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Le città nascoste. 2.

Non è felice, la vita a Raissa. Per le strade la gente cammina torcendosi le mani, impreca ai bambini che piangono, s’appoggia ai parapetti del fiume con le tem-pie tra i pugni, alla mattina si sveglia da un brutto sogno e ne comincia un altro. Tra i banconi dove ci si schiaccia tutti i momenti le dita col martello o ci si punge con l’ago, o sulle colonne di numeri tutti storti nei registri dei negozianti e dei banchieri, o davanti alle file di bicchieri vuoti sullo zinco delle bettole, meno male che le teste chine ti risparmiano dagli sguardi torvi. Dentro le case è peggio, e non occorre entrarci per saperlo: d’estate le finestre rintronano di litigi e piatti rotti.

Eppure, a Raissa, a ogni momento c’è un bambino che da una finestra ride a un cane che è saltato su una Letteratura italiana Einaudi

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Italo Calvino - Le città invisibili tettoia per mordere un pezzo di polenta caduto a un muratore che dall’ alto dell’impalcatura ha esclamato: –

Gioia mia, lasciami intingere! – a una giovane ostessa che solleva un piatto di ragú sotto la pergola, contenta di servirlo all’ombrellaio che festeggia un buon affare, un parasole di pizzo bianco comprato da una gran dama per pavoneggiarsi alle corse, innamorata d’un ufficiale che le ha sorriso nel saltare l’ultima siepe, felice lui ma piú felice ancora il suo cavallo che volava sugli ostacoli vedendo volare in cielo un francolino, felice uccello li-berato dalla gabbia da un pittore felice d’averlo dipinto piuma per piuma picchiettato di rosso e di giallo nella miniatura di quella pagina del libro in cui il filosofo di-ce: “Anche a Raissa, città triste, corre un filo invisibile che allaccia un essere vivente a un altro per un attimo e si disfa, poi torna a tendersi tra punti in movimento di-segnando nuove rapide figure cosicché a ogni secondo la città infelice contiene una città felice che nemmeno sa d’esistere”.

Le città e il cielo. 5.

Con tale arte fu costruita Andria, che ogni sua via corre seguendo l’orbita d’un pianeta e gli edifici e i luoghi della vita in comune ripetono l’ordine delle costellazioni e la posizione degli astri piú luminosi: Antares, Alpheratz, Capella, le Cefeidi. Il calendario della città è regolato in modo che lavori e uffici e cerimonie si di-spongono in una mappa che corrisponde al firmamento in quella data: cosí i giorni in terra e le notti in cielo si ri-specchiano.

Pur attraverso una regolamentazione minuziosa, la vi-ta della città scorre calma come il moto dei corpi celesti e acquista la necessità dei fenomeni non sottoposti all’arbitrio umano. Ai cittadini d’Andria, lodandone le Letteratura italiana Einaudi

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Italo Calvino - Le città invisibili produzioni industriose e l’agio dello spirito, m’indussi a dichiarare: – Bene comprendo come voi, sentendovi parte d’un cielo immutabile, ingranaggi d’una meticolo-sa orologeria, vi guardiate dall’apportare alla vostra città e ai vostri costumi il piú lieve cambiamento. Andria è la sola città che io conosca cui convenga restare immobile nel tempo.

Si guardarono interdetti. – Ma perché mai? E chi l’ha detto? – E mi condussero a visitare una via pensile aperta di recente sopra un bosco di bambú, un teatro delle ombre in costruzione al posto del canile municipale, ora tra-slocato nei padiglioni dell’ antico lazzaretto, abolito per la guarigione degli ultimi appestati, e – appena inaugura-ti – un porto fluviale, un statua di Talete, un toboga.

– E queste innovazioni non turbano il ritmo astrale della vostra città? – domandai.

