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Italo Calvino - Le città invisibili Le città e gli occhi. 1.

Gli antichi costruirono Valdrada sulle rive d’un lago con case tutte verande una sopra l’altra e vie alte che affacciano sull’acqua i parapetti a balaustra. Cosí il viaggiatore vede arrivando due città: una diritta sopra il lago e una riflessa capovolta. Non esiste o avviene cosa nell’una Valdrada che l’altra Valdrada non ripeta, perché la città fu costruita in modo che ogni suo punto fosse riflesso dal suo specchio, e la Valdrada giú nell’acqua contiene non solo tutte le scanalature e gli sbalzi delle facciate che s’elevano sopra il lago ma anche l’interno delle stanze con i soffitti e i pavimenti, la prospettiva dei corridoi, gli specchi degli armadi.

Gli abitanti di Valdrada sanno che tutti i loro atti so-no insieme quell’atto e la sua immagine speculare, cui appartiene la speciale dignità delle immagini, e questa loro coscienza vieta di abbandonarsi per un solo istante al caso e all’oblio. Anche quando gli amanti dànno volta ai corpi nudi pelle contro pelle cercando come mettersi per prendere l’uno dall’altro piú piacere, anche quando gli assassini spingono il coltello nelle vene nere del collo e piú sangue grumoso trabocca piú affondano la lama che scivola tra i tendini, non è tanto il loro accoppiarsi o trucidarsi che importa quanto l’accoppiarsi o trucidarsi delle loro immagini limpide e fredde nello specchio.

Lo specchio ora accresce il valore alle cose, ora lo ne-ga. Non tutto quel che sembra valere sopra lo specchio resiste se specchiato. Le due città gemelle non sono uguali, perché nulla di ciò che esiste o avviene a Valdrada è simmetrico: a ogni viso e gesto rispondono dallo specchio un viso o gesto inverso punto per punto. Le due Valdrade vivono l’una per l’altra, guardandosi negli occhi di continuo, ma non si amano.

Il Gran Kan ha sognato una città: la descrive a MarcoPolo:

Letteratura italiana Einaudi

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Italo Calvino - Le città invisibili

– Il porto è esposto a settentrione, in ombra. Le banchi-ne sono alte sull’acqua nera che sbatte contro le murate; viscendono scale di pietra scivolose d’alghe. Barche spalma-te di catrame aspettano all’ormeggio i partenti che s’attar-dano sulla calata a dire addio alle famiglie. I commiati sisvolgono in silenzio ma con lacrime. Fa freddo; tutti portano scialli sulla testa. Un richiamo del barcaiolo troncagli indugi; il viaggiatore si rannicchia a prua, s’allontanaguardando verso il capannello dei rimasti; da riva già nonsi distinguono i lineamenti; c’è foschia; la barca accosta unbastimento all’ancora; sulla scaletta sale una figura rim-picciolita; sparisce; si sente alzare la catena arrugginita cheraschia contro la cubia. I rimasti s’affacciano agli spalti sopra la scogliera del molo, per seguire con gli occhi la navefino a che doppia il capo; agitano un’ultima volta un cen-cio bianco.

– Mettiti in viaggio, esplora tutte le coste e cerca questacittà, – dice il Kan a Marco. – Poi torna a dirmi se il miosogno risponde al vero.

– Perdonami, signore: non c’è dubbio che presto o tardim’imbarcherò a quel molo, – dice Marco, – ma non tor-nerò a riferirtelo. La città esiste e ha un semplice segreto:conosce solo partenze e non ritorni.

IV

Le labbra strette sul cannello d’ambra della pipa, labarba schiacciata contro la gorgera d’ametiste, gli alluciinarcati nervosamente nelle pantofole di seta, Kublai Kanascoltava i resoconti di Marco Polo senza sollevare le ci-glia. Erano le sere in cui un vapore ipocondriaco gravavasul suo cuore.

