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In comune hanno questo: che su quanto succede in famiglia e in città trovano sempre da ridire, i Penati ti-rando in ballo i vecchi, i bisnonni, le prozie, la famiglia d’una volta, i Lari l’ambiente com’era prima che lo rovi-nassero. Ma non è detto che vivano solo di ricordi: alma-naccano progetti sulla carriera che faranno i bambini da grandi (i Penati), su cosa potrebbe diventare quella casa o quella zona (i Lari) se fosse in buone mani. A tendere l’orecchio, specie di notte, nelle case di Leandra, li senti parlottare fitto fitto, darsi sulla voce, rimandarsi motteg-gi, sbuffi, risatine ironiche.

Le città e i morti. 1.

A Melania, ogni volta che si entra nella piazza, ci si trova in mezzo a un dialogo: il soldato millantatore e il parassita uscendo da una porta s’incontrano col giovane scialacquatore e la meretrice; oppure il padre avaro dalla soglia fa le ultime raccomandazioni alla figlia amorosa ed è interrotto dal servo sciocco che va a portare un bi-glietto alla mezzana. Si ritorna a Melania dopo anni e si ritrova lo stesso dialogo che continua; nel frattempo so-no morti il parassita, la mezzana, il padre avaro; ma il soldato millantatore, la figlia amorosa, il servo sciocco hanno preso il loro posto, sostituiti alla loro volta dall’ipocrita, dalla confidente, dall’astrologo.

La popolazione di Melania si rinnova: i dialoganti muoiono a uno a uno e intanto nascono quelli che prenderanno posto a loro volta nel dialogo, chi in una parte chi nell’altra. Quando qualcuno cambia di parte o abbandona la piazza per sempre o vi fa il suo primo ingresso, si producono cambiamenti a catena, finché tutte le parti non sono distribuite di nuovo; ma intanto al vec-Letteratura italiana Einaudi

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Italo Calvino - Le città invisibili chio irato continua a rispondere la servetta spiritosa, l’usuraio non smette d’inseguire il giovane diseredato, la nutrice di consolare la figliastra, anche se nessuno di lo-ro conserva gli occhi e la voce che aveva nella scena pre-cedente.

Capita alle volte che un solo dialogante sostenga nello stesso tempo due o piú parti: tiranno, benefattore, mes-saggero; o che una parte sia sdoppiata, moltiplicata, at-tribuita a cento, a mille abitanti di Melania: tremila per l’ipocrita, trentamila per lo scroccone, centomila figli di re caduti in bassa fortuna che attendono il riconosci-mento.

Col passare del tempo anche le parti non sono piú esattamente le stesse di prima; certamente l’azione che esse mandano avanti attraverso intrighi e colpi di scena porta verso un qualche scioglimento finale, cui continua ad avvicinarsi anche quando la matassa pare ingarbu-gliarsi di piú e gli ostacoli aumentare. Chi s’affaccia alla piazza in momenti successivi sente che d’atto in atto il dialogo cambia, anche se le vite degli abitanti di Melania sono troppo brevi per accorgersene.

Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra.

– Ma qual è la pietra che sostiene il ponte? – chiedeKublai Kan.

– Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra, – risponde Marco, – ma dalla linea dell’arco che esse formano.

Kublai Kan rimane silenzioso, riflettendo. Poi soggiunge: – Perché mi parli delle pietre? È solo dell’arco chem’importa.

Polo risponde: – Senza pietre non c’è arco.

Letteratura italiana Einaudi

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Italo Calvino - Le città invisibili VI

– Ti è mai accaduto di vedere una città che assomigli aquesta? – chiedeva Kublai a Marco Polo sporgendo la ma-no inanellata fuori dal baldacchino di seta del bucintoroimperiale, a indicare i ponti che s’incurvano sui canali, ipalazzi principeschi le cui soglie di marmo s’immergononell’acqua, l’andirivieni di battelli leggeri che volteggianoa zigzag spinti da lunghi remi, le chiatte che scaricano ce-ste di ortaggi sulle piazze dei mercati, i balconi, le altane,le cupole, i campanili, i giardini delle isole che verdeggia-no nel grigio della laguna.

L’imperatore, accompagnato dal suo dignitario forestiero, visitava Quinsai, antica capitale di spodestate dinastie,ultima perla incastonata nella corona del Gran Kan.

– No, sire, – rispose Marco,– mai avrei immaginato chepotesse esistere una città simile a questa.

L’imperatore cercò di scrutarlo negli occhi. Lo stranieroabbassò lo sguardo. Kublai restò silenzioso per tutto ilgiorno.

Dopo il tramonto, sulle terrazze della reggia, Marco Po-lo esponeva al sovrano le risultanze delle sue ambascerie.

D’abitudine il Gran Kan terminava le sue sere assaporan-do a occhi socchiusi questi racconti finché il suo primo sba-diglio non dava il segnale al corteo dei paggi d’accendere lefiaccole per guidare il sovrano al Padiglione dell’AugustoSonno. Ma stavolta Kublai non sembrava disposto a cederealla stanchezza. – Dimmi ancora un’altra città,– insisteva.

