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Atene e Lacedemona, che fenno

l'antiche leggi e furon sì civili, fecero al viver bene un picciol cenno verso di te, che fai tanto sottili provedimenti, ch'a mezzo novembre non giugne quel che tu d'ottobre fili.

Quante volte, del tempo che rimembre, legge, moneta, officio e costume

hai tu mutato, e rinovate membre!

E se ben ti ricordi e vedi lume,

vedrai te somigliante a quella inferma che non può trovar posa in su le piume, ma con dar volta suo dolore scherma.

CANTO VII

[Canto VII, dove si purga la quarta qualitade di coloro che, per propria negligenza, di die in die di qui all'ultimo giorno di loro vita tardaro indebitamente loro confessione; li quali si purgano in uno vallone intra fiori ed erbe; dove nomina il re Carlo e molti altri.]

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Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

Poscia che l'accoglienze oneste e liete furo iterate tre e quattro volte, Sordel si trasse, e disse: «Voi, chi siete?».

«Anzi che a questo monte fosser volte l'anime degne di salire a Dio,

fur l'ossa mie per Ottavian sepolte.

Io son Virgilio; e per null' altro rio lo ciel perdei che per non aver fé».

Così rispuose allora il duca mio.

Qual è colui che cosa innanzi sé

sùbita vede ond' e' si maraviglia, che crede e non, dicendo «Ella è… non è…», tal parve quelli; e poi chinò le ciglia, e umilmente ritornò ver' lui,

e abbracciòl là 've 'l minor s'appiglia.

«O gloria di Latin», disse, «per cui mostrò ciò che potea la lingua nostra, o pregio etterno del loco ond' io fui, qual merito o qual grazia mi ti mostra?

S'io son d'udir le tue parole degno, dimmi se vien d'inferno, e di qual chiostra».

«Per tutt' i cerchi del dolente regno», rispuose lui, «son io di qua venuto; virtù del ciel mi mosse, e con lei vegno.

Non per far, ma per non fare ho perduto a veder l'alto Sol che tu disiri

e che fu tardi per me conosciuto.

Luogo è là giù non tristo di martìri, ma di tenebre solo, ove i lamenti non suonan come guai, ma son sospiri.

Quivi sto io coi pargoli innocenti dai denti morsi de la morte avante che fosser da l'umana colpa essenti; 187

Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

quivi sto io con quei che le tre sante virtù non si vestiro, e sanza vizio conobber l'altre e seguir tutte quante.

Ma se tu sai e puoi, alcuno indizio dà noi per che venir possiam più tosto là dove purgatorio ha dritto inizio».

Rispuose: «Loco certo non c'è posto; licito m'è andar suso e intorno;

per quanto ir posso, a guida mi t'accosto.

Ma vedi già come dichina il giorno, e andar sù di notte non si puote; però è buon pensar di bel soggiorno.

Anime sono a destra qua remote;

se mi consenti, io ti merrò ad esse, e non sanza diletto ti fier note».

«Com' è ciò?», fu risposto. «Chi volesse salir di notte, fora elli impedito d'altrui, o non sarria ché non potesse?».

E 'l buon Sordello in terra fregò 'l dito, dicendo: «Vedi? sola questa riga

non varcheresti dopo 'l sol partito: non però ch'altra cosa desse briga, che la notturna tenebra, ad ir suso; quella col nonpoder la voglia intriga.

Ben si poria con lei tornare in giuso e passeggiar la costa intorno errando, mentre che l'orizzonte il dì tien chiuso».

Allora il mio segnor, quasi ammirando,

«Menane», disse, «dunque là 've dici ch'aver si può diletto dimorando».

Poco allungati c'eravam di lici,

quand' io m'accorsi che 'l monte era scemo, 188

Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

a guisa che i vallon li sceman quici.

«Colà», disse quell' ombra, «n'anderemo dove la costa face di sé grembo;

e là il novo giorno attenderemo».

Tra erto e piano era un sentiero schembo, che ne condusse in fianco de la lacca, là dove più ch'a mezzo muore il lembo.

Oro e argento fine, cocco e biacca, indaco, legno lucido e sereno,

fresco smeraldo in l'ora che si fiacca, da l'erba e da li fior, dentr' a quel seno posti, ciascun saria di color vinto, come dal suo maggiore è vinto il meno.

Non avea pur natura ivi dipinto,

ma di soavità di mille odori

Are sens