"Unleash your creativity and unlock your potential with MsgBrains.Com - the innovative platform for nurturing your intellect." » » 🤍🤍🤍✨,,L'amica geniale'' di Elena Ferrante🤍🤍🤍✨

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Tornò a esaminare i disegni. Poi si sedette su uno sgabello, si tolse la scarpa destra.

«Che numero è?».

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«43, ma che potrebbe essere un 44» mentì Rino.

Lila, continuando a stupirci, si inginocchiò davanti a Stefano e servendosi del calzascarpe gli aiutò il piede a scivolare nella calzatura nuova. Poi gli tolse l’altra scarpa e fece la stessa operazione.

Stefano, che fino a quel momento aveva fatto la parte dell’uomo pratico, spicciativo, restò visibilmente turbato. Aspettò che Lila si rialzasse, e dopo restò seduto ancora per qualche secondo come per riprendere fiato. Poi si rimise in piedi, fece qualche passo.

«Sono strette» disse.

Rino ingrigì, deluso.

«Te le possiamo mettere nella macchina e allargarle» intervenne Fernando, ma con un tono incerto.

Stefano mi guardò, chiese:

«Come mi stanno?».

«Bene» dissi.

«Allora le prendo».

Fernando restò impassibile, Rino si rischiarò.

«Guarda, Ste’, che queste sono un modello esclusivo Cerullo, costano».

Stefano sorrise, prese un tono affettuoso: «E se non fossero un modello esclusivo Cerullo, secondo te me le comprerei? Quando sono pronte?».

Rino guardò il padre raggiante.

«Teniamole nella macchina almeno tre giorni» disse Fernando, ma era chiaro che avrebbe potuto dire dieci, venti, un mese, tanto aveva voglia di prendere tempo di fronte a quella inaspettata novità.

«Benissimo: voi pensate a un prezzo amichevole e io torno qui tra tre giorni e me le prendo».

Ripiegò i fogli coi disegni e se li mise in tasca sotto i nostri occhi perplessi.

Poi strinse la mano a Fernando, a Rino, e si diresse verso la porta.

«I disegni» disse Lila fredda.

«Te li posso riportare fra tre giorni?» chiese Stefano in tono cordiale, e senza aspettare risposta aprì la porta. Mi lasciò passare e uscì dopo di me.

Mi ero già accomodata in macchina accanto a lui quando Lila ci raggiunse.

Era arrabbiata:

«Ti credi che mio padre è scemo, che mio fratello è scemo?».

«Che vuoi dire?».

«Se pensi di fare il buffone con la mia famiglia e con me, ti sbagli».

«Mi stai offendendo: io non sono Marcello Solara».

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«E chi sei?».

«Un commerciante: le scarpe che hai disegnato non si sono mai viste. E

non dico solo queste che ho comprato, dico tutte».

«Dunque?».

«Dunque fammi pensare e ci vediamo fra tre giorni».

Lila lo fissò come se gli volesse leggere nella testa, non si allontanava dalla macchina. Alla fine disse una frase che io non avrei mai avuto il coraggio di pronunciare:

«Guarda che già Marcello ha provato in tutti i modi a comprarmi, ma a me non mi compra nessuno».

Stefano la guardò diritto negli occhi per un lungo secondo.

«Io non spendo una lira se non penso che me ne può fruttare cento».

Mise in moto e partimmo. Adesso ero sicura: il giro in automobile era stato una sorta di assenso giunto alla fine di parecchi incontri, di molto parlare.

Dissi fievole, in italiano:

«Per favore, Stefano, mi lasci all’angolo? Se mia madre mi vede in automobile con te mi spacca la faccia».

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38.

La vita di Lila cambiò in modo decisivo durante quel mese di settembre. Non fu facile, ma cambiò. Quanto a me, ero ritornata da Ischia innamorata di Nino, marchiata dalle labbra e dalle mani di suo padre, certa che avrei pianto notte e giorno a causa della miscela di felicità e orrore che mi sentivo dentro.

Invece non feci nemmeno il tentativo di cercare una forma per le mie emozioni, tutto si ridimensionò in poche ore. Accantonai la voce di Nino, il fastidio dei baffi di suo padre. L’isola sbiadì, si perse in qualche fondo segreto della mia testa. Feci posto a ciò che stava succedendo a Lila.

Nei tre giorni che seguirono al giro stupefacente nell’auto decappottabile, lei, con la scusa della spesa, andò spesso nella salumeria di Stefano, ma chiedendo sempre che l’accompagnassi. Lo feci col batticuore, spaventata da una possibile irruzione di Marcello, ma anche contenta del mio ruolo di confidente prodiga di consigli, di complice nel concepire trame, di oggetto apparente delle attenzioni di Stefano. Eravamo ragazzine, anche se ci immaginavamo perfidamente spregiudicate. Ricamavamo sui fatti –

Marcello, Stefano, le scarpe – con la nostra consueta passione e ci pareva che sapessimo far quadrare sempre tutto. «Gli dico così» lei ipotizzava, e io suggerivo una piccola variazione: «No, digli così». Poi lei e Stefano si parlavano fitto fitto in un angolo dietro il bancone, mentre Alfonso scambiava due parole con me, Pinuccia seccata serviva le clienti e Maria, alla cassa, spiava in apprensione il figlio grande che negli ultimi tempi badava poco al lavoro e alimentava i pettegolezzi delle comari.

Naturalmente improvvisavamo. Nel corso di quell’andirivieni cercai di capire cosa passasse veramente per la testa di Lila, in modo da essere in sintonia coi suoi obiettivi. In principio ebbi l’impressione che tendesse semplicemente a far guadagnare un po’ di soldi al padre e al fratello vendendo a caro prezzo a Stefano l’unico paio di scarpe prodotto dai Cerullo, ma presto mi sembrò che puntasse soprattutto a sbarazzarsi di Marcello servendosi del giovane salumiere. Decisiva, in questo senso, fu la volta che le chiesi:

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Are sens