Ma Rino non si arrese, nei giorni seguenti continuò ad aggredire la sorella a parole e con le mani. Ogni volta che io e Lila ci incontravamo le vedevo un livido nuovo. Dopo un po’ la sentii rassegnata. Una mattina lui le impose di uscire insieme, di accompagnarlo fino alla calzoleria. Per strada cercarono entrambi, con mosse caute, un modo per smettere la guerra. Rino le disse che le voleva molto bene ma che lei non voleva il bene di nessuno, né dei genitori né dei fratelli. Lila mormorò: «Qual è il bene tuo, qual è il bene della nostra famiglia? Sentiamo». Passaggio dietro passaggio, lui le rivelò cosa aveva in mente.
«Se a Marcello le scarpe piacciono, papà cambia idea».
«Non credo».
«Sicuro. E se Marcello addirittura se le compra, papà capisce che i modelli tuoi sono buoni, che possono fruttare, e ci fa cominciare a lavorare».
«Noi tre?».
«Io, lui e casomai pure tu. Papà è capace di fare un paio di scarpe tutte rifinite in quattro giorni, al massimo cinque. E io, se m’impegno, ti faccio vedere che posso fare altrettanto. Le fabbrichiamo, le vendiamo e ci autofinanziamo; le fabbrichiamo, le vendiamo e ci autofinanziamo».
«A chi le vendiamo, sempre a Marcello Solara?».
«I Solara trafficano, conoscono gente che conta. Ci faranno la réclame».
«Ce la faranno gratis?».
«Se vogliono una piccola percentuale gliela diamo».
«E perché si dovrebbero accontentare di una piccola percentuale?».
«Mi hanno preso in simpatia».
«I Solara?».
«Sì».
Lila sospirò:
«Facciamo una cosa: io glielo dico a papà e vediamo che ne pensa».
«Non t’azzardare».
«O così o niente».
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Rino tacque, molto nervoso.
«Va bene. Comunque, parli tu che sai parlare meglio».
La sera stessa, a cena, davanti a suo fratello con la faccia rosso fuoco, Lila disse a Fernando che Marcello non solo aveva manifestato molta curiosità per l’iniziativa delle scarpe, ma che poteva essere addirittura interessato a comprarsele e che anzi, se si fosse appassionato alla questione dal punto di vista commerciale, avrebbe fatto molta pubblicità al prodotto negli ambienti che frequentava in cambio, naturalmente, di una piccola percentuale sulle vendite.
«Questo l’ho detto io» precisò Rino a occhi bassi, «non Marcello».
Fernando guardò la moglie: Lila capì che s’erano parlati e che erano già arrivati a una conclusione segreta.
«Domani» disse, «metto le vostre scarpe nella vetrina del negozio. Se qualcuno le vuol vedere, se se le vuole provare, se se le vuole comprare, se ci vuole fare qualsiasi cazzo di cosa, deve parlare con me, sono io che decido».
Qualche giorno dopo passai davanti alla bottega. Rino lavorava, Fernando lavorava, tutt’e due curvi, a testa bassa. Vidi in vetrina, tra scatole di cromatina e lacci, le belle, armoniose scarpe di marca Cerullo. Un cartello incollato al vetro, sicuramente di mano di Rino, diceva proprio così, pomposamente: “Qui scarpe di marca Cerullo”. Padre e figlio aspettavano che arrivasse la buona sorte.
Ma Lila era scettica, ingrugnata. Non dava nessun credito alle ipotesi ingenue del fratello e temeva la concordia indecifrabile tra il padre e la madre. S’aspettava insomma cose brutte. Passò una settimana, e nessuno mostrò il minimo interesse per le scarpe in vetrina, nemmeno Marcello. Solo perché incalzato da Rino, anzi quasi trascinato a forza nel negozio, Solara diede loro uno sguardo, ma come se avesse ben altro per la testa. Se le provò, certo, ma disse che gli stavano un po’ strette, se le sfilò subito e sparì senza nemmeno una parola di complimento, come se avesse mal di pancia e dovesse correre a casa. Delusione di padre e figlio. Ma due minuti dopo Marcello riapparve. Rino balzò in piedi di colpo, raggiante, e gli tese la mano come se un qualche accordo, per quel puro e semplice riaffacciarsi, fosse già stato stipulato. Ma Marcello lo ignorò e si rivolse direttamente a Fernando.
Disse tutto d’un fiato: «Io ho intenzioni assai serie, don Fernà: vorrei la mano di vostra figlia Lina».
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29.
Rino reagì a quella svolta con una febbre violentissima che lo tenne lontano dal lavoro per giorni. Quando bruscamente sfebbrò, ebbe manifestazioni inquietanti: si alzava dal letto in piena notte pur continuando a dormire, muto e agitatissimo andava alla porta, cercava di aprirla, si dimenava a occhi sbarrati. Nunzia e Lila, spaventate, lo trascinavano di nuovo a letto.
Fernando, invece, che insieme alla moglie aveva intuito subito le reali intenzioni di Marcello, parlò con sua figlia in modo calmo. Le spiegò che la proposta di Marcello Solara era importante non solo per il suo futuro, ma per quello di tutta la famiglia. Le disse che lei era ancora una bambina e che non era tenuta a dire di sì subito, ma aggiunse che lui, come padre, le consigliava di acconsentire. Un lungo fidanzamento in casa l’avrebbe piano piano abituata al matrimonio.
Lila gli rispose con altrettanta calma che piuttosto che fidanzarsi e poi sposarsi con Marcello Solara, si andava ad annegare negli stagni. Ne nacque una gran lite, che però non le fece cambiare opinione.
Io restai tramortita da quella notizia. Sapevo bene che Marcello voleva fidanzarsi con Lila a tutti i costi, ma mai mi sarebbe venuto in mente che alla nostra età si potesse ricevere una proposta di matrimonio. E invece Lila l’aveva ricevuta, e non aveva ancora quindici anni, non era mai stata fidanzata di nascosto, non aveva mai scambiato un bacio con nessuno. Mi schierai subito con lei. Sposarsi? Con Marcello Solara? Casomai fare anche bambini? No, assolutamente no. La incoraggiai a combattere quella nuova guerra contro il padre e giurai che l’avrei sostenuta, anche se lui già aveva smesso di essere calmo e ora la minacciava, diceva che per il suo bene le avrebbe rotto le ossa se non accettava un partito di quella importanza.
Ma non ebbi modo di restarle accanto. A metà luglio successe una cosa che avrei dovuto mettere in conto e che invece mi prese alla sprovvista e mi travolse. Un tardo pomeriggio, dopo il solito giro per il rione a ragionare con Lila su ciò che le stava accadendo e su come venirne fuori, tornai a casa e mi venne ad aprire mia sorella Elisa. Disse emozionata che in camera da pranzo
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c’era la sua maestra, vale a dire la Oliviero. Stava parlando con nostra madre.
Mi affacciai timidamente nella stanza, mia madre borbottò seccata:
«La maestra Oliviero dice che ti devi riposare, che ti sei stancata troppo».