"Unleash your creativity and unlock your potential with MsgBrains.Com - the innovative platform for nurturing your intellect." » » Le città invisibili" di Italo Calvino A2

Add to favorite Le città invisibili" di Italo Calvino A2

Select the language in which you want the text you are reading to be translated, then select the words you don't know with the cursor to get the translation above the selected word!




Go to page:
Text Size:

Allora Marco Polo parlò: – La tua scacchiera, sire, è un intarsio di due legni: ebano e acero. Il tassello sul quale si fissa il tuo sguardo illuminato fu tagliato in uno strato del tronco che crebbe in un anno di siccità: vedi come si di-spongono le fibre? Qui si scorge un nodo appena accenna-to: una gemma tentò di spuntare in un giorno di primave-ra precoce, ma la brina della notte l’obbligò a desistere –.

Il Gran Kan non s’era fin’allora reso conto che lo straniero sapesse esprimersi fluentemente nella sua lingua, ma non era questo a stupirlo. – Ecco un poro piú grosso: forse è stato il nido d’una larva; non d’un tarlo, perché appena nato avrebbe continuato a scavare, ma d’un bruco che ro-sicchiò le foglie e fu la causa per cui l’albero fu scelto per essere abbattuto... Questo margine fu inciso dall’ebanista con la sgorbia perché aderisse al quadrato vicino, piú spor-gente...

La quantità di cose che si potevano leggere in un pez-zetto di legno liscio e vuoto sommergeva Kublai; già Polo era venuto a parlare dei boschi d’ebano, delle zattere di tronchi che discendono i fiumi, degli approdi, delle donne alle finestre...

IX

Il Gran Kan possiede un atlante dove tutte le città dell’impero e dei reami circonvicini sono disegnate palazzo per palazzo e strada per strada, con le mura, i fiumi, i ponti, i porti, le scogliere. Sa che dai resoconti di Marco Polo è inutile aspettarsi notizie di quei luoghi che del resto ben conosce: come a Cambaluc, capitale della China, tre città quadrate stiano l’una dentro l’altra, con quattro templi ognuna e quattro porte che s’aprono seguendo le Letteratura italiana Einaudi

63

Italo Calvino - Le città invisibili stagioni; come all’isola di Giava infuri il rinoceronte alla carica col corno micidiale; come si peschino le perle in fondo al mare sulle coste di Maabar.

Kublai domanda a Marco: – Quando ritornerai al Po-nente, ripeterai alla tua gente gli stessi racconti che fai a me? – Io parlo parlo, – dice Marco, – ma chi m’ascolta ri-tiene solo le parole che aspetta. Altra è la descrizione del mondo cui tu presti benigno orecchio, altra quella che farà il giro dei capannelli di scaricatori e gondolieri sulle fondamenta di casa mia il giorno del mio ritorno, altra ancora quella che potrei dettare in tarda età, se venissi fatto prigioniero da pirati genovesi e messo in ceppi nella stessa cella con uno scrivano di romanzi d’avventura. Chi comanda al racconto non è la voce: è l’orecchio. – Alle volte mi pare che la tua voce mi giunga da lontano, mentre sono prigioniero d’un presente vistoso e invivibile, in cui tutte le forme di convivenza umana sono giunte a un estremo del loro ciclo e non si può immaginare quali nuove forme prenderanno. E ascolto dalla tua voce le ragioni invisibili di cui le città vivevano, e per cui forse, dopo morte, rivi-vranno.

Il Gran Kan possiede un atlante i cui disegni figurano l’orbe terracqueo tutt’insieme e continente per continente, i confini dei regni piú lontani, le rotte delle navi, i con-torni delle coste, le mappe delle metropoli piú illustri e dei porti piú opulenti. Ne sfoglia le carte sotto gli occhi di Marco Polo per metter alla prova il suo sapere. Il viaggiatore riconosce Costantinopoli nella città che incorona da tre rive un lungo stretto, un golfo sottile e un mare chiuso; ricorda che Gerusalem sovra duo colli è posta, d’impari altezza, e volti fronte a fronte; non esita nell’indicare Sa-marcanda e i suoi giardini.