– Le tue città non esistono. Forse non sono mai esistite.

Per certo non esisteranno piú. Perché ti trastulli con favo-le consolanti? So bene che il mio impero marcisce come Letteratura italiana Einaudi

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Italo Calvino - Le città invisibiliun cadavere nella palude, il cui contagio appesta tanto icorvi che lo beccano quanto i bambú che crescono conci-mati dal suo liquame. Perché non mi parli di questo? Perché menti all’imperatore dei tartari, straniero?

Polo sapeva secondare l’umore nero del sovrano. – sí,l’impero è malato e, quel che è peggio, cerca d’assuefarsialle sue piaghe. Il fine delle mie esplorazioni è questo:scrutando le tracce di felicità che ancora s’intravvedono,ne misuro la penuria. Se vuoi sapere quanto buio hai intorno, devi aguzzare lo sguardo sulle fioche luci lontane.

Alle volte il Kan era invece visitato da soprassaltid’euforia. Si sollevava sui cuscini, misurava a lunghi passii tappeti stesi sotto i suoi piedi sulle aiole, s’affacciava allebalaustre delle terrazze per dominare con occhio allucina-to la distesa dei giardini della reggia rischiarati dalle lan-terne appese ai cedri.

– Eppure io so, – diceva, – che il mio impero è fatto della materia dei cristalli, e aggrega le sue molecole secondoun disegno perfetto. In mezzo al ribollire degli elementiprende forma un diamante splendido e durissimo, un’immensa montagna sfaccettata e trasparente. Perché le tueimpressioni di viaggio si fermano alle delusive apparenzee non colgono questo processo inarrestabile? Perché indugi in malinconie inessenziali? Perché nascondi all’imperatore la grandezza del suo destino?

E Marco: – Mentre al tuo cenno, sire, la città una e ultima innalza le sue mura senza macchia, io raccolgo le cene-ri delle altre città possibili che scompaiono per farle postoe non potranno piú essere ricostruite né ricordate. Solo seconoscerai il residuo d’infelicità che nessuna pietra prezio-sa arriverà a risarcire, potrai computare l’esatto numero dicarati cui il diamante finale deve tendere, e non sballerai icalcoli del tuo progetto dall’inizio.

Letteratura italiana Einaudi

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Italo Calvino - Le città invisibili Le città e i segni. 5.

Nessuno sa meglio di te, saggio Kublai, che non si de-ve mai confondere la città col discorso che la descrive.

Eppure tra l’una e l’altro c’è un rapporto. Se ti descrivo Olivia, città ricca di prodotti e guadagni, per significare la sua prosperità non ho altro mezzo che parlare di palazzi di filigrana con cuscini frangiati ai davanzali delle bifore; oltre la grata d’un patio una girandola di zampilli innaffia un prato dove un pavone bianco fa la ruota. Ma da questo discorso tu subito comprendi come Olivia è avvolta in una nuvola di fuliggine e d’unto che s’attacca alle pareti delle case; che nella ressa delle vie i rimorchi in manovra schiacciano i pedoni contro i muri. Se devo dirti dell’operosità degli abitanti, parlo delle botteghe dei sellai odorose di cuoio, delle donne che cicalano in-trecciando tappeti di rafia, dei canali pensili le cui casca-te muovono le pale dei mulini: ma l’immagine che queste parole evocano nella tua coscienza illuminata è il gesto che accompagna il mandrino contro i denti della fresa ripetuto da migliaia di mani per migliaia di volte al tempo fissato per i turni di squadra. Se devo spiegarti come lo spirito di Olivia tenda a una vita libera e a una civiltà sopraffina, ti parlerò di dame che navigano, can-tando la notte su canoe illuminate tra le rive d’un verde estuario; ma è soltanto per ricordarti che nei sobborghi dove sbarcano ogni sera uomini e donne come file di sonnambuli, c’è sempre chi nel buio scoppia a ridere, dà la stura agli scherzi e ai sarcasmi.

