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Come tutti gli abitanti di Fillide, segui linee a zigzag da una via all’altra, distingui zone di sole e zone d’ombra, qua una porta, là una scala, una panca dove puoi posare il cesto, una cunetta dove il piede inciampa se non ci ba-di. Tutto il resto della città è invisibile. Fillide è uno spazio in cui si tracciano percorsi tra punti sospesi nel vuoto, la via piú breve per raggiungere la tenda di quel mercante evitando lo sportello di quel creditore. I tuoi passi rincorrono ciò che non si trova fuori degli occhi ma dentro, sepolto e cancellato: se tra due portici uno continua a sembrarti piú gaio è perché è quello in cui passava trent’anni fa una ragazza dalle larghe maniche ricamate, oppure è solo perché riceve la luce a una cert’ora come quel portico, che non ricordi piú dov’era.

Milioni d’occhi s’alzano su finestre ponti capperi ed è come scorressero su una pagina bianca. Molte sono le città come Fillide che si sottraggono agli sguardi tranne che se le cogli di sorpresa.

Letteratura italiana Einaudi

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Italo Calvino - Le città invisibili Le città e il nome. 3.

A lungo Pirra è stata per me una città incastellata sulle pendici d’un golfo, con finestre alte e torri, chiusa co-me una coppa, con al centro una piazza profonda come un pozzo e con un pozzo al centro. Non l’avevo mai vista. Era una delle tante città dove non sono mai arrivato, che m’immagino soltanto attraverso il nome: Eufrasia, Odile, Margara, Getullia. Pirra aveva il suo posto in mezzo a loro, diversa da ognuna di loro, come ognuna di loro inconfondibile agli occhi della mente.

Venne il giorno in cui i miei viaggi mi portarono a Pirra. Appena vi misi piede tutto quello che immagina-vo era dimenticato; Pirra era diventata ciò che è Pirra; e io credevo d’aver sempre saputo che il mare non è in vista della città, nascosto da una duna della costa bassa e ondulata; che le vie corrono lunghe e diritte; che le case sono raggruppate a intervalli, non alte, e le separano spiazzi di depositi di legname e segherie; che il vento muove le girandole delle pompe idrauliche. Da quel momento in poi il nome Pirra richiama alla mia mente questa vista, questa luce, questo ronzio, quest’aria in cui vo-la una polvere giallina: è evidente che significa e non poteva significare altro che questo.

La mia mente continua a contenere un gran numero di città che non ho visto né vedrò, nomi che portano con sé una figura o frammento o barbaglio di figura immaginata: Getullia, Odile, Eufrasia, Margara. Anche la città alta sul golfo è sempre là, con la piazza chiusa intorno al pozzo, ma non posso piú chiamarla con un nome, né ricordare come potevo darle un nome che significa tutt’altro.

Letteratura italiana Einaudi

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Italo Calvino - Le città invisibili Le città e i morti. 2.

Mai nei miei viaggi m’ero spinto fino a Adelma. Era l’imbrunire quando vi sbarcai. Sulla banchina il marinaio che prese al volo la cima e la legò alla bitta somigliava a uno che era stato soldato con me, ed era morto.

Era l’ora del mercato del pesce all’ingrosso. Un vecchio caricava una cesta di ricci su un carretto; credetti di ri-conoscerlo; quando mi voltai era sparito in un vicolo, ma avevo capito che somigliava a un pescatore che, già vecchio quando io ero bambino, non poteva piú essere tra i vivi. Mi turbò la vista d’un malato di febbri rannic-chiato per terra con una coperta sulla testa: mio padre pochi giorni prima di morire aveva gli occhi gialli e la barba ispida come lui tal quale. Girai lo sguardo; non osavo fissare piú nessuno in viso.

Pensai: “Se Adelma è una città che vedo in sogno, do-ve non s’incontrano che morti, il sogno mi fa paura. Se Adelma è una città vera, abitata da vivi, basterà continuare a fissarli perché le somiglianze si dissolvano e ap-paiano facce estranee, apportatrici d’angoscia. In un ca-so o nell’altro è meglio che non insista a guardarli”.

Un’erbivendola pesava una verza sulla stadera e la metteva in un paniere appeso a una cordicella che una ragazza calava da un balcone. La ragazza era uguale a una del mio paese che era impazzita d’amore e s’era uc-cisa. L’erbivendola alzò il viso: era mia nonna.

Pensai: “Si arriva a un momento nella vita in cui tra la gente che si è conosciuta i morti sono piú dei vivi. E la mente si rifiuta d’accettare altre fisionomie, altre espres-sioni: su tutte le facce nuove che incontra, imprime i vecchi calchi, per ognuna trova la maschera che s’adatta di piú”.

