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Add to favorite 🔥 🔥 "Il barone rampante" di Italo Calvino

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La Sinforosa: a poco a poco, dai discorsi dei ladruncoli Cosimo apprese molte cose sul conto di questo personaggio. Con quel nome essi chiamavano una ragazzina delle ville, che girava su di un cavallino nano bianco, ed era entrata in amicizia con loro straccioni, e per un certo tempo li aveva protetti e anche, prepotente com’era, comandati. Correva sul cavallino bianco le strade e i sentieri, e quando vedeva frutta matura in frutteti incustoditi, li avvertiva, e accompagnava i loro assalti da cavallo come un ufficiale. Portava appeso al collo un corno da caccia; mentre loro saccheggiavano mandorli o peri, incrociava sul cavallino su e giù per le costiere, donde si 1

dominava la campagna, e appena vedeva movimenti sospetti di padroni o contadini che potevano scoprire i ladri e piombar loro addosso, dava fiato al corno. A quel suono, i monelli saltavano dagli alberi e correvano via; così non erano stati mai sorpresi, finché la bambina era rimasta con loro.

Cosa fosse successo poi, era più difficile da capire: quel

«tradimento» che Sinforosa aveva commesso ai loro danni un po’

pareva fosse l’averli attirati nella sua villa a mangiar frutta e poi fatti bastonare dai servi; un po’ pareva fosse l’aver prediletto uno di loro, un certo Bel-Loré, che per questo veniva ancora canzonato, e nello stesso tempo un altro, un certo Ugasso, e averli messi l’uno contro l’altro; e che appunto quella bastonatura dei servi non fosse stata in occasione d’un furto di frutta ma d’una spedizione dei due beniamini gelosi, che si erano finalmente alleati contro di lei; oppure si parlava anche di certe torte che lei aveva promesso a loro ripetute volte e finalmente dato, ma condite d’olio di ricino, per cui erano stati a torcersi la pancia per una settimana. Qualche episodio di questi o sul tipo di questi oppure tutti questi episodi insieme, avevano fatto sì che tra Sinforosa e la banda ci fosse stata una rottura, ed essi ora parlavano di lei con rancore ma insieme con rimpianto.

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Cosimo ascoltava queste cose tutt’orecchi, assentendo come se ogni particolare si ricomponesse in un’immagine a lui nota, e alla fine si decise a chiedere: - Ma in che villa sta, questa Sinforosa?

- Ma come, vuoi dire che non la conosci? Se siete vicini! La Sinforosa della villa d’Ondariva!

Cosimo non aveva certo bisogno di quella conferma per esser sicuro che l’amica dei vagabondi era Viola, la bambina dell’altalena. Era - io credo - proprio perché lei gli aveva detto di conoscere tutti i ladri di frutta dei dintorni, che lui s’era messo subito in cerca della banda.

Pure, da quel momento, la smania che lo muoveva, se pur sempre indeterminata, si fece più acuta. Avrebbe voluto ora guidare la banda a saccheggiare le piante della villa d’Ondariva, ora mettersi al servizio di lei contro di loro, magari prima incitandoli ad andare a darle noia per poi poterla difendere, ora far bravure che indirettamente le giungessero all’orecchio; e in mezzo a questi propositi seguiva sempre più straccamente la banda e quando loro scendevano dagli alberi lui restava solo e un velo di malinconia passava sul suo viso, come le nuvole passano sul sole.

Poi scattava d’improvviso e svelto come un gatto s’arrampicava per i rami e trascorreva su frutteti e giardini, canterellando tra i denti 1

chissacché, un canterellare nervoso, quasi muto, gli occhi fìssi in avanti che pareva non vedessero niente e lui si tenesse in equilibrio per istinto proprio come i gatti.

Così invasato lo vedemmo diverse volte passare sui rami del nostro giardino. - È là! È là! - scoppiavamo a gridare, perché ancora, qualunque cosa cercassimo di fare, era sempre lui il nostro pensiero, e contavamo le ore, i giorni che lui era sugli alberi, e nostro padre diceva: - È matto! È indemoniato! - e se la pigliava con l’Abate Fauchelafleur: - Non c’è che esorcizzarlo! Che aspettate, voi, dico a voi, l ’abbé, cosa state lì con le mani in mano! Ha il demonio in corpo, mio figlio, capite, sacré nom de Dieu!

