Ed elli a me: «Perché i nostri diretri rivolga il cielo a sé, saprai; ma prima scias quod ego fui successor Petri.
Intra Sïestri e Chiaveri s'adima
una fiumana bella, e del suo nome lo titol del mio sangue fa sua cima.
Un mese e poco più prova' io come pesa il gran manto a chi dal fango il guarda, che piuma sembran tutte l'altre some.
La mia conversïone, omè!, fu tarda; ma, come fatto fui roman pastore, così scopersi la vita bugiarda.
Vidi che lì non s'acquetava il core, né più salir potiesi in quella vita; per che di questa in me s'accese amore.
Fino a quel punto misera e partita da Dio anima fui, del tutto avara; or, come vedi, qui ne son punita.
Quel ch'avarizia fa, qui si dichiara in purgazion de l'anime converse; e nulla pena il monte ha più amara.
Sì come l'occhio nostro non s'aderse in alto, fisso a le cose terrene, così giustizia qui a terra il merse.
Come avarizia spense a ciascun bene lo nostro amore, onde operar perdési, così giustizia qui stretti ne tene, 247
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ne' piedi e ne le man legati e presi; e quanto fia piacer del giusto Sire, tanto staremo immobili e distesi».
Io m'era inginocchiato e volea dire; ma com' io cominciai ed el s'accorse, solo ascoltando, del mio reverire,
«Qual cagion», disse, «in giù così ti torse?».
E io a lui: «Per vostra dignitate mia coscïenza dritto mi rimorse».
«Drizza le gambe, lèvati sù, frate!», rispuose; «non errar: conservo sono teco e con li altri ad una podestate.
Se mai quel santo evangelico suono che dice 'Neque nubent' intendesti, ben puoi veder perch' io così ragiono.
Vattene omai: non vo' che più t'arresti; ché la tua stanza mio pianger disagia, col qual maturo ciò che tu dicesti.
Nepote ho io di là c'ha nome Alagia, buona da sé, pur che la nostra casa non faccia lei per essempro malvagia; e questa sola di là m'è rimasa».
CANTO XX
[Canto XX, ove si tratta del sopradetto girone e de la sopradetta colpa de l'avarizia.]
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Contra miglior voler voler mal pugna; onde contra 'l piacer mio, per piacerli, trassi de l'acqua non sazia la spugna.
Mossimi; e 'l duca mio si mosse per li luoghi spediti pur lungo la roccia, come si va per muro stretto a' merli; ché la gente che fonde a goccia a goccia per li occhi il mal che tutto 'l mondo occupa, da l'altra parte in fuor troppo s'approccia.
Maladetta sie tu, antica lupa,
che più che tutte l'altre bestie hai preda per la tua fame sanza fine cupa!
O ciel, nel cui girar par che si creda le condizion di qua giù trasmutarsi, quando verrà per cui questa disceda?
Noi andavam con passi lenti e scarsi, e io attento a l'ombre, ch'i' sentia pietosamente piangere e lagnarsi; e per ventura udi' «Dolce Maria!»
dinanzi a noi chiamar così nel pianto come fa donna che in parturir sia; e seguitar: «Povera fosti tanto,
quanto veder si può per quello ospizio dove sponesti il tuo portato santo».
Seguentemente intesi: «O buon Fabrizio, con povertà volesti anzi virtute
che gran ricchezza posseder con vizio».
Queste parole m'eran sì piaciute, ch'io mi trassi oltre per aver contezza di quello spirto onde parean venute.
Esso parlava ancor de la larghezza che fece Niccolò a le pulcelle,
per condurre ad onor lor giovinezza.
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«O anima che tanto ben favelle,
dimmi chi fosti», dissi, «e perché sola tu queste degne lode rinovelle.