Gli scaricatori salivano le scale in fila, curvi sotto da-migiane e barili; le facce erano nascoste da cappucci di sacco; “Ora si tirano su e li riconosco”, pensavo, con im-Letteratura italiana Einaudi

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Italo Calvino - Le città invisibili pazienza e con paura. Ma non staccavo gli occhi da loro; per poco che girassi lo sguardo sulla folla che gremiva quelle straducole, mi vedevo assalito da facce inaspetta-te, riapparse da lontano, che mi fissavano come per farsi riconoscere, come per riconoscermi, come se mi avessero riconosciuto. Forse anch’io assomigliavo per ognuno di loro a qualcuno che era morto. Ero appena arrivato ad Adelma e già ero uno di loro, ero passato dalla loro parte, confuso in quel fluttuare d’occhi, di rughe, di smorfie.

Pensai: “Forse Adelma è la città cui si arriva morendo e in cui ognuno ritrova le persone che ha conosciuto. È

segno che sono morto anch’io”. Pensai anche: “È segno che l’aldilà non è felice “.

Le città e il cielo. 1.

A Eudossia, che si estende in alto e in basso, con vico-li tortuosi, scale, angiporti, catapecchie, si conserva un tappeto in cui puoi contemplare la vera forma della città. A prima vista nulla sembra assomigliare meno a Eudossia che il disegno del tappeto, ordinato in figure simmetriche che ripetono i loro motivi lungo linee rette e circolari, intessuto di gugliate dai colori splendenti, l’alternarsi delle cui trame puoi seguire lungo tutto l’or-dito. Ma se ti fermi a osservarlo con attenzione, ti per-suadi che a ogni luogo del tappeto corrisponde un luogo della città e che tutte le cose contenute nella città sono comprese nel disegno, disposte secondo i loro veri rapporti, quali sfuggono al tuo occhio distratto dall’andirivieni dal brulichio dal pigia–pigia. Tutta la confusione di Eudossia, i ragli dei muli, le macchie di nerofumo, l’odore di pesce, è quanto appare nella prospettiva par-ziale che tu cogli; ma il tappeto prova che c’è un punto dal quale la città mostra le sue vere proporzioni, lo sche-ma geometrico implicito in ogni suo minimo dettaglio.

Letteratura italiana Einaudi

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Italo Calvino - Le città invisibili Perdersi a Eudossia è facile: ma quando ti concentri a fissare il tappeto riconosci la strada che cercavi in un filo cremisi o indaco o amaranto che attraverso un lungo giro ti fa entrare in un recinto color porpora che è il tuo vero punto d’arrivo. Ogni abitante di Eudossia confronta all’ordine immobile del tappeto una sua immagine della città, una sua angoscia, e ognuno può trovare nascosta tra gli arabeschi una risposta, il racconto della sua vita, le svolte del destino.

Sul rapporto misterioso di due oggetti cosí diversi co-me il tappeto e la città fu interrogato un oracolo. Uno dei due oggetti, – fu il responso, – ha la forma che gli dei diedero al cielo stellato e alle orbite su cui ruotano i mondi; l’altro ne è un approssimativo riflesso, come ogni opera umana.

Gli àuguri già da tempo erano certi che l’armonico disegno del tappeto fosse di fattura divina; in questo senso fu interpretato l’oracolo, senza dar luogo a controversie.

Ma nello stesso modo tu puoi trarne la conclusione opposta: che la vera mappa dell’universo sia la città d’Eudossia cosí com’è, una macchia che dilaga senza forma, con vie tutte a zigzag, case che franano una sull’altra nel polverone, incendi, urla nel buio.

– ... Dunque è davvero un viaggio nella memoria, iltuo! – Il Gran Kan, sempre a orecchie tese, sobbalzavasull’amaca ogni volta che coglieva nel discorso di Marcoun’inflessione sospirosa. – È per smaltire un carico di nostalgia che sei andato tanto lontano! – esclamava, oppure:

– Con la stiva piena di rimpianti fai ritorno dalle tue spedizioni! – e soggiungeva, con sarcasmo: – Magri acquisti, adire il vero, per un mercante della Serenissima!

Era questo il punto cui tendevano tutte le domande diKublai sul passato e sul futuro, era da un’ora che ci gioca-va come il gatto col topo, e finalmente metteva Marco allestrette, piombandogli addosso, piantandogli un ginocchiodul petto, afferrandolo per la barba: – Questo volevo sape-Letteratura italiana Einaudi

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Italo Calvino - Le città invisibili re da te: confessa cosa contrabbandi: stati d’animo, stati di grazia, elegie!

