Mi bastò vederli per agitarmi. Andarono a salutare il pasticciere e la moglie, diedero una pacca di simpatia a Stefano e poi si misero a guardare i ballerini anche loro. Prima, al modo dei padroni del rione quali si sentivano, guardarono pesantemente Ada, che girò lo sguardo; poi parlottarono tra loro e si indicarono Antonio, gli fecero un esagerato cenno di saluto che lui fece finta di non vedere; infine notarono Lila, la fissarono a lungo, si dissero qualcosa all’orecchio, Michele fece un vistoso segno di assenso.
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Non li persi di vista e mi ci volle poco a capire che soprattutto Marcello –
Marcello che piaceva a tutte – pareva non essere affatto arrabbiato per la storia del trincetto. Anzi. In pochi secondi fu del tutto catturato dal corpo flessuoso ed elegante di Lila, dal suo viso anomalo per il rione e forse per tutta la città di Napoli. La guardò senza mai distogliere lo sguardo, come se avesse perso quel poco di cervello che aveva. Le tenne gli occhi addosso anche quando la musica finì.
Fu un attimo. Enzo fece per sospingere Lila nell’angolo dove stavo io, Stefano e Marcello si mossero insieme per invitarla a ballare; ma li precedette Pasquale. Lila gli fece un saltello grazioso di consenso, batté le mani felice.
Su una figurina di quattordicenne si protesero quattro maschi contemporaneamente, di età varie, ciascuno in modo diverso convinto della propria assoluta potenza. La puntina raschiò il disco, attaccò la musica.
Stefano, Marcello, Enzo arretrarono incerti. Pasquale cominciò a ballare con Lila e, data la bravura del ballerino, lei subito si sfrenò.
A quel punto Michele Solara, forse per amore del fratello, forse per il puro gusto di mettere disordine, decise di complicare a modo suo la situazione.
Diede di gomito a Stefano e gli disse ad alta voce:
«Ma ce l’hai il sangue nelle vene o no? Quello è il figlio di chi ha ammazzato tuo padre, quello è un comunista di merda, e tu stai qua a guardare come balla con la guagliona con cui volevi ballare tu?».
Pasquale sicuramente non sentì, perché la musica era alta ed era impegnato a fare acrobazie con Lila. Ma io sentii, e sentì Enzo che stava accanto a me, e naturalmente sentì Stefano. Aspettammo che accadesse qualcosa ma non accadde nulla. Stefano era un ragazzo che sapeva il fatto suo. La salumeria andava più che bene, stava progettando di comprare un locale confinante per ampliarla, si sentiva insomma fortunato, anzi era sicurissimo che la vita gli avrebbe dato tutto quello che desiderava. Disse a Michele col suo sorriso accattivante:
«Lasciamolo ballare, balla bene» e continuò a guardare Lila come se l’unica cosa che gli importasse in quel momento fosse lei. Michele fece una smorfia disgustata e andò a cercare il pasticciere e la moglie.
Cosa voleva fare, adesso? Vidi che parlava coi padroni di casa in maniera agitata, indicava Maria in un angolo, indicava Stefano e Alfonso e Pinuccia, indicava Pasquale che ballava, indicava Carmela che si esibiva con Antonio.
Appena la musica cessò la madre di Gigliola prese cordialmente Pasquale sottobraccio, lo portò in un angolo, gli disse qualcosa all’orecchio.
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«Vai» disse Michele al fratello ridendo, «via libera». E Marcello Solara tornò alla carica con Lila.
Ero sicura che gli avrebbe detto di no, sapevo quanto lo detestasse. Ma non andò così. La musica riattaccò e lei, con la voglia di danza in ogni muscolo, prima cercò con lo sguardo Pasquale, poi, non vedendolo, afferrò la mano di Marcello come se fosse solo una mano, come se oltre non ci fosse un braccio, tutto il corpo di lui, e sudata ricominciò a fare ciò che in quel momento per lei contava di più: ballare.
Guardai Stefano, guardai Enzo. Tutto era carico di tensione. Mentre il cuore mi batteva forte per l’ansia, Pasquale, torvo, andò da Carmela e le disse qualcosa con modi bruschi. Carmela protestò a bassa voce, lui a bassa voce la zittì. Si avvicinò a loro Antonio, confabulò con Pasquale. Insieme guardarono in cagnesco Michele Solara che stava di nuovo parlottando con Stefano, Marcello che ballava con Lila tirandola, sollevandola, sbattendola. Poi Antonio andò a tirar via dalle danze Ada. La musica finì, Lila tornò accanto a me. Le dissi:
«Sta succedendo qualcosa, ce ne dobbiamo andare».