– Cosí perfetta è la corrispondenza tra la nostra città e il cielo, – risposero, – che ogni cambiamento d’Andria comporta qualche novità tra le stelle –. Gli astronomi scrutano coi telescopi dopo ogni mutamento che ha luogo in Andria, e segnalano l’esplosione d’una nova, o il passare dall’arancione al giallo d’un remoto punto del firmamento, l’espandersi di una nebula, il curvarsi d’una spira della via lattea. Ogni cambiamento implica una catena d’altri cambiamenti, in Andria come tra le stelle: la città e il cielo non restano mai uguali.

Del carattere degli abitanti d’Andria meritano di essere ricordate due virtú: la sicurezza in se stessi e la pru-denza. Convinti che ogni innovazione nella città influisca sul disegno del cielo, prima d’ogni decisione calcolano i rischi e i vantaggi per loro e per l’insieme delle città e dei mondi.

Letteratura italiana Einaudi

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Italo Calvino - Le città invisibili Le città continue. 4.

Tu mi rimproveri perché ogni mio racconto ti trasporta nel bel mezzo d’una città senza dirti dello spazio che s’estende tra una città e l’altra: se lo coprano mari, campi di segale, foreste di larici, paludi. Ti risponderò con un racconto.

Per le vie di Cecilia, città illustre, incontrai una volta un capraio che spingeva rasente i muri un armento scampanante.

– Uomo benedetto dal cielo, – si fermò a chiedermi, –

sai dirmi il nome della città in cui ci troviamo?

– Che gli dei t’accompagnino! – esclamai. – Come puoi non riconoscere la molto illustre città di Cecilia?

– Compatiscimi, – rispose quello, – sono un pastore in transumanza. Tocca alle volte a me e alle capre di traversare città; ma non sappiamo distinguerle. Chiedimi il nome dei pascoli: li conosco tutti, il Prato tra le Rocce, il Pendio Verde, l’Erba in Ombra. Le città per me non hanno nome: sono luoghi senza foglie che separano un pascolo dall’altro, e dove le capre si spaventano ai crocevia e si sbandano. Io e il cane corriamo per tenere compatto l’armento.

– Al contrario di te, – affermai, – io riconosco solo le città e non distinguo ciò che è fuori. Nei luoghi disabitati ogni pietra e ogni erba si confonde ai miei occhi con ogni pietra ed erba.

Molti anni sono passati da allora; io ho conosciuto molte città ancora e ho percorso continenti. Un giorno camminavo tra angoli di case tutte uguali: mi ero perso.

Chiesi a un passante:– Che gli immortali ti proteggano, sai dirmi dove ci troviamo?

– A Cecilia, cosí non fosse! – mi rispose. – Da tanto camminiamo per le sue vie, io e le capre, e non s’arriva a uscirne...

Lo riconobbi, nonostante la lunga barba bianca: era il Letteratura italiana Einaudi

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Italo Calvino - Le città invisibili pastore di quella volta. Lo seguivano poche capre spela-te, che neppure piú puzzavano, tanto erano ridotte pelle e ossa. Brucavano cartaccia nei bidoni dei rifiuti.

– Non può essere! – gridai. – Anch’io, non so da quando, sono entrato in una città e da allora ho continuato ad addentrarmi per le sue vie. Ma come ho fatto ad arrivare dove tu dici, se mi trovavo in un’altra città, lontanissima da Cecilia, e non ne sono ancora uscito?

– I luoghi si sono mescolati, – disse il capraio, – Cecilia è dappertutto; qui una volta doveva esserci il Prato della Salvia Bassa. Le mie capre riconoscono le erbe dello spartitraffico.

Le città nascoste. 3.

Una Sibilla, interrogata sul destino di Marozia, disse:

– Vedo due città: una del topo, una della rondine.

L’oracolo fu interpretato cosí: oggi Marozia è una città dove tutti corrono in cunicoli di piombo come branchi di topi che si strappano di sotto i denti gli avanzi caduti dai denti dei topi piú minacciosi; ma sta per cominciare un nuovo secolo in cui tutti a Marozia voleran-no come le rondini nel cielo d’estate, chiamandosi come in un gioco, esibendosi in volteggi ad ali ferme, sgom-brando l’aria da zanzare e moscerini.