L’Abate pareva riscuotersi tutt’a un tratto, la parola «demonio»

pareva risvegliargli in mente una precisa concatenazione di pensieri, e iniziava un discorso teologico molto complicato su come andasse rettamente intesa la presenza del demonio, e non si capiva se volesse contraddire mio padre o parlare così in generale: insomma, non si pronunciava sul fatto se una relazione tra il demonio e mio fratello fosse da reputarsi possibile o da escludersi a priori.

Il Barone si spazientiva, l’Abate perdeva il filo, io m’ero già annoiato. In nostra madre, invece, lo stato d’ansietà materna, da 1

sentimento fluido che sovrasta tutto, s’era consolidato, come in lei dopo un po’ tendeva a fare ogni sentimento, in decisioni pratiche e ricerche di strumenti adatti, come devono risolversi appunto le preoccupazioni d’un generale. Aveva scovato un cannocchiale da campagna, lungo, col treppiede; ci applicava l’occhio, e così passava le ore sulla terrazza della villa, regolando continuamente le lenti per tenere a fuoco il ragazzo in mezzo al fogliame, anche quando noi avremmo giurato che era fuori raggio.

- Lo vedi ancora? - le chiedeva dal giardino nostro padre, che andava avanti e indietro sotto gli alberi e non riusciva a scorgere mai Cosimo, se non quando l’aveva proprio sulla testa. La Generalessa faceva cenno di sì e insieme di star zitti, che non la disturbassimo, come seguisse movimenti di truppe su una altura. Era chiaro che a volte non lo vedeva per nulla, ma s’era fatta l’idea, chissà perché, che dovesse rispuntare in quel dato posto e non altrove, e ci teneva puntato il cannocchiale. Ogni tanto tra sé e sé doveva pur ammettere d’essersi sbagliata, e allora staccava l’occhio dalla lente e si metteva a esaminare una mappa catastale che teneva aperta sulle ginocchia, con una mano ferma sulla bocca in atteggiamento pensoso e l’altra che seguiva i geroglifici della carta finché non stabiliva il punto in cui suo 2

figlio doveva esser giunto, e, calcolata l’angolazione, puntava il cannocchiale su una qualsiasi cima d’albero in quel mare di foglie, metteva lentamente a fuoco le lenti, e da come le appariva sulle labbra un trepido sorriso capivamo che l’aveva visto, che lui era lì davvero!

Allora, ella poneva mano a certe bandierine colorate che aveva accanto allo sgabello, e ne sventolava una e poi l’altra con movimenti decisi, ritmati, come messaggi in un linguaggio convenzionale. (Io ne provai un certo dispetto, perché non sapevo che nostra madre possedesse quelle bandierine e le sapesse maneggiare, e certo sarebbe stato bello se ci avesse insegnato a giocare con lei alle bandierine, soprattutto prima, quand’eravamo tutti e due più piccoli; ma nostra madre non faceva mai nulla per gioco, e adesso non c’era più da sperare).

Devo dire che con tutta la sua attrezzatura da battaglia, rimaneva pur sempre madre lo stesso, col cuore stretto in gola, e il fazzoletto appallottolato in mano, però si sarebbe detto che fare la generalessa la riposasse, o che vivere quest’apprensione in veste da generalessa anziché di semplice madre le impedisse d’esserne straziata, proprio perché era una donnina delicata, che per unica difesa aveva quello stile militare ereditato dai Von Kurtewitz.

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Era lì che agitava una di quelle sue banderuole guardando nel cannocchiale, ed ecco che s’illumina tutta in viso e ride. Capimmo che Cosimo le aveva risposto. Come non so, forse sventolando il cappello, o facendo svettare un ramo. Certo che da allora nostra madre cambiò, non ebbe più l’apprensione di prima, e se pure il suo destino di madre fu così diverso da quello d’ogni altra, con un figlio così strano e perduto alla consueta vita degli affetti, lei questa stranezza di Cosimo finì per accettarla prima di tutti noi, come fosse paga, ora, di quei saluti che di là in poi ogni tanto imprevedibilmente le mandava, di quei silenziosi messaggi che si scambiavano.

Il curioso fu che nostra madre non si fece alcuna illusione che Cosimo, avendole mandato un saluto, si disponesse a metter fine alla sua fuga e a tornare tra noi. In questo stato d’animo invece viveva per-petuamente nostro padre e ogni pur minima novità che riguardasse Cosimo lo faceva almanaccare: - Ah sì? Avete visto? Tornerà? - Ma nostra madre, la più lontana da lui, forse, pareva la sola che riuscisse ad accettarlo com’era, forse perché non tentava di darsene una spiegazione.

