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Add to favorite 🔥 🔥 "Il barone rampante" di Italo Calvino

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- Il dolore va sempre combattuto.

- L’amore non si rifiuta a nulla.

- Certe cose non le ammetterò mai.

- Sì che le ammetti, perché mi ami e soffri.

Così come le disperazioni, erano clamorose in Cosimo le esplosioni di gioia incontenibile. Talora la sua felicità arrivava a un punto ch’egli doveva staccarsi dall’amante e andar saltando e gridando e proclamando le meraviglie della sua dama.

- Yo quiero the most wonderful puellam de todo el mundo!

Quelli che stavano seduti sulle panchine d’Ombrosa, sfaccendati e vecchi marinai, ormai avevano preso l’abitudine a queste sue rapide apparizioni. Ecco che lo si scorgeva venire a salti per i lecci, de-clamare:

Zu dir, zu dir, gunàika, Vo cercando il mio ben, En la isla deJamaica, Du soir jusqu’au matin!

oppure:

Il y a un pré where the grass grows toda de oro Take me away, takeme away, che io ci moro!

e scompariva.

Il suo studio delle lingue classiche e moderne, per quanto poco approfondito, gli permetteva d’abbandonarsi a questa clamorosa predicazione dei suoi sentimenti, e più il suo animo era scosso da un’intensa emozione, più il suo linguaggio si faceva oscuro. Si ricorda una volta che, festeggiandosi il Patrono, la gente d’Ombrosa era radunata nella piazza e c’erano l’albero della cuccagna e i festoni e lo stendardo. Il Barone comparve in cima a un platano e con uno di quei balzi di cui solo la sua agilità acrobatica era capace, saltò sull’albero della cuccagna, s’arrampicò fino alla cima, gridò: - Que viva die schöne Venus posterior! - si lasciò scivolare giù per il palo insaponato fin quasi a terra, s’arrestò, risalì ratto in cima, strappò dal trofeo una rosea e tonda forma di cacio e con un altro balzo dei suoi rivolò sul platano e fuggì, lasciando sbalorditi gli Ombrosotti.

Nulla quanto queste esuberanze rendevano felice la Marchesa; e la

muovevano a ricambiargliele in manifestazioni d’amore altrettanto rapinose. Gli Ombrosotti, quando la vedevano galoppare a briglia sciolta, il viso quasi immerso nella criniera bianca del cavallo, sapevano che correva a un convegno col Barone. Anche nell’andare a cavallo ella esprimeva una forza amorosa, ma qui Cosimo non poteva più seguirla; e la passione equestre di lei, sebbene egli molto l’ammirasse, però era per lui anche una segreta ragione di gelosia e rancore, perché vedeva Viola dominare un mondo più vasto del suo e capiva che non avrebbe mai potuto averla solo per sé, chiuderla nei confini del suo regno. La Marchesa, da parte sua, forse soffriva di non poter essere insieme amante e amazzone: la prendeva alle volte un indistinto bisogno che l’amore di lei e Cosimo fosse amore a cavallo, e correre sugli alberi non le bastava più, avrebbe voluto correrci al galoppo in sella al suo destriero.

E in realtà il cavallo a forza di correre per quel terreno di salite e dirupi era diventato rampante come un capriolo, e Viola ora lo

spingeva di rincorsa contro certi alberi, per esempio vecchi olivi dal tronco sbilenco. Il cavallo arrivava talvolta sino alla prima forcella di rami, ed ella prese l’abitudine di legarlo non più a terra, ma là sull’olivo. Smontava e lo lasciava a brucare foglie e ramoscelli.

Cosicché, quando un pettegolo passando per l’oliveto e levando occhi curiosi vide lassù il Barone e la Marchesa abbracciati e poi andò a raccontarlo ed aggiunse: - E il cavallo bianco era anche lui in cima a un ramo! - fu preso per fantastico e non creduto da nessuno. Per quella volta ancora il segreto degli amanti fu salvo.

XXIII

II fatto che ora ho narrato prova che gli Ombrosot-ti, com’erano stati prodighi di pettegolezzi sulla precedente vita galante di mio fratello, così ora, di fronte a questa passione che si scatenava si può di-re sopra le loro teste, mantenevano un rispettoso riserbo, come di fronte a qualcosa più grande di loro. Non che la condotta della Marchesa non fosse riprovata: ma più per i suoi aspetti esteriori, come quel galoppare a rotta di collo (- Chissà poi dove andrà, così di furia? -

si dicevano, pur sapendo bene che andava ai convegni con Cosimo) o quel mobilio che metteva in cima agli alberi. C’era già un’aria di

considerare tutto come una moda dei nobili, una di quelle tante stravaganze (- Tutti sugli alberi, adesso: donne, uomini. Non ne avranno più da inventare? -); insomma stavano venendo dei tempi magari più tolleranti, ma più ipocriti.