Per altre città fa ricorso a descrizioni tramandate di bocca in bocca, o tira a indovinare basandosi su scarsi in-dizi: cosí Granada, iridata perla dei Califfi, Lubecca lindo porto boreale, Timbuctú che nereggia d’ebano e biancheg-Letteratura italiana Einaudi

64

Italo Calvino - Le città invisibili gia d’avorio, Parigi dove milioni d’uomini rincasano ogni giorno impugnando un filone di pane. In miniature colorate l’atlante raffigura luoghi abitati di forma insolita: un’oasi nascosta in una piega del deserto da cui spuntano solo le cime delle palme è di sicuro Nefta; un castello tra le sabbie mobili e le mucche che brucano prati salati dalle maree non può non ricordare il Monte San Michele; e non può essere che Urbino un palazzo che anziché sorgere entro le mura d’una città contiene una città tra le sue mura.

L’atlante raffigura anche città di cui né Marco né i geo-grafi sanno se ci sono e dove sono, ma che non potevano mancare tra le forme di città possibili: una Cuzco a pianta raggiata e multipartita che riflette l’ordine perfetto degli scambi, una Messico verdeggiante sul lago dominato dalla reggia di Moctezuma, una Novgorod con le cupole a bul-bo, una Lhassa che solleva bianchi tetti sopra il tetto nu-voloso del mondo. Anche per queste Marco dice un nome, non importa quale, e accenna a un itinerario per andarci.

Si sa che i nomi dei luoghi cambiano tante volte quante sono le lingue forestiere; e che ogni luogo può essere rag-giunto da altri luoghi, per le strade e le rotte piú diverse, da chi cavalca carreggia rema vola.

– Mi sembra che tu riconosci meglio le città sull’atlante che a visitarle di persona, – dice a Marco l’imperatore ri-chiudendo il libro di scatto.

E Polo: – Viaggiando ci s’accorge che le differenze si perdono: ogni città va somigliando a tutte le città, i luoghi si scambiano forma ordine distanze, un pulviscolo informe invade i continenti. Il tuo atlante custodice intatte le differenze: quell’assortimento di qualità che sono come le lettere del nome.

Il Gran Kan possiede un atlante in cui sono raccolte le mappe di tutte le città: quelle che elevano le loro mura su salde fondamenta, quelle che caddero in rovina e furono inghiottite dalla sabbia, quelle che esisteranno un giorno e al cui posto ancora non s’aprono che le tane delle lepri.

Letteratura italiana Einaudi

65

Italo Calvino - Le città invisibili Marco Polo sfoglia le carte, riconosce Gerico, Ur, Car-tagine, indica gli approdi alla foce dello Scamandro dove le navi achee per dieci anni attesero il reimbarco degli as-sedianti, fino a che il cavallo inchiavardato da Ulisse non fu trainato a forza d’argani per le porte Scee. Ma parlando di Troia, gli veniva d’attribuirle la forma di Costantinopoli e prevedere l’assedio con cui per lunghi mesi la stringe-rebbe Maometto, che astuto come Ulisse avrebbe fatto trainare le navi nottetempo su per i torrenti, dal Bosforo al Corno d’Oro, aggirando Pera e Galata. E dalla mesco-lanza di quelle due città ne risultava una terza, che potrebbe chiamarsi San Francisco e protendere ponti lunghissimi sul Cancello d’Oro e sulla baia, e arrampicare tramvai a cremagliera per vie tutte in salita, e fiorire come capitale del Pacifico di lí a un millennio, dopo il lungo assedio di trecento anni che porterebbe le razze dei gialli e dei neri e dei rossi a fondersi insieme alla superstite progenie dei bianchi in un impero piú vasto di quello del Gran Kan.

L’atlante ha queste qualità: rivela la forma delle città che ancora non hanno una forma né un nome. C’è la città a forma di Amsterdam, semicerchio rivolto a settentrione, coi canali concentrici: dei Principi, dell’Imperatore, dei Signori; c’è la città a forma di York, incassata tra le alte bru-ghiere, murata, irta di torri; c’è la città a forma di Nuova Amsterdam detta anche Nuova York, stipata di torri di vetro e acciaio su un’isola oblunga tra due fiumi, con le vie come profondi canali tutti diritti tranne Brodway.

Il catalogo delle forme è sterminato: finché ogni forma non avrà trovato la sua città, nuove città continueranno a nascere. Dove le forme esauriscono le loro variazioni e si disfano, comincia la fine delle città. Nelle ultime carte dell’atlante si diluivano reticoli senza principio né fine, città a forma di Los Angeles, a forma di Kyoto–Osaka, senza forma.

Letteratura italiana Einaudi

66

Italo Calvino - Le città invisibili Le città e i morti. 5.

Ogni città, come Laudomia, ha al suo fianco un’altra città i cui abitanti si chiamano con gli stessi nomi: è la Laudomia dei morti, il cimitero. Ma la speciale dote di Ludomia è d’essere, oltre che doppia, tripla, cioè di comprendere una terza Ludomia che è quella dei non nati.

