"Unleash your creativity and unlock your potential with MsgBrains.Com - the innovative platform for nurturing your intellect." » » 🤍🤍🤍✨,,L'amica geniale'' di Elena Ferrante🤍🤍🤍✨

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Non seppi cosa dirgli. Nel rione potevano accadere cose terribili, padri e figli arrivavano spesso alle mani, come Rino e Fernando per esempio. Ma la violenza di quelle poche frasi costruite con cura mi fece male. Nino odiava il padre con tutte le sue energie, ecco perché parlava tanto dei Karamazov. Ma non era quello il punto. Ciò che mi turbò profondamente fu che Donato Sarratore, per quel che avevo visto coi miei occhi, sentito con le mie orecchie, non aveva niente di così repellente, era il padre che ogni ragazza, ogni ragazzo avrebbe voluto, e Marisa infatti lo adorava. Per di più, se il suo peccato era la capacità di amare, non ci vedevo niente di particolarmente malvagio, persino di mio padre mia madre diceva con rabbia che chissà quante ne aveva combinate. Di conseguenza quelle frasi sferzanti, quel tono tagliente mi sembrarono terribili. Mormorai:

«Lui e Melina sono stati travolti dalla passione, come Didone ed Enea.

Sono cose che fanno male, ma anche molto commoventi».

«Ha giurato fedeltà a mia madre davanti a Dio» esclamò di colpo sopratono. «Non rispetta né lei né Dio». E balzò su tutto agitato, aveva occhi bellissimi e lucenti. «Nemmeno tu mi capisci» disse allontanandosi con passi lunghi.

Lo raggiunsi, mi batteva forte il cuore.

«Ti capisco» mormorai e gli presi cautamente un braccio.

Non c’eravamo mai nemmeno sfiorati, il contatto mi bruciò le dita, lo lasciai subito. Lui si chinò e mi baciò sulle labbra, un bacio leggerissimo.

«Domani parto» disse.

«Ma il 13 è dopodomani».

Non rispose. Risalimmo a Barano parlando di libri, poi andammo a prendere Marisa al Porto. Sentivo la sua bocca sulla mia.

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33.

Piansi tutta la notte, nella cucina silenziosa. Mi addormentai all’alba. Venne Nella a svegliarmi e mi rimproverò, disse che Nino aveva voluto fare colazione sul terrazzo per non disturbarmi. Era andato via.

Mi vestii in fretta, lei si accorse che soffrivo. «Vai» mi concesse infine,

«forse fai in tempo». Corsi al Porto sperando di arrivare prima che il vaporetto partisse, ma il battello era già al largo.

Trascorsi giorni brutti. Rifacendo le stanze trovai un segnalibro d’un cartoncino azzurro che apparteneva a Nino e lo nascosi tra le mie cose. La sera, nella cucina, a letto, l’annusavo, lo baciavo, lo leccavo con la punta della lingua e piangevo. La mia stessa passione disperata mi commuoveva e il pianto si autoalimentava.

Poi arrivò Donato Sarratore e cominciarono i suoi quindici giorni di ferie.

Si rammaricò che il figlio fosse già andato via, ma fu contento che avesse raggiunto i suoi compagni nell’Avellinese per studiare. «È un ragazzo veramente serio» mi disse, «come te. Sono fiero di lui, come m’immagino che debba essere fiero di te tuo padre».

La presenza di quell’uomo rassicurante mi acquietò. Volle conoscere i nuovi amici di Marisa, li invitò una sera a fare un gran falò sulla spiaggia. Si adoperò lui stesso per ammucchiare tutta la legna che riuscì a trovare e restò con noi ragazzi fino a tardi. Il ragazzo con cui Marisa portava avanti un mezzo fidanzamento strimpellava la chitarra e Donato cantò, aveva una voce bellissima. A notte ormai inoltrata si mise a suonare lui stesso e suonava bene, abbozzò ballabili. Qualcuno cominciò a danzare, Marisa per prima.

