"Unleash your creativity and unlock your potential with MsgBrains.Com - the innovative platform for nurturing your intellect." » » 🤍🤍🤍✨,,L'amica geniale'' di Elena Ferrante🤍🤍🤍✨

Add to favorite 🤍🤍🤍✨,,L'amica geniale'' di Elena Ferrante🤍🤍🤍✨

Select the language in which you want the text you are reading to be translated, then select the words you don't know with the cursor to get the translation above the selected word!




Go to page:
Text Size:

******ebook converter DEMO Watermarks*******

2.

La madre di Rino si chiama Raffaella Cerullo, ma tutti l’hanno sempre chiamata Lina. Io no, non ho mai usato né il primo nome né il secondo. Da più di sessant’anni per me è Lila. Se la chiamassi Lina o Raffaella, così, all’improvviso, penserebbe che la nostra amicizia è finita.

Sono almeno tre decenni che mi dice di voler sparire senza lasciare traccia, e solo io so bene cosa vuole dire. Non ha mai avuto in mente una qualche fuga, un cambio di identità, il sogno di rifarsi una vita altrove. E non ha mai pensato al suicidio, disgustata com’è dall’idea che Rino abbia a che fare col suo corpo e sia costretto a occuparsene. Il suo proposito è stato sempre un altro: voleva volatilizzarsi; voleva disperdere ogni sua cellula; di lei non si doveva trovare più niente. E poiché la conosco bene, o almeno credo di conoscerla, do per scontato che abbia trovato il modo di non lasciare in questo mondo nemmeno un capello, da nessuna parte.

******ebook converter DEMO Watermarks*******

3.

Sono passati i giorni. Ho guardato nella posta elettronica, in quella cartacea, ma senza speranza. Io ho scritto spessissimo a lei, lei non mi ha quasi mai risposto: questa è stata sempre la consuetudine. Preferiva il telefono o le lunghe notti di chiacchiere quando andavo a Napoli.

Ho aperto i miei cassetti, le scatole di metallo dove conservo cose di ogni genere. Poche. Ho buttato via tanta roba, in particolare ciò che la riguardava, e lei lo sa. Ho scoperto che non ho niente di suo, non un’immagine, non un biglietto, non un regalino. Mi sono sorpresa io stessa. Possibile che in tutti questi anni non mi abbia lasciato niente di sé, o, peggio, io non abbia voluto conservare alcunché di lei? Possibile.

Ho telefonato io a Rino, questa volta, l’ho fatto a malincuore. Non rispondeva né sul fisso né sul cellulare. Mi ha chiamato lui in serata, con comodo. Aveva la voce con cui cerca di stimolare un senso di pena.

«Ho visto che hai chiamato. Hai notizie?».

«No. E tu?».

«Nessuna».

M’ha detto cose sconclusionate. Voleva andare in tv, alla trasmissione che si occupa delle persone scomparse, fare un appello, chiedere perdono per tutto a sua mamma, supplicarla di tornare.

Sono stata a sentire pazientemente, poi gli ho chiesto: «Hai guardato nel suo armadio?».

«Per fare che?».

Naturalmente non gli era mai venuta in mente la cosa più ovvia.

«Va’ a guardare».

C’è andato e si è reso conto che non c’era niente, nemmeno uno dei vestiti di sua madre, né estivi né invernali, solo vecchie grucce. L’ho mandato in giro a frugare per casa. Sparite le scarpe. Spariti i pochi libri. Sparite tutte le foto. Spariti i filmini. Sparito il suo computer, anche i vecchi dischetti che si usavano una volta, tutto, ogni cosa della sua esperienza di strega elettronica che aveva cominciato a destreggiarsi coi calcolatori già sul finire degli anni

******ebook converter DEMO Watermarks*******

Sessanta, all’epoca delle schede perforate. Rino era stupefatto. Gli ho detto:

«Prenditi il tempo che vuoi ma poi telefonami e dimmi se hai trovato anche solo uno spillo che le appartiene».

Mi ha chiamato il giorno dopo, era agitatissimo.

