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Add to favorite 🔥 🔥 "Il barone rampante" di Italo Calvino

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- Se ti riuscisse di sederti sull’altalena senza toccar terra, sì.

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Vicino all’altalena di Viola ce n’era un’altra, appesa allo stesso ramo, ma tirata su con un nodo alle funi perché non s’urtassero.

Cosimo dal ramo si lasciò scendere giù aggrappato a una delle funi, esercizio in cui era molto bravo perché nostra madre ci faceva fare molte prove di palestra, arrivò al nodo, lo sciolse, si pose in piedi sull’altalena e per darsi lo slancio spostò il peso del corpo piegandosi sulle ginocchia e scattando avanti. Così si spingeva sempre più in su.

Le due altalene andavano una in un senso una nell’altro e ormai arrivavano alla stessa altezza, e si passavano vicino a metà percorso.

- Ma se tu provi a sederti e a darti una spinta coi piedi, vai più in alto, - insinuò Viola. Cosimo le fece uno sberleffo.

- Vieni giù a darmi una spinta, sii bravo, - fece lei, sorridendogli, gentile.

- Ma no, io, s’era detto che non devo scendere a nessun costo... - e Cosimo ricominciava a non capire.

- Sii gentile.

- No.

- Ah, ah! Stavi già per cascarci. Se mettevi un piede per terra avevi già perso tutto! - Viola scese dall’altalena e prese a dare delle leggere spinte all’altalena di Cosimo. - Uh! - Aveva afferrato tutt’a un tratto il 0

sedile dell’altalena su cui mio fratello teneva i piedi e l’aveva rovesciato. Fortuna che Cosimo si teneva ben saldo alle corde!

Altrimenti sarebbe piombato a terra come un salame!

- Traditrice! - gridò, e s’arrampicò su, stringendosi alle due corde, ma la salita era molto più difficile della discesa, soprattutto con la bambina bionda che era in uno dei suoi momenti maligni e tirava le corde da giù in tutti i sensi.

Finalmente raggiunse il grosso ramo, e ci si mise a cavalcioni. Con la cravatta di pizzo s’asciugò il sudore dal viso. - Ah! ah! Non ce l’hai fatta!

- Per un pelo!

- Ma io ti credevo mia amica!

- Credevi! - e riprese a sventagliarsi.

- Violante! - proruppe in quel momento un’acuta voce femminile. -

Con chi stai parlando?

Sulla scalinata bianca che portava alla villa era apparsa una signora: alta, magra, con una larghissima gonna; guardava con l’occhialino.

Cosimo si ritrasse tra le foglie, intimidito.

- Con un giovane, ma tante, - disse la bambina, - che è nato in cima a un albero e per incantesimo non può metter piede a terra.

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Cosimo, tutto rosso, domandandosi se la bambina parlava così per prenderlo in giro davanti alla zia, o per prendere in giro la zia davanti a lui, o solo per continuare il gioco, o perché non le importava nulla né di lui né della zia né del gioco, si vedeva scrutato dall’occhialino della dama, che s’avvicinava all’albero come per contemplare uno strano pappagallo.

- Uh, mais c’est un des Piovasques, ce jeune homme, je crois.

Viens, Violante.

Cosimo avvampava d’umiliazione: l’averlo riconosciuto con quell’aria naturale, nemmeno domandandosi perché lui era lì, e l’aver subito richiamato la bambina, con fermezza ma senza severità, e Viola che docile, senza neanche voltarsi, seguiva il richiamo della zia; tutto pareva sottintendere ch’egli era persona di nessun conto, che quasi non esisteva nemmeno. Così quel pomeriggio straordinario sprofondava in una nube di vergogna.

Ma ecco che la bambina fa segno alla zia, la zia abbassa il capo, la bambina le dice qualcosa nell’orecchio. La zia ripunta l’occhialino su Cosimo. - Allora, signorino, - gli dice, - vuol favorire a prendere una tazza di cioccolata? Così faremo conoscenza anche noi, - e dà un’occhiata di sbieco a Viola, - visto che è già amico di famiglia.

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Restò lì a guardare zia e nipote a occhi tondi, Cosimo. Gli batteva forte il cuore. Ecco che era invitato dai d’Ondariva e d’Ombrosa, la famiglia più sussiegosa di quei posti, e l’umiliazione d’un momento prima si trasformava in rivincita e si vendicava di suo padre, venendo accolto da avversari che l’avevano sempre guardato dall’alto in basso, e Viola aveva interceduto per lui, e lui era ormai ufficialmente accettato come amico di Viola, e avrebbe giocato con lei in quel giardino diverso da tutti i giardini. Tutto questo provò Cosimo, ma, insieme, un sentimento opposto, se pur confuso: un sentimento fatto di timidezza, orgoglio, solitudine, puntiglio; e in questo contrasto di sentimenti mio fratello s’afferrò al ramo sopra di sé, s’arrampicò, si spostò nella parte più frondosa, passò su di un altro albero, disparve.

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III

Fu un pomeriggio che non finiva mai. Ogni tanto si sentiva un tonfo, un fruscio, come spesso nei giardini, e correvamo fuori sperando che fosse lui, che si fosse deciso a scendere. Macché, vidi oscillare la cima della magnolia col fiore bianco, e Cosimo apparire di là dal muro e scavalcarlo.

Gli andai incontro sul gelso. Vedendomi, parve contrariato; era ancora arrabbiato con me. Si sedette su un ramo del gelso più in su di me e si mise a farci delle tacche con lo spadino, come se non volesse rivolgermi parola.

- Si sale bene sul gelso, - dissi, tanto per parlare, - prima non 4

c’eravamo mai saliti...

Lui continuò a scalfire il ramo con la lama, poi disse, agro: - Allora, ti son piaciute le lumache?

Io protesi un canestro: - T’ho portato due fichi secchi. Mino, e un po’ di torta...

- T’hanno mandato loro? - fece lui, sempre scostante, ma già guardava il canestro inghiottendo saliva.

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