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Add to favorite 🔥 🔥 "Il barone rampante" di Italo Calvino

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di coda della marsina gli s’impigliò a un ramo basso: Cosimo a quattro spanne da terra si ritrovò appeso per aria con la testa in giù.

Il sangue alla testa gli pareva spinto dalla stessa forza del rossore di vergogna. E il suo primo pensiero sbarrando gli occhi all’incontrarlo e vedendo capovolti i ragazzi ululanti, ora presi da una generale furia di capriole in cui ricomparivano a uno a uno tutti per il verso giusto come aggrappati a una terra ribaltata sull’abisso, e la bambina bionda vo-lante sul cavallino impennato, il suo pensiero fu soltanto che quella era stata la prima volta che lui aveva parlato del suo stare sugli alberi e sarebbe stata anche l’ultima.

Con un guizzo dei suoi s’attaccò al ramo e si riportò a cavalcioni.

Viola, ricondotto il cavallino alla calma, ora pareva non aver badato a nulla di ciò che era successo. Cosimo dimenticò all’istante il suo smarrimento. La bambina portò il corno alle labbra e levò la cupa nota dell’allarme. A quel suono i monelli (cui - commentò più tardi Cosimo

- la presenza di Viola metteva in corpo un’eccitazione stranita come di lepri al chiar di luna) si lasciarono andare alla fuga. Si lasciarono andare così, come a un istinto, pur sapendo che lei aveva fatto per gioco, e facendo anche loro per gioco, e correvano giù per la discesa imitando il suono del corno, dietro a lei che galoppava sul cavallino 2

dalle gambe corte.

E andavano così alla cieca giù a rotta di collo, che ogni tanto non se la trovavano più davanti. Aveva scartato, era corsa fuori strada, seminandoli lì. Per dove andare? Galoppava giù per gli oliveti che scendevano a valle in uno smussato digradar di prati, e cercava l’olivo sul quale in quel momento stava arrancando Cosimo, e gli faceva un giro intorno al galoppo, e rifuggiva via. Poi di nuovo eccola al piede d’un altro olivo, mentre tra le fronde s’appigliava mio fratello. E così, seguendo linee contorte come i rami degli olivi, scendevano insieme per la valle.

I ladruncoli, quando se n’accorsero, e videro la tresca di quei due di ramo in sella, tutti insieme principiarono a fischiare, un fischio maligno di dileggio. E levando alto questo fischio, s’allontanavano giù verso Porta Capperi.

La bambina e mio fratello restarono soli a rincorrersi nell’oliveto, ma con delusione Cosimo notò che, sparita la marmaglia, l’allegria di Viola a quel gioco tendeva a sbiadire, come già stesse per cedere alla noia. E gli venne il sospetto che lei facesse tutto solo per far arrabbiare quegli altri, ma insieme anche la speranza che adesso facesse apposta per fare arrabbiare lui: quel che è certo è che aveva sempre bisogno di 2

far arrabbiare qualcuno per farsi più preziosa. (Tutti sentimenti appena percepiti, questi, da Cosimo ragazzo: in realtà rampava per quelle ruvide cortecce senza capir nulla, come un allocco, immagino).

Al giro d’un dosso ecco si leva una minuta violenta sassaiola di ghiaino. La bambina protegge il capo dietro il collo del cavallino e scappa; mio fratello, su un gomito di ramo ben in vista, rimane sotto il tiro. Ma i sassolini arrivano lassù troppo obliqui per far male, tranne qualcuno in fronte o nelle orecchie. Fischiano e ridono, quegli scatenati, gridano: - Sin-fo-ro-sa è una schi-fosa... - e scappano via.

Ora i monelli sono arrivati a Porta Capperi, guarnita di cascate verdi di capperi giù per le mura. Dalle catapecchie intorno viene un gridìo di madri. Ma questi sono bambini che la sera le madri non gridano per farli tornare, ma gridano perché sono tornati, perché vengono a cena a casa, invece d’andare a cercarsi da mangiare altrove. Attorno a Porta Capperi, in casupole e baracche d’assi, carrozzoni zoppicanti, tende, era assiepata la gente più povera d’Ombrosa, così povera da essere tenuta fuori dalle porte della città e lontana dalle campagne, gente sciamata via da terre e paesi lontani, cacciata dalla carestia e dalla miseria che s’espandeva in ogni Stato. Era il tramonto, e donne spettinate con bimbi al seno sventolavano fornelli fumosi, e men-2

dicanti si stendevano al fresco sbendando le piaghe, altri giocando ai dadi con rotti urli. I compagni della banda della frutta ora si mischiavano a quel fumo di frittura e a quegli alterchi, prendevano manrovesci dalle madri, s’azzuffavano tra loro rotolando nella polvere. E già i loro stracci avevano preso il colore di tutti gli altri stracci, e la loro allegria da uccelli invischiata in quell’aggrumarsi umano si sfaceva in una densa insulsaggine. Tanto che, all’apparizione della bambina bionda al galoppo e di Cosimo sugli alberi intorno, alzarono appena gli occhi intimiditi, si ritirarono in là, cercarono di perdersi tra il polverone e il fumo dei fornelli, come se tra loro si fosse d’improvviso alzato un muro.

