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Italo Calvino - Le città invisibili osterie dove equipaggi di diversa bandiera si rompono bottiglie sulla testa, alle finestre illuminate a pianterre-no, ognuna con una donna che si pettina.

Nella foschia della costa il marinaio distingue la forma d’una gobba di cammello, d’una sella ricamata di frange luccicanti tra due gobbe chiazzate che avanzano dondolando, sa che è una città ma la pensa come un cammello dal cui basto pendono otri e bisacce di frutta candita, vi-no di datteri, foglie di tabacco, e già si vede in testa ad una lunga carovana che lo porta via dal deserto del mare, verso oasi d’acqua dolce all’ombra seghettata delle palme, verso palazzi dalle spesse mura di calce, dai cortili di piastrelle su cui ballano scalze le dannzatrici, e muovono le braccia un po’ nel velo e un po’ fuori dal velo.

Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si op-pone; e cosí il cammelliere e il marinaio vedono Despina, città di confine tra due deserti.

Le città e i segni. 2.

Dalla città di Zirma i viaggiatori tornano con ricordi ben distinti: un negro cieco che grida nella folla, un paz-zo che si sporge dal cornicione d’un grattacielo, una ragazza che passeggia con un puma legato al guinzaglio. In realtà molti dei ciechi che battono il bastone sui selciati di Zirma sono negri, in ogni grattacielo c’è qualcuno che impazzisce, tutti i pazzi passano le ore sui cornicioni, non c’è puma che non sia allevato per un capriccio di ragazza. La città è ridondante: si ripete perché qualcosa arrivi a fissarsi nella mente.

Torno anch’io da Zirma: il mio ricordo comprende dirigibili che volano in tutti i sensi all’altezza delle finestre, vie di botteghe dove si disegnano tatuaggi sulla pelle ai marinai, treni sotterranei stipati di donne obese in preda all’afa. I compagni che erano con me nel viaggio Letteratura italiana Einaudi

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Italo Calvino - Le città invisibili invece giurano d’aver visto un solo dirigibile librarsi tra le guglie della città, un solo tatuatore disporre sul suo panchetto aghi e inchiostri e disegni traforati, una sola donna–cannone farsi vento sulla piattaforma d’un vago-ne. La memoria è ridondante: ripete i segni perché la città cominci a esistere.

Le città sottili. 1.

Isaura, città dai mille pozzi, si presume sorga sopra un profondo lago sotterraneo. Dappertutto dove gli abitanti scavando nella terra lunghi buchi verticali sono riu-sciti a tirar su dell’acqua, fin là e non oltre si è estesa la città: il suo perimetro verdeggiante ripete quello delle ri-ve buie del lago sepolto, un paesaggio invisibile condi-ziona quello visibile, tutto ciò che si muove al sole è spinto dall’onda che batte chiusa sotto il cielo calcareo della roccia.

Di conseguenza religioni di due specie si dànno a Isaura. Gli dei della città, secondo alcuni, abitano nella profondità, nel lago nero che nutre le vene sotterrranee.

Secondo altri gli dei abitano nei secchi che risalgono appesi alla fune quando appaiono fuori della vera dei pozzi, nelle carrucole che girano, negli argani delle norie, nelle leve delle pompe, nelle pale dei mulini a vento che tirano su l’acqua delle trivellazioni, nei castelli di tralic-cio che reggono l’avvitarsi delle sonde, nei serbatoi pensili sopra i tetti in cima a trampoli, negli archi sottili degli acquedotti, in tutte le colonne d’acqua, i tubi verticali, i saliscendi, i troppopieni, su fino alle girandole che sormontano le aeree impalcature d’Isaura, città che si muove tutta verso l’alto.

