Cosimo tacque. Erano pensieri che non s’era ancora posto e non aveva voglia di porsi. Poi fece: - Per essere pochi metri più su, credete che non sarò raggiunto dai buoni insegnamenti?
Anche questa era una risposta abile, ma era già come uno sminuire la portata del suo gesto: segno di debolezza, dunque.
L’avvertì il padre e si fece più stringente: - La ribellione non si misura a metri, - disse. - Anche quando pare di poche spanne, un viaggio può restare senza ritorno.
Adesso mio fratello avrebbe potuto dare qualche altra nobile 5
risposta, magari una massima latina, che ora non me ne viene in mente nessuna ma allora ne sapevamo tante a memoria. Invece s’era annoiato a star lì a fare il solenne; cacciò fuori la lingua e gridò: - Ma io dagli alberi piscio più lontano! - frase senza molto senso, ma che troncava netto la questione.
Come se avessero sentito quella frase, si levò un gridio di monelli intorno a Porta Capperi. Il cavallo del Barone di Rondò ebbe uno scarto, il Barone strinse le redini e s’avvolse nel mantello, come pronto ad andarsene. Ma si voltò, trasse fuori un braccio dal mantello e indicando il cielo che s’era rapidamente caricato di nubi nere, esclamò: - Attento, figlio, c’è chi può pisciare su tutti noi! - e spronò via.
La pioggia, da lungo tempo attesa nelle campagne, cominciò a cadere a grosse rade gocce. Di tra le catapecchie si sparse un fuggi fuggi di monelli incappucciati in sacchi, che cantavano: - Ciêuve!
Ciêuve! L’alga va pe êuve! - Cosimo sparì abbrancandosi alle foglie già grondanti che a toccarle rovesciavano docce d’acqua in testa.
Io, appena m’accorsi che pioveva, fui in pena per lui. L’immaginavo zuppo, mentre si stringeva contro un tronco senza riuscire a scampare alle acquate oblique. E già sapevo che non sarebbe bastato un 5
temporale a farlo ritornare. Corsi da nostra madre: - Piove! Che farà Cosimo, signora madre?
La Generalessa scostò la tendina e guardò piovere. Era calma. - II più grave inconveniente delle piogge è il terreno fangoso. Stando lassù ne è immune.
- Ma basteranno le piante a ripararlo?
- Si ritirerà nei suoi attendamenti.
- Quali, signora madre?
- Avrà ben pensato a prepararli in tempo.
- Ma non credete che farei bene a cercarlo per dargli un ombrello?
Come se la parola «ombrello» d’improvviso l’avesse strappata dal suo posto d’osservazione campale e ributtata in piena preoccupazione materna, la Generalessa prese a dire: - Ja, ganz gewiss! E una bottiglia di sciroppo di mele, ben caldo, avvolta in una calza di lana! E un panno d’incerato, da stendere sul legno, che non trasudi umidità... Ma dove sarà, ora, poverino... Speriamo tu riesca a trovarlo...
Uscii carico di pacchi nella pioggia, sotto un enorme paracqua verde, e un altro paracqua lo tenevo chiuso sotto il braccio, da dare a Cosimo.
Lanciavo il nostro fischio, ma mi rispondeva solo il croscio senza 5
fine della pioggia sulle piante. Era buio; fuori dal giardino non sapevo dove andare, muovevo i passi a caso per pietre scivolose, prati molli, pozzanghere, e fischiavo, e per mandare in alto il fischio inclinavo indietro l’ombrello e l’acqua mi frustava il viso e mi lavava via il fischio dalle labbra. Volevo andare verso certi terreni del demanio pieni d’alberi alti, dove all’ingrosso pensavo che potesse essersi fatto il suo rifugio, ma in quel buio mi persi, e stavo lì serrandomi tra le braccia ombrelli e pacchi, e solo la bottiglia di sciroppo avvoltolata nella calza di lana mi dava un poco di calore.
Quand’ecco, in alto nel buio vidi un chiarore tra mezzo agli alberi, che non poteva essere né di luna né di stelle. Al mio fischio mi parve d’intendere il suo, in risposta.
- Cosimooo!
- Biagiooo! - una voce tra la pioggia, lassù in cima.
- Dove sei?
- Qua...! Ti vengo incontro, ma fa’ presto, che mi bagno!
Ci trovammo. Lui, imbacuccato in una coperta, scese sin sulla bassa forcella d’un salice per mostrarmi come si saliva, attraverso un complicato intrico di ramificazioni, fino al faggio dall’alto tronco, dal quale veniva quella luce. Gli diedi subito l’ombrello e un po’ di 5
pacchi, e provammo ad arrampicarci con gli ombrelli aperti, ma era impossibile, e ci bagnavamo lo stesso. Finalmente arrivai dove lui mi guidava; non vidi nulla, tranne un chiarore come di tra i lembi d’una tenda.
Cosimo sollevò uno di quei lembi e mi fece passare. Al chiarore d’una lanterna mi trovai in una specie di stanzetta, coperta e chiusa da ogni parte da tende e tappeti, attraversata dal tronco del faggio, con un piancito d’assi, il tutto poggiato ai grossi rami. Lì per lì mi parve una reggia, ma presto dovetti accorgermi di quant’era instabile, perché già l’esserci dentro in due ne metteva in forse l’equilibrio, e Cosimo dovette subito darsi da fare a riparare falle e cedimenti. Mise fuori anche i due ombrelli che avevo portato, aperti, a coprire due buchi del soffitto; ma l’acqua colava da parecchi altri punti, ed eravamo tutt’e due bagnati, e quanto a fresco era come stare fuori. Però c’era ammassata una tale quantità di coperte che ci si poteva seppellire sotto lasciando fuori solo il capo. La lanterna mandava una luce incerta, guizzante, e sul soffitto e le pareti di quella strana costruzione i rami e le foglie proiettavano ombre intricate. Cosimo beveva sciroppo di mele a grandi sorsi, facendo: - Puah! Puah!
- È una bella casa, - dissi io.
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- Oh, è ancora provvisoria, - s’affrettò a rispondere Cosimo. - Devo studiarla meglio.
- L’hai costruita tutta da te?
- E con chi, allora? È segreta.
- Io potrò venirci?
- No, mostreresti la strada a qualcun altro.
- Il babbo ha detto che non ti farà più cercare.
- Dev’essere segreta lo stesso.
- Per via di quei ragazzi che rubano? Ma non sono tuoi amici?
- Qualche volta sì e qualche volta no.
- E la ragazza col cavallino?