Ma torniamo a quel giorno. Dietro a nostra madre fece capolino un momento pure Battista, che non s’affacciava quasi mai, e con aria 2

soave protendeva un piatto con certa pappa e alzava un cucchiaino: -

Cosimo... Vuoi? - Si prese uno schiaffo da suo padre e tornò in casa.

Chissà quale mostruosa poltiglia aveva preparato. Nostro fratello era scomparso.

Io smaniavo di seguirlo, soprattutto adesso che lo sapevo partecipe alle imprese di quella banda di piccoli pezzenti, e mi pareva che m’avesse aperto le porte d’un regno nuovo, da guardare non più con paurosa diffidenza ma con solidale entusiasmo. Facevo la spola tra la terrazza e un abbaino alto da dove potevo spaziare sulle chiome degli alberi, e di là, più con l’udito che con la vista, seguivo gli scoppi di gazzarra della banda per gli orti, vedevo le cime dei ciliegi agitarsi, ogni tanto affiorarne una mano che tastava e strappava, una testa spettinata o incappucciata in un sacco, e tra le voci sentivo anche quella di Cosimo e mi chiedevo: «Ma come fa a essere laggiù? Ora è poco era qui nel parco! Va già più svelto d’uno scoiattolo?»

Erano sui rossi susini sopra la Vasca Grande, ricordo, quando si sentì il corno. Anch’io lo udii, ma non ci feci caso, non sapendo cos’era. Ma loro! Mio fratello mi raccontò che restarono ammutoliti, e nella sorpresa di risentire il corno pareva non si ricordassero che era un segno d’allarme, ma si domandavano soltanto se avevano sentito 2

bene, se era di nuovo Sinforosa che girava per le strade col cavallino nano per avvertirli dei pericoli. A un tratto si scatenarono via dal frutteto ma non fuggivano per fuggire, fuggivano per cercare lei, per raggiungerla.

Solo Cosimo restò lì, il viso rosso come una fiamma. Ma appena ebbe visto correre i monelli e capito che andavano da lei, prese a spiccar salti sui rami rischiando di rompersi il collo ad ogni passo.

Viola era a una curva d’una strada in salita, ferma, una mano con le briglie posata sulla criniera del cavallino, l’altra che brandiva il frustino. Guardava di sotto in su questi ragazzi e si portava la punta del frustino alla bocca, mordicchiandolo. Il vestito era azzurro, il corno era dorato, appeso con una catenina al collo. I ragazzi s’erano fermati tutti insieme e anche loro mordicchiavano, susine o dita, o cicatrici che avevano sulle mani o sulle braccia, o lembi dei sacchi. E

pian piano, dalle loro bocche mordicchianti, quasi costretti per vincere un disagio, non spinti da un vero sentimento, se mai desiderosi d’essere contraddetti, principiarono a dire frasi quasi senza voce, che suonavano in cadenza come se cercassero di cantare: - Cosa sei...

venuta a fare... Sinforosa... ora ritorni... non sei più... nostra compagna... ah, ah, ah... ah, vigliacca...

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Uno sfrascar sui rami ed ecco, da un alto fico affaccia il capo Cosimo, tra foglia e foglia, ansando. Lei, di sotto in su, con quel frustino in bocca, guardava lui e loro appiattiti tutti nello stesso sguardo. Cosimo non resse: ancora con la lingua fuori sbottò: - Sai che non sono mai sceso dagli alberi da allora?

Le imprese che si basano su di una tenacia interiore devono essere mute e oscure; per poco uno le dichiari o se ne glori, tutto appare fatuo, senza senso o addirittura meschino. Così mio fratello appena pronunciate quelle parole non avrebbe mai voluto averle dette, e non gli importava più niente di niente, e gli venne addirittura voglia di scendere e farla finita. Tanto più quando Viola si tolse lentamente il frustino di bocca e disse, con un tono gentile: - Ah sì?... Bravo merlo!

Dalle bocche di quei pidocchiosi cominciò a muggire una risata, prima ancora che si aprissero e scoppiassero in ululati a crepapancia, e Cosimo lassù sul fico ebbe un tale soprassalto di rabbia che il fico essendo di legno traditore non resse, un ramo si spaccò sotto i suoi piedi. Cosimo precipitò come una pietra.

Cadde a braccia aperte, non si tenne. Fu quella l’unica volta, a dire il vero, durante il suo soggiorno sugli alberi di questa terra, che non ebbe la volontà e l’istinto di tenersi aggrappato. Senonché, un lembo 2

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