Inviati a ispezionare le remote province, i messi e gliesattori del Gran Kan facevano ritorno puntualmente allareggia di Kemenfú e ai giardini di magnolie alla cui ombra Letteratura italiana Einaudi

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Italo Calvino - Le città invisibiliKublai passeggiava ascoltando le loro lunghe relazioni. Gliambasciatori erano persiani armeni siriani copti turcoman-ni; l’imperatore è colui che è straniero a ciascuno dei suoisudditi e solo attraverso occhi e orecchi stranieri l’imperopoteva manifestare la sua esistenza a Kublai. In lingue incomprensibili al Kan i messi riferivano notizie intese in lingue a loro incomprensibili: da questo opaco spessore sonoroemergevano le cifre introitate dal fisco imperiale, i nomi e ipatronimici dei funzionari deposti e decapitati, le dimensioni dei canali d’irrigazione che i magri fiumi nutrivano intempi di siccità. Ma quando a fare il suo resoconto era ilgiovane veneziano, una comunicazione diversa si stabilivatra lui e l’imperatore. Nuovo arrivato e affatto ignaro dellelingue del Levante, Marco Polo non poteva esprimersi altrimenti che con gesti, salti, grida di meraviglia e d’orrore, la-trati o chiurli d’animali, o con oggetti che andava estraendodalle sue bisacce: piume di struzzo, cerbottane, quarzi, e di-sponendo davanti a sé come pezzi degli scacchi. Di ritornodalle missioni cui Kublai lo destinava, l’ingegnoso stranieroimprovvisava pantomime che il sovrano doveva interpreta-re: una città era designata dal salto d’un pesce che sfuggivaal becco del cormorano per cadere in una rete, un’altra cittàda un uomo nudo che attraversava il fuoco senza bruciarsi,una terza da un teschio che stringeva tra i denti verdi dimuffa una perla candida e rotonda. Il Gran Kan decifrava isegni, però il nesso tra questi e i luoghi visitati rimaneva incerto: non sapeva mai se Marco volesse rappresentareun’avventura occorsagli in viaggio, una impresa del fonda-tore della città, la profezia d’un astrologo, un rebus o unasciarada per indicare un nome. Ma, palese o oscuro che fosse, tutto quello che Marco mostrava aveva il potere degliemblemi, che una volta visti non si possono dimenticare néconfondere. Nella mente del Kan l’impero si rifletteva inun deserto di dati labili e intercambiabili come grani di sabbia da cui emergevano per ogni città e provincia le figureevocate dai logogrifi del veneziano.

Letteratura italiana Einaudi

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Italo Calvino - Le città invisibiliCol succedersi delle stagioni e delle ambascerie, Marcos’impratichí della lingua tartara e di molti idiomi di nazioni e dialetti di tribú. I suoi racconti erano adesso i piú precisi e minuziosi che il Gran Kan potesse desiderare e nonv’era quesito o curiosità cui non rispondessero. Eppureogni notizia su di un luogo richiamava alla mente dell’imperatore quel primo gesto o oggetto con cui il luogo erastato designato da Marco. Il nuovo dato riceveva un sensoda quell’emblema e insieme aggiungeva all’emblema unnuovo senso. Forse l’impero, pensò Kublai, non è altroche uno zodiaco di fantasmi della mente.

Il giorno in cui conoscerò tutti gli emblemi, – chiese a Marco, – riuscirò a possedere il mio impero, finalmente?

E il veneziano: – Sire, non lo credere: quel giorno saraitu stesso emblema tra gli emblemi.

II

– Gli altri ambasciatori mi avvertono di carestie, diconcussioni, di congiure, oppure mi segnalano miniere diturchesi nuovamente scoperte, prezzi vantaggiosi nellepelli di martora, proposte di forniture di lame damascate.

E tu? – chiese a Polo il Gran Kan. – Torni da paesi altrettanto lontani e tutto quello che sai dirmi sono i pensieriche vengono a chi prende il fresco la sera seduto sulla soglia di casa. A che ti serve, allora, tanto viaggiare?

– È sera, siamo seduti sulla scalinata del tuo palazzo,spira un po’ di vento, – rispose Marco Polo. – Qualsiasipaese le mie parole evochino intorno a te, lo vedrai da unosservatorio situato come il tuo, anche se al posto dellareggia c’è un villaggio di palafitte e se la brezza portal’odore d’un estuario fangoso.

– Il mio sguardo è quello di chi sta assorto e medita, loammetto. Ma il tuo? Tu attraversi arcipelaghi, tundre, catene di montagne. Tanto varrebbe che non ti muovessi di qui.