Tutto questo per loro due fu un momento, un girare d’occhi. Ora Viola s’era lasciata alle spalle il fumo delle baracche che si mischiava con l’ombra della sera e gli strilli delle donne e dei bambini, e correva tra i pini della spiaggia.

Là c’era il mare. Si sentiva rotolare nei sassi. Era scuro. Un rotolio più sferragliante: era il cavallino che correva sprizzando scintille contro i ciottoli. Da un basso pino contorto, mio fratello guardava l’ombra chiara della bambina bionda attraversare la spiaggia. Un’onda appena crestata si levò dal mare nero, s’innalzò rimboccandosi, ecco 2

veniva avanti tutta bianca, si rompeva e l’ombra del cavallo con la ragazzina l’aveva sfiorata a gran carriera e sul pino a Cosimo uno spruzzo bianco d’acqua salata bagnò il viso.

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VI

Quelle prime giornate di Cosimo sugli alberi non avevano scopi o programmi ma erano dominate soltanto dal desiderio di conoscere e possedere quel suo regno. Avrebbe voluto subito esplorarlo fino agli estremi confini, studiare tutte le possibilità che esso gli offriva, scoprirlo pianta per pianta e ramo per ramo. Dico: avrebbe voluto, ma di fatto ce lo vedevamo di continuo ricapitare sulle nostre teste, con quell’aria indaffarata e rapidissima degli animali selvatici, che magari li si vedono anche fermi acquattati, ma sempre come se fossero sul punto di balzare via.

Perché tornava nel nostro parco? A vederlo volteggiare da un 3

platano a un leccio nel raggio del cannocchiale di nostra madre si sarebbe detto che la forza che lo spingeva, la sua passione dominante era pur sempre quella polemica con noi, il farci stare in pena o in rabbia. (Dico noi perché di me non ero ancora riuscito a capire cosa pensasse: quando aveva bisogno di qualcosa pareva che l’alleanza con me non potesse mai esser messa in dubbio; altre volte mi passava sulla testa come nemmeno mi vedesse).

Invece qui era soltanto di passaggio. Era il muro della magnolia che l’attirava, era là che lo vedevamo scomparire a tutte le ore, anche quando la ragazzina bionda non era certo ancora alzata o quando già lo stuolo di governanti o zie doveva averla fatta ritirare. Nel giardino dei d’Ondariva i rami si protendevano come proboscidi di straordinari ammali, e dal suolo s’aprivano stelle di foglie seghettate dalla verde pelle di rettile, e ondeggiavano gialli e lievi bambù con rumore di carta. Dall’albero più alto Cosimo nella smania di godere fino in fondo quel diverso verde e la diversa luce che ne traspariva e il diverso silenzio, si lasciava andare a testa in giù e il giardino capovolto diventava foresta, una foresta non della terra, un mondo nuovo.

Allora appariva Viola. Cosimo la vedeva all’improvviso già sull’altalena che si dava lo slancio, oppure sulla sella del cavallo nano, 3

o sentiva levarsi dal fondo del giardino la cupa nota del corno da caccia.

I Marchesi d’Ondariva delle scorribande della bambina non s’erano mai dati pensiero. Finché lei andava a piedi, aveva tutte le zie dietro; appena montava in sella era libera come l’aria, perché le zie non andavano a cavallo e non potevano vedere dove andava. E poi la sua confidenza con quei vagabondi era un’idea troppo inconcepibile per poter sfiorare le loro teste. Ma di quel Baroncino che s’intrufolava su per i rami, se n’erano subito accorte, e stavano all’erta, pur con una certa aria di superiore disdegno.

