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rientro in bottega il padre gli aveva detto:
«Finalmente stai facendo una cosa buona».
«Cosa?».
«L’amicizia con Marcello Solara».
«Non c’è nessuna amicizia, papà».
«Allora vuol dire che fesso eri e fesso sei rimasto».
Fernando voleva dire che qualche cosa si stava muovendo e che il figlio, comunque volesse chiamare quella cosa coi Solara, avrebbe fatto bene a incoraggiarla. Aveva ragione. Marcello era tornato un paio di giorni dopo con le scarpe di suo nonno da risuolare; poi aveva invitato Rino a fare un giro in macchina; poi gli aveva voluto insegnare come si guidava; poi lo aveva spinto a fare le pratiche per prendere la patente, assumendosi l’onere di farlo esercitare alla guida del suo Millecento. Forse non si trattava di amicizia, ma i Solara sicuramente avevano preso Rino a benvolere.
Lila, tagliata fuori da quella frequentazione che si svolgeva tutta intorno alla calzoleria, dove lei non metteva più piede, sentendone parlare provava, a differenza del padre, una crescente preoccupazione. All’inizio si era ricordata della battaglia dei fuochi d’artificio e aveva pensato: Rino odia troppo i Solara, non può essere che si lasci abbindolare. Poi aveva dovuto constatare che le attenzioni di Marcello stavano seducendo il fratello maggiore ancor più che i suoi genitori. Conosceva ormai la fragilità di Rino, ma si arrabbiava ugualmente per come i Solara gli stavano entrando nella testa, facendone una specie di scimmiotto contento.
«Che c’è di male?» le obiettai una volta.
«Sono pericolosi».
«Qui è pericoloso tutto».
«Hai visto Michele cosa ha preso dall’automobile, a piazza dei Martiri?».
«No».
«Una sbarra di ferro».
«Gli altri avevano i bastoni».
«Tu non ci vedi, Lenù, ma la sbarra era tutta affilata in punta: volendo gliela poteva ficcare in petto, a uno di quelli, o nello stomaco».
«Be’, tu hai minacciato Marcello col trincetto».
A quel punto s’indispettì, disse che non capivo. E probabilmente era vero.
Il fratello era il suo, non il mio; e a me piaceva fare ragionamenti, lei invece aveva altre necessità, voleva tirar via Rino da quel rapporto. Ma appena faceva qualche accenno critico Rino la zittiva, la minacciava, a volte la
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picchiava. E insomma le cose, volenti o nolenti, andarono avanti, tanto avanti che una sera di fine giugno – io stavo a casa da Lila, la stavo aiutando a piegare le lenzuola asciutte, o altro, non mi ricordo – si aprì la porta di casa ed entrò Rino, seguito da Marcello.
Il ragazzo aveva invitato a cena Solara, e Fernando, che era tornato da poco dalla bottega, stanchissimo, lì per lì si seccò, ma poi si sentì onorato e si comportò con cordialità. Nunzia non ne parliamo: entrò in agitazione, ringraziò per le tre bottiglie di vino buono che Marcello aveva portato, tirò in cucina gli altri figli perché non disturbassero.
Io stessa fui coinvolta insieme a Lila nei preparativi della cena.
«Ci metto il veleno per gli scarafaggi» diceva Lila furiosa, ai fornelli, e ridevamo, mentre Nunzia ci zittiva.
«È venuto per sposarsi con te» la provocavo, «chiederà la tua mano a tuo padre».
«S’illude».
«Perché» chiedeva Nunzia in ansia, «se ti vuole gli dici di no?».
«Ma’, gli ho detto già di no».
«Veramente?».
«Sì».
«Tu che dici?».
«È così» confermai io.
«Tuo padre non lo deve mai sapere, se no ti uccide».
A cena parlò solo Marcello. Era evidente che si era autoinvitato e Rino, che non gli aveva saputo dire di no, a tavola stette quasi sempre zitto, oppure rideva senza motivo. Solara parlò rivolgendosi soprattutto a Fernando ma non dimenticando mai di versare l’acqua o il vino a Nunzia, a Lila, a me. Disse al padrone di casa quanto era stimato nel rione per la sua bravura di calzolaio.
Gli disse come il padre parlasse sempre molto bene della sua grande abilità.
Gli disse che Rino aveva per le sue competenze di calzolaio un’ammirazione senza limiti.
Fernando, anche un po’ per il vino, si commosse. Borbottò qualcosa in lode di Silvio Solara, e arrivò persino a dire che Rino era un gran lavoratore e stava diventando molto bravo. Allora Marcello attaccò a lodare il bisogno di migliorarsi. Disse che suo nonno aveva cominciato con un seminterrato, poi suo padre si era allargato e oggi il bar-pasticceria Solara era quello che era, lo conoscevano tutti, la gente veniva da ogni parte di Napoli a prendersi un caffè, a mangiare una pasta.
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«Che esagerazione» esclamò Lila, e il padre la fulminò con lo sguardo.