Letteratura italiana Einaudi

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Italo Calvino - Le città invisibiliIl veneziano sapeva che quando Kublai se la prendevacon lui era per seguire meglio il filo d’un suo ragionamen-to; e che le sue risposte e obiezioni trovavano il loro postoin un discorso che già si svolgeva per conto suo, nella testadel Gran Kan. Ossia, tra loro era indifferente che quesiti esoluzioni fossero enunciati ad alta voce o che ognuno deidue continuasse a rimurginarli in silenzio. Difatti stavanomuti, a occhi socchiusi, adagiati su cuscini, dondolando suamache, fumando lunghe pipe d’ambra.

Marco Polo immaginava di rispondere (o Kublai immaginava la sua risposta) che piú si perdeva in quartierisconosciuti di città lontane, piú capiva le altre città cheaveva attraversato per giungere fin là, e ripercorreva letappe dei suoi viaggi, e imparava a conoscere il porto dacui era salpato, e i luoghi familiari della sua giovinezza, ei dintorni di casa, e un campiello di Venezia dove correva da bambino.

A questo punto Kublai Kan l’interrompeva o immaginava d’interromperlo, o Marco Polo immmaginava d’essere interrotto, con una domanda come: – Avanzi col capovoltato sempre all’indietro? – oppure: – Ciò che vedi èsempre alle tue spalle? – o meglio: – Il tuo viaggio si svolge solo nel passato?

Tutto perché Marco Polo potesse spiegare o immaginare di spiegare o essere immaginato spiegare o riuscirefinalmente a spiegare a se stesso che quello che lui cercava era sempre qualcosa davanti a sé, e anche se si tratta-va del passato era un passato che cambiava man manoegli avanzava nel suo viaggio, perché il passato del viaggiatore cambia a seconda dell’itinerario compiuto, nondiciamo il passato prossimo cui ogni giorno che passa aggiunge un giorno, ma il passato piú remoto. Arrivando aogni nuova città il viaggiatore ritrova un suo passato chenon sapeva piú d’avere: l’estraneità di ciò che non sei piúo non possiedi piú t’aspetta al varco nei luoghi estranei enon posseduti.

Letteratura italiana Einaudi

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Italo Calvino - Le città invisibiliMarco entra in una città; vede qualcuno in una piazza vivere una vita o un istante che potevano essere suoi; al postodi quell’uomo ora avrebbe potuto esserci lui se si fosse fermato nel tempo tanto tempo prima, oppure se tanto tempoprima a un crocevia invece di prendere una strada avessepreso quella opposta e dopo un lungo giro fosse venuto atrovarsi al posto di quell’uomo in quella piazza. Ormai, daquel suo passato vero o ipotetico, lui è escluso; non può fermarsi; deve proseguire fino a un’altra città dove lo aspettaun altro suo passato, o qualcosa che forse era stato un suopossibile futuro e ora è il presente di qualcun altro. I futurinon realizzati sono solo rami del passato: rami secchi.

– Viaggi per rivivere il tuo passato? – era a questo punto la domanda del Kan, che poteva anche essere formulatacosí: – Viaggi per ritrovare il tuo futuro?

E la risposta di Marco: – L’altrove è uno specchio in negativo. Il viaggiatore riconosce il poco che è suo, scopren-do il molto che non ha avuto e non avrà.

Le città e la memoria. 5.

A Maurilia, il viaggiatore è invitato a visitare la città e nello stesso tempo a osservare certe vecchie cartoline il-lustrate che la rappresentano com’era prima: la stessa identica piazza con una gallina al posto della stazione degli autobus, il chiosco della musica al posto del caval-cavia, due signorine col parasole bianco al posto della fabbrica di esplosivi. Per non deludere gli abitanti occorre che il viaggiatore lodi la città nelle cartoline e la preferisca a quella presente, avendo però cura di contenere il suo rammarico per i cambiamenti entro regole precise: riconoscendo che la magnificenza a prosperità di Maurilia diventata metropoli, se confrontate con la vecchia Maurilia provinciale, non ripagano d’una certa grazia perduta, la quale può tuttavia essere goduta sol-Letteratura italiana Einaudi

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Are sens

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