Guardavo quell’uomo e pensavo: lui e suo figlio non hanno nemmeno un tratto in comune. Nino è alto, ha un viso delicato, la fronte sepolta sotto capelli nerissimi, la bocca sempre socchiusa con labbra invitanti; Donato invece è di statura media, i tratti del viso sono marcati, è molto stempiato, ha la bocca concentrata, quasi senza labbra. Nino guarda sempre con occhi imbronciati che vedono oltre le cose e le persone e paiono spaventarsi; Donato ha uno sguardo sempre disponibile che adora l’apparenza d’ogni cosa

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o persona e non fa che sorriderle. Nino ha qualcosa che lo mangia dentro, come Lila, ed è un dono e una sofferenza, non sono contenti, non si abbandonano, temono ciò che gli succede intorno; quest’uomo no, pare voler bene a ogni manifestazione della vita, quasi che ogni secondo vissuto abbia una limpidezza assoluta.

Da quella sera il padre di Nino mi sembrò un rimedio solido non solo contro il buio dentro cui mi aveva respinto suo figlio andandosene dopo un bacio quasi impercettibile, ma anche – me ne resi conto stupita – contro quello dentro cui mi aveva respinto Lila non rispondendo mai alle mie lettere.

Lei e Nino si conoscono appena, pensai, non si sono mai frequentati, e tuttavia ora mi sembrano molto simili: non hanno bisogno di niente e di nessuno e sanno sempre ciò che va e ciò che non va. Ma se si sbagliano?

Cos’ha di particolarmente terribile Marcello Solara, cos’ha di particolarmente terribile Donato Sarratore? Non capivo. Amavo sia Lila che Nino, e ora in modo diverso mi mancavano, ma ero grata a quel padre odiato che a me, a tutti noi ragazzi, dava importanza, ci regalava gioia e tranquillità nella notte dei Maronti. All’improvviso fui contenta che nessuno dei due fosse presente sull’isola.

Ripresi a leggere, scrissi un’ultima lettera a Lila in cui le dicevo che, visto che non mi aveva mai risposto, non le avrei scritto più. Mi legai invece alla famiglia Sarratore, mi sentii sorella di Marisa, di Pinuccio e del piccolo Ciro, che ora mi amava moltissimo e con me, solo con me, non era capriccioso ma giocava tranquillo, cercavamo insieme conchiglie. Lidia, che aveva definitivamente rovesciato l’ostilità nei miei confronti in simpatia e affetto, mi lodava spesso per la precisione che mettevo in ogni cosa: apparecchiare, rifare le camere, lavare i piatti, intrattenere il bambino, leggere e studiare.

Una mattina mi fece provare un suo prendisole che le andava stretto e poiché Nella e anche Sarratore, chiamato d’urgenza a dare un parere, si entusiasmarono per come mi stava bene, me lo regalò. In certi momenti pareva addirittura preferirmi a Marisa. Diceva: «È sfaticata, vanitosa, l’ho educata male, non studia; tu invece fai tutto con molto giudizio». «Proprio come Nino» aggiunse una volta, «solo che tu sei solare e lui è sempre nervoso». Ma a sentire quelle critiche Donato scattò e si mise a lodare il figlio maggiore. «È un ragazzo d’oro» disse, e chiese conferma a me con lo sguardo e io feci cenno di sì con grande convinzione.

Dopo i suoi lunghissimi bagni Donato mi si sdraiava accanto ad asciugarsi al sole e leggeva il suo giornale, il Roma, l’unica cosa che leggesse. Mi

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colpiva che uno che scriveva poesie, che le aveva persino raccolte in volume, non aprisse mai un libro. Non se n’era portati e non era mai incuriosito dai miei. A volte mi declamava qualche brano di articolo, parole e frasi che avrebbero fatto arrabbiare moltissimo Pasquale e sicuramente anche la professoressa Galiani. Ma io tacevo, non mi andava di mettermi a discutere con una persona tanto garbata guastandogli la grandissima stima che aveva di me. Una volta me ne lesse uno tutto intero, dall’inizio alla fine, e ogni due righe si volgeva a Lidia sorridendo, e Lidia gli rispondeva con un sorriso complice. Alla fine mi chiese:

«Ti è piaciuto?».

