Tre ipotesi si dànno sugli abitanti di Bauci: che odi-no la Terra; che la rispettino al punto d’evitare ogni contatto; che la amino com’era prima di loro e con cannocchiali e telescopi puntati in giú non si stanchino di passarla in rassegna, foglia a foglia, sasso a sasso, formica per formica, contemplando affascinati la propria assenza.
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Italo Calvino - Le città invisibili Le città e il nome. 2.
Dèi di due specie proteggono la città di Leandra. Gli uni e gli altri sono cosí piccoli che non si vedono e cosí numerosi che non si possono contare. Gli uni stanno sulle porte delle case, all’interno, vicino all’attaccapanni e al portaombrelli; nei traslochi seguono le famiglie e s’installano nei nuovi alloggi alla consegna delle chiavi.
Gli altri stanno in cucina, si nascondono di preferenza sotto le pentole, o nella cappa del camino, o nel riposti-glio delle scope: fanno parte della casa e quando la famiglia che ci abitava se ne va, loro restano coi nuovi inqui-lini; forse erano già lí quando la casa non c’era ancora, tra l’erbaccia dell’area fabbricabile, nascosti in un barattolo arrugginito; se si butta giú la casa e al suo posto si costruisce un casermone per cinquanta famiglie, ce li si ritrova moltiplicati, nella cucina d’altrettanti apparta-menti. Per distinguerli, chiameremo Penati gli uni e gli altri Lari.
In una casa, non è detto che i Lari stiano sempre coi Lari e i Penati coi Penati: si frequentano, passeggiano insieme sulle cornici di stucco, sui tubi dei termosifoni, commentano i fatti della famiglia, è facile che litighino, ma possono pure andar d’accordo per degli anni; a ve-derli tutti in fila non si distingue quale è l’uno e quale è l’altro. I Lari hanno visto passare tra le loro mura Penati delle piú diverse provenienze e abitudini; ai Penati tocca farsi un posto gomito a gomito coi Lari d’illustri palazzi decaduti, pieni di sussiego, o coi Lari di baracche di latta, permalosi e diffidenti.
La vera essenza di Leandra è argomento di discussioni senza fine. I Penati credono d’essere loro l’anima della città, anche se ci sono arrivati l’anno scorso, e di portarsi Leandra con sé quando emigrano. I Lari considerano i Penati ospiti provvisori, importuni, invadenti; la vera Leandra è la loro, che dà forma a tutto quello che contie-Letteratura italiana Einaudi
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Italo Calvino - Le città invisibili ne, la Leandra che era lí prima che tutti questi intrusi ar-rivassero e resterà quando tutti se ne saranno andati.
In comune hanno questo: che su quanto succede in famiglia e in città trovano sempre da ridire, i Penati ti-rando in ballo i vecchi, i bisnonni, le prozie, la famiglia d’una volta, i Lari l’ambiente com’era prima che lo rovi-nassero. Ma non è detto che vivano solo di ricordi: alma-naccano progetti sulla carriera che faranno i bambini da grandi (i Penati), su cosa potrebbe diventare quella casa o quella zona (i Lari) se fosse in buone mani. A tendere l’orecchio, specie di notte, nelle case di Leandra, li senti parlottare fitto fitto, darsi sulla voce, rimandarsi motteg-gi, sbuffi, risatine ironiche.
Le città e i morti. 1.
A Melania, ogni volta che si entra nella piazza, ci si trova in mezzo a un dialogo: il soldato millantatore e il parassita uscendo da una porta s’incontrano col giovane scialacquatore e la meretrice; oppure il padre avaro dalla soglia fa le ultime raccomandazioni alla figlia amorosa ed è interrotto dal servo sciocco che va a portare un bi-glietto alla mezzana. Si ritorna a Melania dopo anni e si ritrova lo stesso dialogo che continua; nel frattempo so-no morti il parassita, la mezzana, il padre avaro; ma il soldato millantatore, la figlia amorosa, il servo sciocco hanno preso il loro posto, sostituiti alla loro volta dall’ipocrita, dalla confidente, dall’astrologo.