– ...Di là l’uomo si parte e cavalca tre giornate tra grecoe levante... – riprendeva a dire Marco, e a enumerare no-mi e costumi e commerci d’un gran numero di terre. Il suorepertorio poteva dirsi inesauribile, ma ora toccò a luid’arrendersi. Era l’alba quando disse: – Sire, ormai ti hoparlato di tutte le città che conosco.

– Ne resta una di cui non parli mai.

Marco Polo chinò il capo.

Letteratura italiana Einaudi

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Italo Calvino - Le città invisibili

– Venezia, – disse il Kan.

Marco sorrise. – E di che altro credevi che ti parlassi?

L’imperatore non batté ciglio. – Eppure non ti ho maisentito fare il suo nome.

E Polo: – Ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia.

– Quando ti chiedo d’altre città, voglio sentirti dire diquelle. E di Venezia, quando ti chiedo di Venezia.

– Per distinguere le qualità delle altre, devo partire dauna prima città che resta implicita. Per me è Venezia.

– Dovresti allora cominciare ogni racconto dei tuoiviaggi dalla partenza, descrivendo Venezia cosí com’è, tutta quanta, senza omettere nulla di ciò che ricordi di lei.

L’acqua del lago era appena increspata; il riflesso di ra-me dell’antica reggia dei Sung si frantumava in riverberiscintillanti come foglie che galleggiano.

– Le immagini della memoria, una volta fissate con leparole, si cancellano, – disse Polo. – Forse Venezia hopaura di perderla tutta in una volta, se ne parlo. O forse,parlando d’altre città, l’ho già perduta poco a poco.

Le città e gli scambi. 5.

A Smeraldina, città acquatica, un reticolo di canali e un reticolo di strade si sovrappongono e s’intersecano.

Per andare da un posto a un altro hai sempre la scelta tra il percorso terrestre e quello in barca: e poiché la linea piú breve tra due punti a Smeraldina non è una retta ma uno zigzag che si ramifica in tortuose varianti, le vie che s’aprono a ogni passante non sono soltanto due ma molte, e ancora aumentano per chi alterna traghetti in barca e trasbordi all’asciutto.

Cosí la noia a percorrere ogni giorno le stesse strade è risparmiata agli abitanti di Smeraldina. E non è tutto: la rete dei passaggi non è disposta su un solo strato, ma se-Letteratura italiana Einaudi

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Italo Calvino - Le città invisibili gue un saliscendi di scalette, ballatoi, ponti a schiena d’asino, vie pensili. Combinando segmenti dei diversi tragitti sopraelevati o in superficie, ogni abitante si dà ogni giorno lo svago d’un nuovo itinerario per andare negli stessi luoghi. Le vite piú abitudinarie e tranquille a Smeraldina trascorrono senza ripetersi.

A maggiori costrizioni sono esposte, qui come altrove, le vite segrete e avventurose. I gatti di Smeraldina, i ladri, gli amanti clandestini si spostano per vie piú alte e discontinue, saltando da un tetto all’altro, calandosi da un’altana a un verone, contornando grondaie con passo da funamboli. Piú in basso, i topi corrono nel buio delle cloache l’uno dietro la coda dell’altro insieme ai congiu-rati e ai contabbandieri: fanno capolino da tombini e da chiaviche, svicolano per intercapedini e chiassuoli, tra-scinano da un nascondiglio all’altro croste di formaggio, mercanzie proibite, barili di polvere da sparo, attraversano la compattezza della città traforata dalla raggera dei cunicoli sotterranei.

Una mappa di Smeraldina dovrebbe comprendere, segnati in inchiostri di diverso colore, tutti questi trac-ciati, solidi e liquidi, palesi e nascosti. Piú difficile è fissare sulla carta le vie delle rondini, che tagliano l’aria sopra i tetti, calano lungo parabole invisibili ad ali ferme, scartano per inghiottire una zanzara, risalgono a spirale rasente un pinnacolo, sovrastano da ogni punto dei loro sentieri d’aria tutti i punti della città.

Le città e gli occhi. 4.

Giunto a Fillide, ti compiaci d’osservare quanti ponti diversi uno dall’altro attraversano i canali: ponti a schiena d’asino, coperti, su pilastri, su barche, sospesi, con i parapetti traforati; quante varietà di finestre s’affacciano sulle vie: a bifora, moresche, lanceolate, a sesto acuto, Letteratura italiana Einaudi

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Italo Calvino - Le città invisibili sormontate da lunette o da rosoni; quante specie di pavimenti coprano il suolo: a ciottoli, a lastroni, d’imbrec-ciata, a piastrelle bianche e blu. In ogni suo punto la città offre sorprese alla vista: un cespo di capperi che sporge dalle mura della fortezza, le statue di tre regine su una mensola, una cupola a cipolla con tre cipolline infilzate sulla guglia. “Felice chi ha ogni giorno Fillide sotto gli occhi e non finisce mai di vedere le cose che contiene”, esclami, col rimpianto di dover lasciare la città dopo averla solo sfiorata con lo sguardo.

Ti accade invece di fermarti a Fillide e passarvi il resto dei tuoi giorni. Presto la città sbiadisce ai tuoi occhi, si cancellano i rosoni, le statue sulle mensole, le cupole.

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