Lei rise, esclamò:
«Pure se viene un terremoto mi faccio un altro ballo» e guardò Enzo che se ne stava appoggiato a una parete. Ma intanto tornò a invitarla Marcello e lei si lasciò trascinare di nuovo nella danza.
Pasquale venne da me, mi disse cupo che ce ne dovevamo andare.
«Aspettiamo che Lila finisca il ballo».
«No, subito» disse lui con un tono che non ammetteva repliche, duro, sgarbato. Quindi andò diritto verso Michele Solara, lo urtò forte con una spalla. Quello rise, gli disse qualcosa di osceno a mezza bocca. Pasquale proseguì verso la porta di casa, seguito da Carmela, riluttante, e da Antonio che si tirava dietro Ada.
Io mi girai per vedere cosa faceva Enzo, ma lui rimase appoggiato al muro a guardare Lila che ballava. La musica finì. Lila si mosse verso di me, braccata da Marcello che aveva occhi lucidi di benessere.
«Ce ne dobbiamo andare» quasi strillai, nervosissima.
Dovetti mettere una tale angoscia nella voce che lei finalmente si guardò intorno come se si svegliasse.
«Va bene, andiamocene» disse perplessa.
Mi avviai verso la porta senza aspettare oltre, la musica riattaccò. Marcello Solara afferrò Lila per un braccio, le disse tra la risatella e la supplica:
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«Resta, ti porto io a casa».
Lila, come se lo riconoscesse solo allora, lo guardò incredula, all’improvviso le parve impossibile che la stesse toccando con tanta confidenza. Cercò di liberare il braccio ma Marcello la strinse forte dicendo:
«Un altro ballo soltanto».
Enzo si staccò dalla parete, afferrò il polso di Marcello senza dire una parola. Ce l’ho davanti agli occhi: era tranquillo, pur essendo più piccolo d’anni e di statura sembrava non fare nessuno sforzo. La potenza della stretta si vide solo sul viso di Marcello Solara, che lasciò Lila con una smorfia di dolore e si prese subito il polso con l’altra mano. Andammo via mentre sentivo Lila che diceva indignata a Enzo, in dialetto strettissimo:
«M’ha toccata, hai visto? A me, chillu strunz. Meno male che non c’era Rino. Se lo fa un’altra volta, è morto».
Possibile che non si fosse nemmeno accorta di aver ballato con Marcello per ben due volte? Possibile, lei era così.
All’esterno trovammo Pasquale, Antonio, Carmela e Ada. Pasquale era fuori di sé, non l’avevamo mai visto così. Urlava insulti, urlava a squarciagola, con occhi da pazzo, e non c’era modo di calmarlo. Ce l’aveva, sì, con Michele, ma soprattutto con Marcello e Stefano. Diceva cose che noi non avevamo elementi per capire. Diceva che il bar Solara era sempre stato un posto di camorristi strozzini, che era la base per il contrabbando e per raccogliere i voti di Stella e Corona, dei monarchici. Diceva che don Achille aveva fatto la spia per i nazifascisti, diceva che i soldi con cui Stefano aveva fatto crescere la salumeria suo padre li aveva fatti con la borsa nera. Strillava:
«Papà ha fatto bene ad ammazzarlo». Strillava: «I Solara, padre e figli, ci penso io a sgozzarli, e dopo levo pure dalla faccia della terra Stefano e tutti i suoi familiari». Strillava infine, rivolto a Lila, come se fosse la cosa più grave: «E tu, tu ci hai pure ballato, cu chillu càntaro».
A quel punto, come se la furia di Pasquale gli avesse pompato fiato in petto, cominciò a urlare anche Antonio, e pareva quasi che ce l’avesse con Pasquale perché voleva privarlo di una gioia: la gioia di ammazzare lui i Solara per quello che avevano fatto a Ada. E Ada subito si mise a piangere e Carmela non riuscì più a contenersi, scoppiò in lacrime a sua volta. Ed Enzo cercò di convincerci tutti a toglierci dalla strada. «Andiamocene a dormire»
disse. Ma Pasquale e Antonio lo zittirono, volevano restare e affrontare i Solara. Truci, ripeterono a Enzo più volte, con finta calma: «Va’, va’, ci vediamo domani». Allora Enzo disse piano: «Se restate voi, resto pure io». A