Era un articolo sulla velocità del viaggio in treno contrapposta a quella del viaggio di una volta, in calesse o a piedi, per i viottoli di campagna. Era scritto con frasi altisonanti che leggeva in modo commosso.

«Sì, moltissimo» risposi.

«Guarda chi l’ha scritto: che leggi qui?».

Si protese verso di me, mi mise il giornale sotto gli occhi. Lessi emozionata:

«Donato Sarratore».

Lidia scoppiò a ridere e anche lui. Mi lasciarono sulla spiaggia a tener d’occhio Ciro mentre loro facevano il bagno al modo solito, stretti l’uno all’altra e parlandosi all’orecchio. Li guardai, pensai: povera Melina, ma senza astio nei confronti di Sarratore. Ammesso che Nino avesse ragione e che davvero tra i due ci fosse stato qualcosa; ammesso insomma che Sarratore avesse davvero tradito Lidia, ancor più di prima, ora che lo conoscevo abbastanza, non riuscivo a sentirlo colpevole, tanto più che mi pareva non lo sentisse colpevole nemmeno sua moglie, anche se all’epoca lo aveva costretto ad andar via dal rione. Quanto a Melina, capivo pure lei.

Aveva provato la gioia dell’amore per quell’uomo così lontano dalla media –

un controllore sui treni ma anche un poeta, un giornalista – e la sua mente fragile non era riuscita a riadattarsi alla normalità grezza della vita senza di lui. Mi compiacevo di questi pensieri. Ero contenta di tutto, in quei giorni, del mio amore per Nino, della mia tristezza, dell’affetto da cui mi sentivo circondata, della mia stessa capacità di leggere, pensare, riflettere in solitudine.

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34.

Poi, a fine agosto, quando stava per esaurirsi quel periodo straordinario, accaddero due cose importanti, di colpo, nella stessa giornata. Era il 25, me lo ricordo con precisione perché in quel giorno cadeva il mio compleanno. Mi alzai, preparai la colazione per tutti, a tavola dissi: «Oggi faccio quindici anni» e già mentre lo dicevo mi ricordai che Lila li aveva compiuti l’11 ma, presa da tante emozioni, non me n’ero ricordata. Sebbene l’uso volesse che si festeggiassero soprattutto gli onomastici – i compleanni allora erano considerati irrilevanti –, i Sarratore e Nella

insistettero per fare una festicciola, in serata. Ne fui contenta. Loro si andarono a preparare per il mare, io mi misi a sparecchiare, quand’ecco che arrivò il postino.

Mi affacciai alla finestra, il postino disse che c’era una lettera per Greco. Andai giù di corsa col batticuore. Escludevo che i miei genitori mi avessero scritto. Era una lettera di Lila, di Nino? Era di Lila.

Lacerai la busta. Ne vennero fuori cinque fogli fittissimi, li divorai, ma non capii quasi niente di ciò che lessi. Oggi può sembrare anomalo, eppure andò proprio così: prima ancora di essere travolta dal contenuto, mi colpì che la scrittura conteneva la voce di Lila. Non solo. Fin dalle prime righe mi venne in mente La fata blu, l’unico suo testo che avessi letto prima di quello a parte i compitini delle elementari, e capii cosa, all’epoca, mi era piaciuto tanto.

C’era, nella Fata blu, la stessa qualità che mi colpiva adesso: Lila sapeva parlare attraverso la scrittura; a differenza di me quando scrivevo, a differenza di Sarratore nei suoi articoli e nelle poesie, a differenza anche di molti scrittori che avevo letto e che leggevo, lei si esprimeva con frasi sì curate, sì senza un errore pur non avendo continuato a studiare, ma – in più –

non lasciava traccia di innaturalezza, non si sentiva l’artificio della parola scritta. Leggevo e intanto vedevo, sentivo lei. La voce incastonata nella scrittura mi travolse, mi rapì ancor più di quando discutevamo a tu per tu: era

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