- No, sapessi, ho dovuto scappare di nascosto dall’Abate! - dissi in fretta. - Volevano tenermi a far lezione tutta la sera, perché non comunicassi con te, ma il vecchio s’è addormentato! La mamma è in pensiero che tu possa cadere e vorrebbe che ti si cercasse, ma il babbo da quando non t’ha visto più sull’elce dice che sei sceso e ti sei rimpiattato in qualche angolo a meditare sul malfatto e non c’è da aver paura.
- Io non sono mai sceso! - disse mio fratello.
- Sei stato nel giardino dei d’Ondariva?
- Sì, ma sempre da un albero all’altro, senza mai toccar terra!
- Perché? - chiesi io; era la prima volta che lo sentivo enunciare quella sua regola, ma ne aveva parlato come d’una cosa già convenuta tra noi, quasi tenesse a rassicurarmi di non avervi trasgredito; tanto che 5
io non osai più insistere nella mia richiesta di spiegazioni.
- Sai, - disse, invece di rispondermi, - è un posto che ci vuole dei giorni a esplorarlo tutto, dai d’Ondariva! Con alberi delle foreste dell’America, vedessi! - Poi si ricordò che con me era in lite e che quindi non doveva avere alcun piacere a comunicarmi le sue scoperte.
Troncò, brusco: - Comunque non ti ci porto. Tu puoi andare a spasso con Battista, d’ora in avanti, o col Cavalier Avvocato!
- No, Mino, portamici! - feci io, - non devi avercela con me per le lumache, erano schifose, ma io non ne potevo più di sentirli gridare!
Cosimo stava ingozzandosi di torta. - Ti metterò alla prova, - disse,
- devi dimostrarmi d’essere dalla parte mia, non dalla loro.
- Dimmi tutto quello che vuoi che faccia.
- Devi procurarmi delle corde, lunghe e forti, perché per fare certi passaggi devo legarmi; poi una carrucola, e ganci, chiodi di quelli grossi...
- Ma cosa vuoi fare? Una gru?
- Dovremo trasportare su molta roba, vedremo in seguito: tavole, canne...
- Vuoi costruire una capannuccia su un albero! E dove?
- Se sarà il caso. Il posto lo sceglieremo. Intanto il mio recapito è là 6
da quella quercia cava. Calerò il cestino con la fune e tu potrai metterci tutto quello di cui avrò bisogno.
- Ma perché? Parli come se tu restassi chissà quanto nascosto... Non credi che ti perdoneranno?
Si voltò rosso in viso. - Che me ne importa se mi perdonano? E poi non sono nascosto: io non ho paura di nessuno! E tu, hai paura di aiutarmi?
Non che io non avessi capito che mio fratello per ora si rifiutava di scendere, ma facevo fìnta di non capire per obbligarlo a pronunciarsi, a dire: «Sì, voglio restare sugli alberi fino all’ora di merenda, o fino al tramonto, o all’ora di cena, o finché non è buio», qualcosa che insomma segnasse un limite, una proporzione al suo atto di protesta.
Invece non diceva nulla di simile, e io ne provavo un po’ paura.
Chiamarono, da basso. Era nostro padre che gridava: - Cosimo!
Cosimo! - e poi, già persuaso che Cosimo non dovesse rispondergli: -
Biagio! Biagio! - chiamava me.
- Vado a vedere cosa vogliono. Poi ti vengo a raccontare, - dissi in fretta. Questa premura d’informare mio fratello, l’ammetto, si combinava a una mia fretta di svignarmela, per paura d’esser colto a confabulare con lui in cima al gelso e dover dividere con lui la 7
punizione che certo l’aspettava. Ma Cosimo non parve leggermi in viso quest’ombra di codardia: mi lasciò andare, non senz’aver ostentato con un’alzata di spalle la sua indifferenza per quel che nostro padre poteva avergli da dire.
Quando tornai era ancora lì; aveva trovato un buon posto per star seduto, su di un tronco capitozzato, teneva il mento sulle ginocchia e le braccia strette attorno agli stinchi.
- Mino! Mino! - feci, arrampicandomi, senza fiato. - T’hanno perdonato! Ci aspettano! C’è la merenda in tavola, e babbo e mamma sono già seduti e ci mettono le fette di torta nel piatto! Perché c’è una torta di crema e cioccolato, ma non fatta da Battista, sai! Battista dev’essersi chiusa in camera sua, verde dalla bile! Loro m’hanno carezzato sulla testa e m’hanno detto così: «Va’ dal povero Mino e digli che facciamo la pace e non ne parliamo più!» Presto, andiamo!
Cosimo mordicchiava una foglia. Non si mosse.
- Di’, - fece, - cerca di prendere una coperta, senza farti vedere, e portamela. Deve far freddo, qua, la notte.
- Ma non vorrai passare la notte sugli alberi! - Lui non rispondeva, il mento sui ginocchi, masticava una foglia e guardava dinanzi a sé.
Seguii il suo sguardo, che finiva dritto sul muro del giardino dei 8
d’Ondariva, là dove faceva capolino il bianco fior di magnolia, e più in là volteggiava un aquilone.
Così fu sera. I servi andavano e venivano apparecchiando tavola; nella sala i candelieri erano già accesi. Cosimo dall’albero doveva veder tutto; ed il Barone Arminio rivolto alle ombre fuori della finestra gridò: - Se vuoi restare lassù, morrai di fame!
Quella sera per la prima volta ci sedemmo a cena senza Cosimo. Lui era a cavallo d’un ramo alto dell’elce, di lato, cosicché ne vedevamo solo le gambe ciondoloni. Vedevamo, dico, se ci facevamo al davanzale e scrutavamo nell’ombra, perché la stanza era illuminata e fuori buio.
Perfino il Cavalier Avvocato si sentì in dovere d’affacciarsi e dir qualcosa, ma come suo solito riuscì a non esprimere un giudizio sulla questione. Disse: - Oooh... Legno robusto... Dura cent’anni... - poi alcune parole turche, forse il nome dell’elce; insomma, come se si stesse parlando dell’albero e non di mio fratello.
Nostra sorella Battista invece tradiva nei riguardi di Cosimo una specie d’invidia, come se, abituata a tener la famiglia col fiato sospeso per le sue stranezze, ora avesse trovato qualcuno che la superava; e continuava a mordersi le unghie (se le mangiava non alzando un dito 9
alla bocca, ma abbassandolo, con la mano a rovescio, il gomito alzato).
Alla Generalessa venne in mente di certi soldati di vedetta sugli alberi in un accampamento non so più se in Slavonia o in Pomerania, e di come riuscirono, avvistando i nemici, a evitare un’imboscata.