– È tempo che il secolo del topo abbia termine e cominci quello della rondine, – dissero i piú risoluti. E di fatto già sotto il torvo e gretto predominio topesco si sentiva, tra la gente meno in vista, covare uno slancio da rondini, che puntano verso l’aria trasparente con un agi-le colpo di coda e disegnano con la lama delle ali la curva d’un orizzonte che s’allarga.

Sono tornato a Marozia dopo anni; la profezia della Sibilla si considera avverata da tempo; il vecchio secolo è sepolto; il nuovo è al culmine. La città certo è cambia-Letteratura italiana Einaudi

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Italo Calvino - Le città invisibili ta, e forse in meglio. Ma le ali che ho visto in giro sono quelle d’ombrelli diffidenti sotto i quali palpebre pesan-ti s’abbassano sugli sguardi; gente che crede di volare ce n’è, ma è tanto se si sollevano dal suolo sventolando pa-landrane da pipistrello.

Succede pure che, rasentando i compatti muri di Marozia, quando meno t’aspetti vedi aprirsi uno spiraglio e apparire una città diversa, che dopo un istante è già sparita. Forse tutto sta a sapere quali parole pronunciare, quali gesti compiere, e in quale ordine e ritmo, oppure basta lo sguardo la risposta il cenno di qualcuno, basta che qualcuno faccia qualcosa per il solo piacere di farla, e perché il suo piacere diventi piacere altrui: in quel momento tutti gli spazi cambiano, le altezze, le distanze, la città si trasfigura, diventa cristallina, trasparente come una libellula. Ma bisogna che tutto capiti come per caso, senza dargli troppa importanza, senza la pretesa di star compiendo una operazione decisiva, tenendo ben presente che da un momento all’altro la Marozia di prima tornerà a saldare il suo soffitto di pietra ragnatele e muffa sulle teste.

L’oracolo sbagliava? Non è detto. Io lo interpreto in questo modo: Marozia consiste di due città: quella del topo e quella della rondine; entrambe cambiano nel tempo; ma non cambia il loro rapporto: la seconda è quella che sta per sprigionarsi dalla prima.

Le città continue. 5.

Per parlarti di Pentesilea dovrei cominciare a descriverti l’ingresso nella città. Tu certo immagini di vedere levarsi dalla pianura polverosa una cinta di mura, d’avvi-cinarti passo passo alla porta, sorvegliata dai gabellieri che già guatano storto ai tuoi fagotti. Fino a che non l’hai raggiunta ne sei fuori; passi sotto un archivolto e ti Letteratura italiana Einaudi

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Italo Calvino - Le città invisibili ritrovi dentro la città; il suo spessore compatto ti circonda; intagliato nella sua pietra c’è un disegno che ti si ri-velerà se ne segui il tracciato tutto spigoli.

Se credi questo, sbagli: a Pentesilea è diverso. Sono ore che avanzi e non ti è chiaro se sei già in mezzo alla città o ancora fuori. Come un lago dalle rive basse che si perde in acquitrini, cosí Pentesilea si spande per miglia intorno in una zuppa di città diluita nella pianura: casamenti pallidi che si dànno le spalle in prati ispidi, tra steccati di tavole e tettoie di lamiera. Ogni tanto ai margini della strada un in-fittirsi di costruzioni dalle magre facciate, alte alte o basse basse come in un pettine sdentato, sembra indicare che di là in poi le maglie della città si restringono. Invece tu prosegui e ritrovi altri terreni vaghi, poi un sobborgo arruginito d’officine e depositi, un cimitero, una fiera con le giostre, un mattatoio, ti inoltri per una via di botteghe macilente che si perde tra chiazze di campagna spelacchiata.

La gente che s’incontra, se gli chiedi: – Per Pentesilea? – fanno un gesto intorno che non sai se voglia dire:

“Qui”, oppure: “Piú in là”, o: “Tutt’in giro”, o ancora:

Are sens