«Non c’è niente».

«Niente niente?».

«No. S’è tagliata via da tutte le foto in cui stavamo insieme, anche quelle di quando ero piccolo».

«Hai guardato bene?».

«Dappertutto».

«Anche nello scantinato?».

«T’ho detto dappertutto. È sparita persino la scatola con i documenti: che so, vecchi certificati di nascita, contratti telefonici, ricevute di bollette. Che significa? Qualcuno ha rubato tutto? Cosa cercano? Che vogliono da mia madre e da me?».

L’ho rassicurato, gli ho detto di stare tranquillo. Soprattutto da lui, era improbabile che qualcuno volesse qualcosa.

«Posso venire a stare un po’ a casa tua?».

«No».

«Per favore, non riesco a dormire».

«Arrangiati, Rino, non so che farci».

Ho riattaccato e quando lui ha ritelefonato non ho risposto. Mi sono seduta alla scrivania.

Lila come al solito vuole esagerare, ho pensato.

Stava dilatando a dismisura il concetto di traccia. Voleva non solo sparire lei, adesso, a sessantasei anni, ma anche cancellare tutta la vita che si era lasciata alle spalle.

Mi sono sentita molto arrabbiata.

Vediamo chi la spunta questa volta, mi sono detta. Ho acceso il computer e ho cominciato a scrivere ogni dettaglio della nostra storia, tutto ciò che mi è rimasto in mente.

******ebook converter DEMO Watermarks*******

INFANZIA

Storia di don Achille

******ebook converter DEMO Watermarks*******

1.

La volta che Lila e io decidemmo di salire per le scale buie che portavano, gradino dietro gradino, rampa dietro rampa, fino alla porta dell’appartamento di don Achille, cominciò la nostra amicizia.

Mi ricordo la luce violacea del cortile, gli odori di una serata tiepida di primavera. Le mamme stavano preparando la cena, era ora di rientrare, ma noi ci attardavamo sottoponendoci per sfida, senza mai rivolgerci la parola, a prove di coraggio. Da qualche tempo, dentro e fuori scuola, non facevamo che quello. Lila infilava la mano e tutto il braccio nella bocca nera di un tombino, e io lo facevo subito dopo a mia volta, col batticuore, sperando che gli scarafaggi non mi corressero su per la pelle e i topi non mi mordessero.

Lila s’arrampicava fino alla finestra a pianterreno della signora Spagnuolo, s’appendeva alla sbarra di ferro dove passava il filo per stendere i panni, si dondolava, quindi si lasciava andare giù sul marciapiede, e io lo facevo subito dopo a mia volta, pur temendo di cadere e farmi male. Lila s’infilava sotto pelle la rugginosa spilla francese che aveva trovato per strada non so quando ma che conservava in tasca come il regalo di una fata; e io osservavo la punta di metallo che le scavava un tunnel biancastro nel palmo, e poi, quando lei l’estraeva e me la tendeva, facevo lo stesso.

A un certo punto mi lanciò uno sguardo dei suoi, fermo, con gli occhi stretti, e si diresse verso la palazzina dove abitava don Achille. Mi gelai di paura. Don Achille era l’orco delle favole, avevo il divieto assoluto di avvicinarlo, parlargli, guardarlo, spiarlo, bisognava fare come se non esistessero né lui né la sua famiglia. C’erano nei suoi confronti, in casa mia ma non solo, un timore e un odio che non sapevo da dove nascessero. Mio padre ne parlava in un modo che me l’ero immaginato grosso, pieno di bolle violacee, furioso malgrado il “don”, che a me suggeriva un’autorità calma.

Era un essere fatto di non so quale materiale, ferro, vetro, ortica, ma vivo, vivo col respiro caldissimo che gli usciva dal naso e dalla bocca. Credevo che se solo l’avessi visto da lontano mi avrebbe cacciato negli occhi qualcosa di acuminato e bruciante. Se poi avessi fatto la pazzia di avvicinarmi alla porta

******ebook converter DEMO Watermarks*******

Are sens