Heep, umilmente – di fronte agli altri. Mia madre parimenti è una persona molto modesta. Abitia-mo in una casa modesta, signorino Copperfield; ma siamo tanto contenti. Mio padre aveva anche lui una professione modesta: era becchino.

– E ora che fa? – chiesi.

– Ora partecipa della gloria celeste, signorino Copperfield – disse Uriah Heep. – Ma dobbiamo essere contenti. Quanto son contento di stare col signor Wickfield!

Chiesi a Uriah se stesse da molto col signor Wickfield.

– Ci sto da quattro anni, signorino Copperfield – disse Uriah chiudendo il libro, dopo aver accuratamente notato il punto dove aveva interrotto la lettura. – Da un anno dopo la morte di mio padre. Come debbo esser grato per questo! Come debbo esser grato alla bontà del signor Wickfield, che mi dà dei mezzi che altrimenti non sta-rebbero nella modesta possibilità mia e di mia madre.

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– Allora, quando avrete finiti gli studi, sarete regolarmente avvocato, immagino?

– Con la benedizione della Provvidenza, signorino Copperfield – rispose Uriah.

– Forse un giorno sarete socio del signor Wickfield –

dissi per rendermigli gradito – e avremo lo studio Wickfield e Heep, o Heep successore di Wickfield.

– Oh, no, signorino Copperfield – rispose Uriah, scotendo il capo; – sono troppo modesto per tanto!

Certo egli rassomigliava in modo strano alla faccia scolpita sulla mensola fuori della mia finestra, mentre se ne stava, nella sua modestia, a guardarmi obliquamente, con la bocca spalancata e le grinze sulle guance.

– Il signor Wickfield è un’ottima persona, signorino Copperfield – disse Uriah. – Se lo conoscete da molto tempo, lo sapete, certo, meglio di me.

Risposi che n’ero sicuro; ma che io non lo conoscevo da molto tempo, benché fosse un amico di mia zia.

– Oh, veramente, signor Copperfield – disse Uriah. –

Vostra zia è un’ottima donna, signorino Copperfield.

Aveva una maniera di atteggiarsi, quando voleva esprimere l’ entusiasmo, quasi repugnante. Ascoltai distratto il complimento che egli faceva alla mia parente, per osservare le contorsioni serpentine della sua gola e del suo corpo.

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– Un’ottima donna, signorino Copperfield! – disse Uriah Heep. – Credo ch’essa abbia una grande ammirazione per la signorina Agnese, signorino Copperfield.

Dissi «Sì» con baldanza; non che ne sapessi nulla, il Cielo mi perdoni.

– Spero che l’abbiate anche voi, signorino Copperfield – disse Uriah. – Ma son certo che l’avete.

– Tutti debbono averla – risposi.

– Oh, grazie, signorino Copperfield – disse Uriah Heep – per ciò che dite. È la verità. Modesto come sono, so che è la verità. Oh, grazie, signorino Copperfield!

Nell’esaltazione del suo sentimento si contorse fino a discendere dallo sgabello; e, trovandosi in piedi, cominciò a prepararsi per andarsene a casa.

– La mamma starà aspettandomi – disse, alludendo al-l’orologio dal pallido quadrante che aveva tratto di tasca

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