Le proprietà della città doppia sono note. Piú la Laudomia dei vivi s’affolla e si dilata, piú cresce la distesa delle tombe fuori dalle mura. Le vie della Laudomia dei morti sono larghe appena quanto basta perché vi giri il carro del becchino, e vi s’affacciano edifici senza finestre; ma il tracciato delle vie e l’ordine delle dimore ripete quello della Laudomia viva, e come in essa le famiglie stanno sempre piú pigiate, in fitti loculi sovrapposti. Nei pomeriggi di bel tempo la popolazione vivente rende visita ai morti e decifra i propri nomi sulle loro lastre di pietra: a somiglianza della città dei vivi questa comunica una storia di fatiche, arrabbiature, illusioni, sentimenti; solo che qui tutto è diventato necessario, sottratto al ca-so, incasellato, messo in ordine. E per sentirsi sicura la Laudomia viva ha bisogno di cercare nella Laudomia dei morti la spiegazione di se stessa, anche a rischio di trovarvi di piú o di meno: spiegazioni per piú d’una Laudomia, per città diverse che potevano essere e non sono state, o ragioni parziali, contraddittorie, delusive.

Giustamente Laudomia assegna una residenza altrettanto vasta a coloro che ancora devono nascere; certo lo spazio non è in proporzione al loro numero che si sup-pone sterminato, ma essendo un luogo vuoto, circondato da un’architettura tutta nicchie e rientranze e scanalature, e potendosi attribuire ai non nati la dimensione che si vuole, pensarli grandi come topi o come bachi da seta o come formiche o uova di formica, nulla vieta d’immaginarli ritti o accoccolati su ogni aggetto o men-Letteratura italiana Einaudi

67

Italo Calvino - Le città invisibili sola che sporge dalle pareti, su ogni capitello o plinto, in fila oppure sparpagliati, intenti alle incombenze delle lo-ro vite future, e contemplare in una sbavatura del marmo l’intera Laudomia di qui a cento o mille anni, gremi-ta di moltitudini vestite in fogge mai viste, tutti per esempio in barracano color melanzana, o tutti con piume di tacchino sul turbante, e riconoscervi i discendenti propri e quelli delle famiglie alleate e nemiche, dei debi-tori e creditori, che vanno e vengono perpetuando i traf-fici, le vendette, i fidanzamenti d’amore o d’interesse. I viventi di Laudomia frequentano la casa dei non nati in-terrogandoli; i passi risuonano sotto le volte vuote; le domande si formulano in silenzio: ed è sempre di sé che chiedono i vivi, e non di quelli che verranno; chi si preoccupa di lasciare illustre memoria di sé, chi di far dimenticare le sue vergogne; tutti vorrebbero seguire il filo delle conseguenze dei propri atti; ma piú aguzzano lo sguardo, meno riconoscono una traccia continua; i nascituri di Laudomia appaiono puntiformi come gra-nelli di polvere, staccati dal prima e dal poi.

La Laudomia dei non nati non trasmette, come quella dei morti, una qualche sicurezza agli abitanti della Laudomia viva, ma solo sgomento. Ai pensieri dei visitatori finiscono per aprirsi due strade, e non si sa quale riserbi piú angoscia: o si pensa che il numero dei nascituri su-peri di gran lunga quello di tutti i vivi e tutti i morti, e allora in ogni poro della pietra s’accalcano folle invisibili, stipate sulle pendici dell’imbuto come sulle gradinate d’uno stadio, e poiché a ogni generazione la discenden-za di Laudomia si moltiplica, in ogni imbuto s’aprono centinaia d’imbuti ognuno con milioni di persone che devono nascere e protendono i colli e aprono la bocca per non soffocare; oppure si pensa che anche Laudomia scomparirà, non si sa quando, e tutti i suoi cittadini con lei, cioè le generazioni si succederanno fino a raggiungere una cifra e non andranno piú in la, e allora la Laudo-Letteratura italiana Einaudi

68

Italo Calvino - Le città invisibili mia dei morti e quella dei non nati sono come le due ampolle d’una clessidra che non si rovescia, ogni passaggio tra la nascita e la morte è un granello di sabbia che attraversa la strozzatura, e ci sarà un ultimo abitante di Laudomia a nascere, un ultimo granello a cadere che ora è qui che aspetta in cima al mucchio.

Le città e il cielo. 4.