Nostro padre, invece, dell’amarezza per la disubbidienza di Cosimo, ne faceva tutt’uno con la sua avversione per i d’Ondariva, quasi volesse dar la colpa a loro, come se fossero loro che attiravano suo figlio nel loro giardino, e l’ospitavano, e lo incoraggiavano in quel gioco ribelle. Tutt’a un tratto, prese la decisione di fare una battuta per catturare Cosimo, e non nei nostri poderi, ma proprio mentre si trovava nel giardino dei d’Ondariva. Quasi a sottolineare quest’intenzione aggressiva verso i nostri vicini, non volle essere lui a guidare la battuta, a presentarsi di persona ai d’Ondariva chiedendo che gli restituissero suo figlio - il che, per quanto ingiustificato, 3

sarebbe stato un rapporto su di un piano dignitoso, tra nobiluomini -, ma ci mandò una truppa di servitori agli ordini del Cavalier Avvocato Enea Silvio Carrega.

Vennero questi servitori armati di scale e corde ai cancelli dei d’Ondariva. Il Cavalier Avvocato, in zimarra e fez, farfugliò se li lasciavano entrare e tante scuse. Lì per lì i famigli dei d’Ondariva credettero che fossero venuti per certe potature di piante nostre che sporgevano nel loro; poi, alle mezze parole che diceva il Cavaliere: -

Acchiappiam... acchiappiam... - guardando tra i rami a naso in su e facendo piccole corse tutte sghembe, domandarono: - Ma cos’è che v’è scappato: un pappagallo?

- Il figlio, il primogenito, il rampollo, - disse il Cavalier Avvocato in fretta in fretta, e fatta appoggiare una scala a un castagno d’India, prese a salire lui stesso. Tra i rami si vedeva seduto Cosimo che dondolava le gambe come niente fosse. Viola, come niente fosse anche lei, se ne andava pei vialetti a giocare col cerchio. I servitori porgevano al Cavalier Avvocato delle corde che - chissà mai come manovrate dovevano servire a catturare mio fratello. Ma Cosimo, prima che il Cavaliere fosse giunto a metà scala, era già in cima a un’altra pianta. Il Cavaliere fece spostare la scala, e così quattro o cin-3

que volte, e ogni volta rovinava un’aiuola, e Cosimo in due salti passava sull’albero vicino. Viola si vide tutt’a un tratto circondata da zie e da vice zie, condotta in casa e chiusa dentro perché non assistesse a quel trambusto. Cosimo spezzò un ramo e brandendolo con due mani diede una bastonata fischiante nel vuoto.

- Ma non potete andare nel vostro spazioso parco a continuare questa caccia, cari signori? - disse il Marchese d’Ondariva apparendo solennemente sulla gradinata della villa, in vestaglia e papalina, il che lo rendeva stranamente simile al Cavalier Avvocato. - Dico a voi, famiglia tutta Piovasco di Rondò! - e fece un largo gesto circolare che abbracciava il baroncino sull’albero, lo zio naturale, i servitori e, di là dal muro, tutto quel che v’era di nostro sotto il sole.

A quel punto Enea Silvio Carrega cambiò tono. Trotterellò vicino al Marchese e come niente fosse, farfugliando, prese a parlargli dei giochi d’acqua della vasca lì davanti e di come gli era venuta l’idea di uno zampillo ben più alto e d’effetto, che poteva anche servire, cambiando una rosetta, ad annaffiare i prati. Questa era una nuova prova di quanto imprevedibile e infida fosse l’indole del nostro zio naturale: era stato mandato lì dal Barone con un preciso incarico, e con un’intenzione di ferma polemica nei riguardi dei vicini; che 3

c’entrava di mettersi a ciarlare amichevolmente col Marchese come volesse ingraziarselo? Tanto più che queste qualità di conversatore il Cavalier Avvocato le dimostrava soltanto quando gli tornava comodo e proprio le volte che si faceva affidamento sul suo carattere ritroso. E

il bello fu che il Marchese gli diede retta e gli fece domande e lo portò con sé a esaminare tutte le vasche e gli zampilli, vestiti uguale, entrambi con quelle palandrane lunghe lunghe, alti pressapoco uguale che si poteva scambiarli, e dietro la gran truppa dei famigli nostri e loro, alcuni con scale sulle spalle, che non sapevano più cosa fare.

Intanto Cosimo saltava indisturbato sugli alberi vicini alle finestre della villa, cercando di scoprire oltre le tendine la stanza dove avevano chiuso Viola. La scoperse, finalmente, e gettò una bacca contro l’impannata.

S’aperse la finestra, apparve il viso della ragazzina bionda e disse: -

Per colpa tua sono qui reclusa, - rinchiuse, tirò la tenda.

Cosimo fu a un tratto disperato.

Quando mio fratello era preso dalle sue furie, c’era davvero di che stare in ansia. Lo vedevamo correre (se la parola correre ha senso tolta dalla superficie terrestre e riferita a un mondo di sostegni irregolari a diverse altezze, con in mezzo il vuoto) e da un momento all’altro 3

Are sens

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