La popolazione di Melania si rinnova: i dialoganti muoiono a uno a uno e intanto nascono quelli che prenderanno posto a loro volta nel dialogo, chi in una parte chi nell’altra. Quando qualcuno cambia di parte o abbandona la piazza per sempre o vi fa il suo primo ingresso, si producono cambiamenti a catena, finché tutte le parti non sono distribuite di nuovo; ma intanto al vec-Letteratura italiana Einaudi
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Italo Calvino - Le città invisibili chio irato continua a rispondere la servetta spiritosa, l’usuraio non smette d’inseguire il giovane diseredato, la nutrice di consolare la figliastra, anche se nessuno di lo-ro conserva gli occhi e la voce che aveva nella scena pre-cedente.
Capita alle volte che un solo dialogante sostenga nello stesso tempo due o piú parti: tiranno, benefattore, mes-saggero; o che una parte sia sdoppiata, moltiplicata, at-tribuita a cento, a mille abitanti di Melania: tremila per l’ipocrita, trentamila per lo scroccone, centomila figli di re caduti in bassa fortuna che attendono il riconosci-mento.
Col passare del tempo anche le parti non sono piú esattamente le stesse di prima; certamente l’azione che esse mandano avanti attraverso intrighi e colpi di scena porta verso un qualche scioglimento finale, cui continua ad avvicinarsi anche quando la matassa pare ingarbu-gliarsi di piú e gli ostacoli aumentare. Chi s’affaccia alla piazza in momenti successivi sente che d’atto in atto il dialogo cambia, anche se le vite degli abitanti di Melania sono troppo brevi per accorgersene.
Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra.
– Ma qual è la pietra che sostiene il ponte? – chiedeKublai Kan.
– Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra, – risponde Marco, – ma dalla linea dell’arco che esse formano.
Kublai Kan rimane silenzioso, riflettendo. Poi soggiunge: – Perché mi parli delle pietre? È solo dell’arco chem’importa.
Polo risponde: – Senza pietre non c’è arco.
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Italo Calvino - Le città invisibili VI
– Ti è mai accaduto di vedere una città che assomigli aquesta? – chiedeva Kublai a Marco Polo sporgendo la ma-no inanellata fuori dal baldacchino di seta del bucintoroimperiale, a indicare i ponti che s’incurvano sui canali, ipalazzi principeschi le cui soglie di marmo s’immergononell’acqua, l’andirivieni di battelli leggeri che volteggianoa zigzag spinti da lunghi remi, le chiatte che scaricano ce-ste di ortaggi sulle piazze dei mercati, i balconi, le altane,le cupole, i campanili, i giardini delle isole che verdeggia-no nel grigio della laguna.
L’imperatore, accompagnato dal suo dignitario forestiero, visitava Quinsai, antica capitale di spodestate dinastie,ultima perla incastonata nella corona del Gran Kan.
– No, sire, – rispose Marco,– mai avrei immaginato chepotesse esistere una città simile a questa.
L’imperatore cercò di scrutarlo negli occhi. Lo stranieroabbassò lo sguardo. Kublai restò silenzioso per tutto ilgiorno.
Dopo il tramonto, sulle terrazze della reggia, Marco Po-lo esponeva al sovrano le risultanze delle sue ambascerie.
D’abitudine il Gran Kan terminava le sue sere assaporan-do a occhi socchiusi questi racconti finché il suo primo sba-diglio non dava il segnale al corteo dei paggi d’accendere lefiaccole per guidare il sovrano al Padiglione dell’AugustoSonno. Ma stavolta Kublai non sembrava disposto a cederealla stanchezza. – Dimmi ancora un’altra città,– insisteva.
– ...Di là l’uomo si parte e cavalca tre giornate tra grecoe levante... – riprendeva a dire Marco, e a enumerare no-mi e costumi e commerci d’un gran numero di terre. Il suorepertorio poteva dirsi inesauribile, ma ora toccò a luid’arrendersi. Era l’alba quando disse: – Sire, ormai ti hoparlato di tutte le città che conosco.
– Ne resta una di cui non parli mai.
Marco Polo chinò il capo.
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Italo Calvino - Le città invisibili
– Venezia, – disse il Kan.
Marco sorrise. – E di che altro credevi che ti parlassi?