Sui lecci della piazza il Barone si faceva vedere ormai a grandi intervalli, ed era segno che lei era partita. Perché Viola stava talvolta lontana per dei mesi, a curare i suoi beni sparsi in tutta Europa, ma queste partenze corrispondevano sempre a momenti in cui i loro rapporti avevano subito delle scosse e la Marchesa s’era offesa con Cosimo per il suo non capire quel che lei voleva fargli capire dell’amore. Non che Viola partisse offesa con lui: riuscivano sempre a far la pace prima, ma in lui restava il sospetto che a quel viaggio si fosse decisa per stanchezza di lui, perché lui non riusciva a trattenerla, forse si stava ormai staccando da lui, forse un’occasione del viaggio o una pausa di riflessione l’avrebbero decisa a non tornare. Così mio fratello viveva in ansia. Da una parte cercava di riprendere la sua vita abituale di prima d’incontrarla, di rimettersi ad andare a caccia e a pesca, e seguire i lavori agricoli, i suoi studi, le gradassate in piazza, come non avesse mai fatto altro (persisteva in lui il testardo orgoglio giovanile di chi

non vuole ammettere di subire influenze altrui), e insieme si compia-ceva di quanto quell’amore gli dava, d’alacrità, di fierezza; ma d’altra parte s’accorgeva che tante cose non gli importavano più, che senza Viola la vita non gli prendeva più sapore, che il suo pensiero correva sempre a lei. Più cercava, fuori dal turbine della presenza di Viola, di ripadroneggiare le passioni e i piaceri in una saggia economia dell’animo, più sentiva il vuoto da lei lasciato o la febbre d’attenderla.

Insomma, il suo innamoramento era proprio come Viola lo voleva, non come lui pretendeva che fosse; era sempre la donna a trionfare, anche se lontana, e Cosimo, suo malgrado, finiva per goderne.

Tutt’a un tratto, la Marchesa tornava. Sugli alberi ricominciava la stagione degli amori, ma anche quella delle gelosie. Dov’era stata Viola? Cos’aveva fatto? Cosimo era ansioso di saperlo ma nello stesso tempo aveva paura del modo in cui lei rispondeva alle sue inchieste, tutto per accenni, e ogni accenno trovava modo d’insinuare un motivo di sospetto per Cosimo, e lui capiva che faceva per tormentarlo, eppure tutto poteva essere ben vero, e in questo incerto stato d’animo ora mascherava la sua gelosia ora la lasciava prorompere violenta e Viola rispondeva in modo sempre diverso e imprevedibile alle sue reazioni, e ora gli sembrava più che mai legata a lui, ora

di non riuscire più a riaccenderla.

Quale fosse poi veramente la vita della Marchesa nei suoi viaggi, noi a Ombrosa non potevamo sapere, lontani com’eravamo dalle capitali e dai loro pettegolezzi. Ma in quel tempo io compii il mio secondo viaggio a Parigi, per certi contratti (una fornitura di limoni, perché ora anche molti nobili si mettevano a commerciare, ed io fra i primi).

Una sera, in uno dei più illustri salotti parigini, incontrai Donna Viola. Era acconciata con una tal sontuosa pettinatura ed una veste così splendente che se non stentai a riconoscerla, anzi trasalii al primo vederla, fu perché era proprio donna da non poter mai esser confusa con nessuna. Mi salutò con indifferenza, ma presto trovò il modo d’appartarsi con me e di chiedermi, senz’attendere risposta tra una domanda e l’altra: - Avete nuove di vostro fratello? Sarete presto di ritorno a Ombrosa? Tenete, dategli questo in mio ricordo -. E trattasi dal seno un fazzoletto di seta me lo cacciò in mano. Poi si lasciò subito raggiungere dalla corte d’ammiratori che si portava dietro.

- Voi conoscete la Marchesa? - mi chiese piano un amico parigino.

- Solo di sfuggita, - risposi, ed era vero: nei suoi soggiorni a Ombrosa Donna Viola, contagiata dalla selvatichezza di Cosimo, non

si curava di frequentare la nobiltà del vicinato.

- Di rado tanta bellezza s’è accompagnata a tanta irrequietudine, -

disse il mio amico. - I pettegoli vogliono che a Parigi ella passi da un amante all’altro, in una giostra così continua da non permettere a nessuno di dirla sua e dirsi privilegiato. Ma ogni tanto sparisce per mesi e mesi e dicono si ritiri in un convento, a macerarsi nelle penitenze.

Il barone rampante 203

Io trattenni a stento le risa, vedendo come i soggiorni della Marchesa sugli alberi d’Ombrosa erano creduti dai Parigini periodi di penitenza; ma nello stesso tempo quei pettegolezzi mi turbarono, fa-cendomi prevedere tempi di tristezza per mio fratello.

Per prevenirlo da brutte sorprese, volli metterlo sull’avviso, e appena tornato a Ombrosa andai a cercarlo. Mi domandò a lungo del viaggio, delle novità di Francia, ma non riuscii a dargli nessuna notizia della politica e della letteratura di cui non fosse già informato.

In ultimo, trassi di tasca il fazzoletto di Donna Viola. - A Parigi in un salotto ho incontrato una dama che ti conosce, e m’ha dato questo per te, col suo saluto.

Calò rapido il cestino appeso allo spago, tirò su il fazzoletto di seta

e lo portò al viso come ad aspirarne il profumo. - Ah, l’hai vista? E

Com’era? Dimmi: Com’era?

Are sens

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