Colui che del cammin sì poco piglia dinanzi a me, Toscana sonò tutta; e ora a pena in Siena sen pispiglia, ond' era sire quando fu distrutta la rabbia fiorentina, che superba fu a quel tempo sì com' ora è putta.
La vostra nominanza è color d'erba, che viene e va, e quei la discolora per cui ella esce de la terra acerba».
E io a lui: «Tuo vero dir m'incora bona umiltà, e gran tumor m'appiani; ma chi è quei di cui tu parlavi ora?».
«Quelli è», rispuose, «Provenzan Salvani; ed è qui perché fu presuntüoso
a recar Siena tutta a le sue mani.
Ito è così e va, sanza riposo,
poi che morì; cotal moneta rende
a sodisfar chi è di là troppo oso».
E io: «Se quello spirito ch'attende, pria che si penta, l'orlo de la vita, qua giù dimora e qua sù non ascende, se buona orazïon lui non aita,
prima che passi tempo quanto visse, come fu la venuta lui largita?».
«Quando vivea più glorïoso», disse,
«liberamente nel Campo di Siena,
ogne vergogna diposta, s'affisse; e lì, per trar l'amico suo di pena, ch'e' sostenea ne la prigion di Carlo, si condusse a tremar per ogne vena.
Più non dirò, e scuro so che parlo; ma poco tempo andrà, che ' tuoi vicini faranno sì che tu potrai chiosarlo.
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Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________
Quest' opera li tolse quei confini».
CANTO XII
[Canto XII, ove si tratta del secondo girone dove si sono intagliate certe imagini antiche de' superbi; e quivi si puniscono li superbi medesimi.]
Di pari, come buoi che vanno a giogo, m'andava io con quell' anima carca, fin che 'l sofferse il dolce pedagogo.
Ma quando disse: «Lascia lui e varca; ché qui è buono con l'ali e coi remi, quantunque può, ciascun pinger sua barca»; dritto sì come andar vuolsi rife'mi con la persona, avvegna che i pensieri mi rimanessero e chinati e scemi.
Io m'era mosso, e seguia volontieri del mio maestro i passi, e amendue già mostravam com' eravam leggeri; ed el mi disse: «Volgi li occhi in giùe: buon ti sarà, per tranquillar la via, veder lo letto de le piante tue».
Come, perché di lor memoria sia,
sovra i sepolti le tombe terragne portan segnato quel ch'elli eran pria, onde lì molte volte si ripiagne
per la puntura de la rimembranza, che solo a' pïi dà de le calcagne; 210
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sì vid' io lì, ma di miglior sembianza secondo l'artificio, figurato
quanto per via di fuor del monte avanza.
Vedea colui che fu nobil creato
più ch'altra creatura, giù dal cielo folgoreggiando scender, da l'un lato.
Vedëa Brïareo fitto dal telo
celestïal giacer, da l'altra parte, grave a la terra per lo mortal gelo.
Vedea Timbreo, vedea Pallade e Marte, armati ancora, intorno al padre loro, mirar le membra d'i Giganti sparte.
Vedea Nembròt a piè del gran lavoro quasi smarrito, e riguardar le genti che 'n Sennaàr con lui superbi fuoro.
O Nïobè, con che occhi dolenti
vedea io te segnata in su la strada, tra sette e sette tuoi figliuoli spenti!
O Saùl, come in su la propria spada quivi parevi morto in Gelboè,
che poi non sentì pioggia né rugiada!
O folle Aragne, sì vedea io te
già mezza ragna, trista in su li stracci de l'opera che mal per te si fé.