Chiamati a dettare le norme per la fondazione di Perinzia gli astronomi stabilirono il luogo e il giorno secondo la posizione delle stelle, tracciarono le linee incrocia-te del decumano e del cardo orientate l’una come il corso del sole e l’altra come l’asse attorno a cui ruotano i cieli, divisero la mappa secondo le dodici case dello zodiaco in modo che ogni tempio e ogni quartiere riceves-se il giusto influsso dalle costellazioni opportune, fissa-rono il punto delle mura in cui aprire le porte prevedendo che ognuna inquadrasse un’eclisse di luna nei prossimi mille anni. Perinzia – assicurarono – avrebbe rispecchiato l’armonia del firmamento; la ragione della natura e la grazia degli dei avrebbero dato forma ai destini degli abitanti.

Seguendo con esattezza i calcoli degli astronomi, Perinzia fu edificata; genti diverse vennero a popolarla; la prima generazione dei nati a Perinzia prese a crescere tra le sue mura; e questi alla loro volta raggiunsero l’età di sposarsi e avere figli.

Nelle vie e piazze di Perinzia oggi incontri storpi, na-ni, gobbi, obesi, donne con la barba. Ma il peggio non si vede; urli gutturali si levano dalle cantine e dai granai, dove le famiglie nascondono i figli con tre teste o con sei gambe.

Gli astronomi di Perinzia si trovano di fronte a una difficile scelta: o ammettere che tutti i loro calcoli sono Letteratura italiana Einaudi

69

Italo Calvino - Le città invisibili sbagliati e le loro cifre non riescono a descrivere il cielo, o rivelare che l’ordine degli dei è proprio quello che si rispecchia nella città dei mostri.

Le città continue. 3.

Ogni anno nei miei viaggi faccio sosta a Procopia e prendo alloggio nella stessa stanza della stessa locanda.

Fin dalla prima volta mi sono soffermato a contemplare il paesaggio che si vede spostando la tendina della finestra: un fosso, un ponte, un muretto, un albero di sorbo, un campo di pannocchie, un roveto con le more, un pollaio, un dosso di collina giallo, una nuvola bianca, un pezzo di cielo azzurro a forma di trapezio. Sono sicuro che la prima volta non si vedeva nessuno; è stato solo l’anno dopo che, a un movimento tra le foglie, ho potuto distinguere una faccia tonda e piatta che rosicchiava una pannocchia. Dopo un anno erano in tre sul muretto, e al mio ritorno ce ne vidi sei, seduti in fila, con le mani sui ginocchi e qualche sorba in un piatto. Ogni anno, appena entrato nella stanza, alzavo la tendina e contavo alcune facce in piú: sedici, compresi quelli giù nel fosso; ventinove,di cui otto appollaiati sul sorbo; quarantasette senza contare quelli nel pollaio. Si somigliano, sembrano gentili, hanno lentiggini sulle guance, sorridono, qualcuno con la bocca sporca di more. Presto vidi tutto il ponte pieno di tipi dalla faccia tonda, accoccolati perché non avevano piú posto per muoversi; sgranocchia-vano le pannocchie, poi rodevano i torsoli.

Cosí, un anno dopo l’altro ho visto sparire il fosso, l’albero , il roveto, nascosti da siepi di sorrisi tranquilli, tra le guance tonde che si muovono masticando foglie.

Non si ha idea, in uno spazio ristretto come quel campi-cello di granturco, quanta gente ci può stare, specie se messi seduti con le braccia intorno ai ginocchi, fermi.

Letteratura italiana Einaudi

70

Italo Calvino - Le città invisibili Devono essercene molti di piú di quanto sembra: il dosso della collina l’ho visto coprirsi d’una folla sempre piú fitta; ma da quando quelli sul ponte hanno preso l’abitudine di stare a cavalcioni l’uno sulle spalle dell’altro non riesco piú a spingere lo sguardo tanto in là.

Quest’anno, infine, a alzare la tendina, la finestra inquadra solo una distesa di facce: da un angolo all’altro, a tutti i livelli e a tutte le distanze, si vedono questi visi tondi, fermi, piatti piatti, con un accenno di sorriso, e in mezzo molte mani, che si tengono alle spalle di quelli che stanno davanti. Anche il cielo è sparito. Tanto vale che mi allontani dalla finestra.

Non che i movimenti mi siano facili. Nella mia stanza siamo alloggiati in ventisei: per spostare i piedi devo di-sturbare quelli che stanno accoccolati sul pavimento, mi faccio largo tra i ginocchi di quelli seduti sul cassettone e i gomiti di quelli che si dànno il turno per appoggiarsi al letto: tutte persone gentili, per fortuna.

Are sens