Frasi e atti forse soltanto pensati, mentre i due, silen-ziosi e immobili, guardavano salire lentamente il fumo delle loro pipe. La nuvola ora si dissolveva su un filo di vento, ora restava sospesa a mezz’aria; e la risposta era in quella nuvola. Al soffio che portava via il fumo Marco pensava ai vapori che annebbiano la distesa del mare e le catene delle montagne e al diradarsi lasciano l’aria secca e diafana svelando città lontane. Era al di là di quello scher-mo d’umori volatili che il suo sguardo voleva giungere: la forma delle cose si distingue meglio in lontananza.

Oppure, la nuvola si fermava appena uscita dalle labbra, densa e lenta, e rimandava a un’altra visione: le esala-zioni che ristagnano sui tetti delle metropoli, il fumo opaco che non si disperde, la cappa di miasmi che pesa sulle vie bituminose. Non le labili nebbie della memoria né l’asciutta trasparenza, ma il bruciaticcio delle vite bruciate che forma una crosta sulle città, la spugna gonfia di materia vitale che non scorre piú, l’ingorgo di passato presente futuro che blocca le esistenze calcificate nell’illusione del movimento: questo trovavi al termine del viaggio.

VII

KUBLAI:– Non so quando hai avuto il tempo di visitare tutti i paesi che mi descrivi. A me sembra che tu non ti sia mai mosso da questo giardino.

POLO:– Ogni cosa che vedo e faccio prende senso in uno spazio della mente dove regna la stessa calma di qui, la stessa penombra, lo stesso silenzio percorso da fruscii di foglie. Nel momento in cui mi concentro a riflettere, mi ri-trovo sempre in questo giardino, a quest’ora della sera, al tuo augusto cospetto, pur seguitando senza un attimo di Letteratura italiana Einaudi

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Italo Calvino - Le città invisibili sosta a risalire un fiume verde di coccodrilli o a contare i barili di pesce salato che calano nella stiva.

KUBLAI:– Neanch’io sono sicuro d’essere qui, a pas-seggiare tra le fontane di porfido, ascoltando l’eco degli zampilli, e non a cavalcare incrostato di sudore e di sangue alla testa del mio esercito, conquistando i paesi che tu do-vrai descrivere, o a mozzare le dita degli assalitori che sca-lano le mura d’una fortezza assediata.

POLO:– Forse questo giardino esiste solo all’ombra delle nostre palpebre abbassate, e mai abbiamo interrotto, tu di sollevare polvere sui campi di battaglia, io di contrat-tare sacchi di pepe in lontani mercati, ma ogni volta che socchiudiamo gli occhi in mezzo al frastuono e alla calca ci è concesso di ritirarci qui vestiti di chimoni di seta, a con-siderare quello che stiamo vedendo e vivendo, a tirare le somme, a contemplare di lontano.

KUBLAI:– Forse questo nostro dialogo si sta svolgen-do tra due straccioni soprannominati Kublai Kan e Marco Polo, che stanno rovistando in uno scarico di spazzatura, ammucchiando rottami arrugginiti, brandelli di stoffa, cartaccia, e ubriachi per pochi sorsi di cattivo vino vedono intorno a loro splendere tutti i tesori dell’Oriente.

POLO:– Forse del mondo è rimasto un terreno vago ricoperto da immondezzai, e il giardino pensile della reggia del Gran Kan. Sono le nostre palpebre che li separano, ma non si sa quale è dentro e quale è fuori.

Le città gli occhi. 5.

Guadato il fiume, valicato il passo, l’uomo si trova di fronte tutt’a un tratto la città di Moriana, con le porte d’alabastro trasparenti alla luce del sole, le colonne di corallo che sostengono i frontoni incrostati di serpenti-na, le ville tutte di vetro come acquari dove nuotano le ombre delle danzatrici dalle squame argentate sotto i Letteratura italiana Einaudi

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Italo Calvino - Le città invisibili lampadari a forma di medusa. Se non è al suo primo viaggio l’uomo sa già che le città come questa hanno un rovescio: basta percorrere un semicerchio e si avrà in vista la faccia nascosta di Moriana, una distesa di lamiera arrugginita, tela di sacco, assi irte di chiodi, tubi neri di fuliggine, mucchi di barattoli, muri ciechi con scritte stinte, telai di sedie spagliate, corde buone solo per im-piccarsi a un trave marcio.

Da una parte all’altra la città sembra continui in prospettiva moltiplicando il suo repertorio d’immagini: invece non ha spessore, consiste solo in un dritto e in un rovescio, come un foglio di carta, con una figura di qua e una di là, che non possono staccarsi né guardarsi.

Are sens