Questo forse non sai: che per dire d’Olivia non potrai tenere altro discorso. Se ci fosse un’Olivia davvero di bifore e pavoni, di sellai e tessitori di tappeti e canoe e estuari, sarebbe un misero buco nero di mosche, e per descrivertelo dovrei fare ricorso alle metafore della fuliggine, dello stridere di ruote, dei gesti ripetuti, dei sarcasmi. La menzogna non è nel discorso, è nelle cose.

Letteratura italiana Einaudi

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Italo Calvino - Le città invisibili Le città sottili. 4.

La città di Sofronia si compone di due mezze città. In una c’è il grande ottovolante dalle ripide gobbe, la giostra con la raggiera di catene, la ruota delle gabbie gire-voli, il pozzo della morte con i motociclisti a testa in giù, la cupola del circo col grappolo dei trapezi che pende in mezzo. L’altra mezza città è di pietra e marmo e cemento, con la banca, gli opifici, i palazzi, il mattatoio, la scuola e tutto il resto. Una delle mezze città è fissa, l’altra è provvisoria e quando il tempo della sua sosta è fini-to la schiodano, la smontano e la portano via, per tra-piantarla nei terreni vaghi d’un’altra mezza città.

Cosí ogni anno arriva il giorno in cui i manovali stac-cano i frontoni di marmo, calano i muri di pietra, i pilo-ni di cemento, smontano il ministero, il monumento, i docks, la raffineria di petrolio, l’ospedale, li caricano sui rimorchi, per seguire di piazza in piazza l’itinerario d’ogni anno. Qui resta la mezza Sofronia dei tirassegni e delle giostre, con il grido sospeso dalla navicella dell’ottovolante a capofitto, e comincia a contare quanti mesi, quanti giorni dovrà aspettare prima che ritorni la carovana e la vita intera ricominci.

Le città e gli scambi. 3.

Entrato nel territorio che ha Eutropia per capitale, il viaggiatore vede non una città ma molte, di eguale grandezza e non dissimili tra loro, sparse per un vasto e on-dulato altopiano. Eutropia è non una ma tutte queste città insieme; una sola è abitata, le altre vuote; e questo si fa a turno. Vi dirò ora come. Il giorno in cui gli abitanti di Eutropia si sentono assalire dalla stanchezza, e nessuno sopporta piú il suo mestiere, i suoi parenti, la sua casa e la sua via, i debiti, la gente da salutare o che Letteratura italiana Einaudi

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Italo Calvino - Le città invisibili saluta, allora tutta la cittadinanza decide di spostarsi nella città vicina che è lí ad aspettarli, vuota e come nuova, dove ognuno prenderà un altro mestiere, un’altra moglie, vedrà un altro paesaggio aprendo la finestra, passerà le sere in altri passatempi amicizie maldicenze.

Cosí la loro vita si rinnova di trasloco in trasloco, tra città che per l’esposizione o la pendenza o i corsi d’acqua o i venti si presentano ognuna con qualche differenza dalle altre. Essendo la loro società ordinata senza grandi differenze di ricchezza o di autorità, i passaggi da una funzione all’altra avvengono quasi senza scosse; la varietà è assicurata dalle molteplici incombenze, tali che nello spazio d’una vita raramente uno ritorna a un mestiere che già era stato il suo.

Cosí la città ripete la sua vita uguale spostandosi in su e in giù sulla sua scacchiera vuota. Gli abitanti tornano a recitare le stesse scene con attori cambiati; ridicono le stesse battute con accenti variamente combinati; spalan-cano bocche alternate in uguali sbadigli. Sola tra tutte le città dell’impero, Eutropia permane identica a se stessa.

Mercurio, dio dei volubili, al quale la città è sacra, fece questo ambiguo miracolo.

Le città e gli occhi. 2.

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