Ma perché l'occhio cupido e vagante 311
Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________
a me rivolse, quel feroce drudo
la flagellò dal capo infin le piante; poi, di sospetto pieno e d'ira crudo, disciolse il mostro, e trassel per la selva, tanto che sol di lei mi fece scudo a la puttana e a la nova belva.
CANTO XXXIII
[Canto XXXIII, il quale si è l'ultimo de la seconda cantica, ove si racconta sì come Beatrice dichiaroe a Dante quelle cose ch'elli vide, trattando e dimostrando le future vendette e de la ingiuria nel predetto carro del grifone; e infine, veduti li quattro fiumi del Paradiso, escono verso il cielo.]
'Deus, venerunt gentes', alternando or tre or quattro dolce salmodia, le donne incominciaro, e lagrimando; e Bëatrice, sospirosa e pia,
quelle ascoltava sì fatta, che poco più a la croce si cambiò Maria.
Ma poi che l'altre vergini dier loco a lei di dir, levata dritta in pè, rispuose, colorata come foco:
'Modicum, et non videbitis me;
et iterum, sorelle mie dilette,
modicum, et vos videbitis me'.
Poi le si mise innanzi tutte e sette, e dopo sé, solo accennando, mosse me e la donna e 'l savio che ristette.
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Così sen giva; e non credo che fosse lo decimo suo passo in terra posto, quando con li occhi li occhi mi percosse; e con tranquillo aspetto «Vien più tosto», mi disse, «tanto che, s'io parlo teco, ad ascoltarmi tu sie ben disposto».
Sì com' io fui, com' io dovëa, seco, dissemi: «Frate, perché non t'attenti a domandarmi omai venendo meco?».
Come a color che troppo reverenti dinanzi a suo maggior parlando sono, che non traggon la voce viva ai denti, avvenne a me, che sanza intero suono incominciai: «Madonna, mia bisogna voi conoscete, e ciò ch'ad essa è buono».
Ed ella a me: «Da tema e da vergogna voglio che tu omai ti disviluppe, sì che non parli più com' om che sogna.
Sappi che 'l vaso che 'l serpente ruppe, fu e non è; ma chi n'ha colpa, creda che vendetta di Dio non teme suppe.
Non sarà tutto tempo sanza reda
l'aguglia che lasciò le penne al carro, per che divenne mostro e poscia preda; ch'io veggio certamente, e però il narro, a darne tempo già stelle propinque, secure d'ogn' intoppo e d'ogne sbarro, nel quale un cinquecento diece e cinque, messo di Dio, anciderà la fuia
con quel gigante che con lei delinque.
E forse che la mia narrazion buia, qual Temi e Sfinge, men ti persuade, perch' a lor modo lo 'ntelletto attuia; 313
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ma tosto fier li fatti le Naiade, che solveranno questo enigma forte sanza danno di pecore o di biade.
Tu nota; e sì come da me son porte, così queste parole segna a' vivi
del viver ch'è un correre a la morte.
E aggi a mente, quando tu le scrivi, di non celar qual hai vista la pianta ch'è or due volte dirubata quivi.
Qualunque ruba quella o quella schianta, con bestemmia di fatto offende a Dio, che solo a l'uso suo la creò santa.
Per morder quella, in pena e in disio cinquemilia anni e più l'anima prima bramò colui che 'l morso in sé punio.
Dorme lo 'ngegno tuo, se non estima per singular cagione essere eccelsa lei tanto e sì travolta ne la cima.
E se stati non fossero acqua d'Elsa li pensier vani intorno a la tua mente, e 'l piacer loro un Piramo a la gelsa, per tante circostanze solamente
la giustizia di Dio, ne l'interdetto, conosceresti a l'arbor moralmente.
Ma perch' io veggio te ne lo 'ntelletto fatto di pietra e, impetrato, tinto, sì che t'abbaglia il lume del mio detto, voglio anco, e se non scritto, almen dipinto, che 'l te ne porti dentro a te per quello che si reca il bordon di palma cinto».
E io: «Sì come cera da suggello,
che la figura impressa non trasmuta, 314
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segnato è or da voi lo mio cervello.
Ma perché tanto sovra mia veduta
vostra parola disïata vola,
che più la perde quanto più s'aiuta?».
«Perché conoschi», disse, «quella scuola c'hai seguitata, e veggi sua dottrina come può seguitar la mia parola;
e veggi vostra via da la divina
distar cotanto, quanto si discorda da terra il ciel che più alto festina».
Ond' io rispuosi lei: «Non mi ricorda ch'i' stranïasse me già mai da voi, né honne coscïenza che rimorda».
«E se tu ricordar non te ne puoi», sorridendo rispuose, «or ti rammenta come bevesti di Letè ancoi;
e se dal fummo foco s'argomenta,
cotesta oblivïon chiaro conchiude colpa ne la tua voglia altrove attenta.
Veramente oramai saranno nude