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Veggiolo un'altra volta esser deriso; veggio rinovellar l'aceto e 'l fiele, e tra vivi ladroni esser anciso.

Veggio il novo Pilato sì crudele, che ciò nol sazia, ma sanza decreto portar nel Tempio le cupide vele.

O Segnor mio, quando sarò io lieto a veder la vendetta che, nascosa, fa dolce l'ira tua nel tuo secreto?

Ciò ch'io dicea di quell' unica sposa 251

Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

de lo Spirito Santo e che ti fece verso me volger per alcuna chiosa, tanto è risposto a tutte nostre prece quanto 'l dì dura; ma com' el s'annotta, contrario suon prendemo in quella vece.

Noi repetiam Pigmalïon allotta,

cui traditore e ladro e paricida

fece la voglia sua de l'oro ghiotta; e la miseria de l'avaro Mida,

che seguì a la sua dimanda gorda, per la qual sempre convien che si rida.

Del folle Acàn ciascun poi si ricorda, come furò le spoglie, sì che l'ira di Iosüè qui par ch'ancor lo morda.

Indi accusiam col marito Saffira; lodiam i calci ch'ebbe Elïodoro;

e in infamia tutto 'l monte gira

Polinestòr ch'ancise Polidoro;

ultimamente ci si grida: "Crasso, dilci, che 'l sai: di che sapore è l'oro?".

Talor parla l'uno alto e l'altro basso, secondo l'affezion ch'ad ir ci sprona ora a maggiore e ora a minor passo: però al ben che 'l dì ci si ragiona, dianzi non era io sol; ma qui da presso non alzava la voce altra persona».

Noi eravam partiti già da esso,

e brigavam di soverchiar la strada tanto quanto al poder n'era permesso, quand' io senti', come cosa che cada, tremar lo monte; onde mi prese un gelo qual prender suol colui ch'a morte vada.

252

Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

Certo non si scoteo sì forte Delo, pria che Latona in lei facesse 'l nido a parturir li due occhi del cielo.

Poi cominciò da tutte parti un grido tal, che 'l maestro inverso me si feo, dicendo: «Non dubbiar, mentr' io ti guido».

'Glorïa in excelsis' tutti 'Deo'

dicean, per quel ch'io da' vicin compresi, onde intender lo grido si poteo.

No' istavamo immobili e sospesi

come i pastor che prima udir quel canto, fin che 'l tremar cessò ed el compiési.

Poi ripigliammo nostro cammin santo, guardando l'ombre che giacean per terra, tornate già in su l'usato pianto.

Nulla ignoranza mai con tanta guerra mi fé desideroso di sapere,

se la memoria mia in ciò non erra, quanta pareami allor, pensando, avere; né per la fretta dimandare er' oso, né per me lì potea cosa vedere:

così m'andava timido e pensoso.

CANTO XXI

[Canto XXI, ove si tratta del sopradetto quinto girone, dove si punisce e purga la predetta colpa de l'avarizia e la colpa de la prodigalitade; dove truova Stazio poeta tolosano.]

La sete natural che mai non sazia 253

Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

se non con l'acqua onde la femminetta samaritana domandò la grazia,

mi travagliava, e pungeami la fretta per la 'mpacciata via dietro al mio duca, e condoleami a la giusta vendetta.

Ed ecco, sì come ne scrive Luca

che Cristo apparve a' due ch'erano in via, già surto fuor de la sepulcral buca, ci apparve un'ombra, e dietro a noi venìa, dal piè guardando la turba che giace; né ci addemmo di lei, sì parlò pria, dicendo: «O frati miei, Dio vi dea pace».

Noi ci volgemmo sùbiti, e Virgilio rendéli 'l cenno ch'a ciò si conface.

Poi cominciò: «Nel beato concilio ti ponga in pace la verace corte

che me rilega ne l'etterno essilio».

«Come!», diss' elli, e parte andavam forte:

«se voi siete ombre che Dio sù non degni, chi v'ha per la sua scala tanto scorte?».

E 'l dottor mio: «Se tu riguardi a' segni che questi porta e che l'angel profila, ben vedrai che coi buon convien ch'e' regni.

Ma perché lei che dì e notte fila non li avea tratta ancora la conocchia che Cloto impone a ciascuno e compila, l'anima sua, ch'è tua e mia serocchia, venendo sù, non potea venir sola, però ch'al nostro modo non adocchia.

Ond' io fui tratto fuor de l'ampia gola d'inferno per mostrarli, e mosterrolli oltre, quanto 'l potrà menar mia scola.

254

Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

Ma dimmi, se tu sai, perché tai crolli diè dianzi 'l monte, e perché tutto ad una parve gridare infino a' suoi piè molli».

Sì mi diè, dimandando, per la cruna del mio disio, che pur con la speranza si fece la mia sete men digiuna.

Are sens