- Molto bella e brillante, - risposi lentamente, -ma dicono che questo profumo venga aspirato da molte narici...
Si cacciò il fazzoletto in seno come temesse che gli venisse strappato. Mi si rivolse rosso in viso: -E non avevi una spada per ricacciare in gola queste menzogne a chi te le diceva?
Dovetti confessare che non m’era neanche passato per la mente.
Restò un poco in silenzio. Poi scrollò le spalle. - Tutte menzogne. Io solo so che è solo mia, - e scappò per i rami senza salutarmi.
Riconobbi la sua maniera solita di rifiutare ogni cosa che lo costrin-gesse a uscire dal suo mondo.
Da allora non lo si vide che triste ed impaziente, saltellare in qua e in là, senza far nulla. Se ogni
tanto lo sentivo fischiare in gara con i merli, il suo zirlo era sempre più nervoso e cupo.
La Marchesa arrivò. Come sempre, la gelosia di lui le fece piacere: un po’ la incitò, un po’ la volse in gioco. Così tornarono le belle giornate d’amore e mio fratello era felice.
Ma la Marchesa ormai non tralasciava occasione per accusare
Cosimo d’avere dell’amore un’idea angusta.
- Cosa vuoi dire? Che sono geloso?
- Fai bene a esser geloso. Ma tu pretendi di sottomettere la gelosia alla ragione.
- Certo: così la rendo più efficace.
- Tu ragioni troppo. Perché mai l’amore va ragionato?
- Per amarti di più. Ogni cosa, a farla ragionando, aumenta il suo potere.
- Vivi sugli alberi e hai la mentalità d’un notaio con la gotta.
- Le imprese più ardite vanno vissute con l’animo più semplice.
Continuava a sputar sentenze, fino a che lei non gli sfuggiva: allora, lui, a inseguirla, a disperarsi, a strapparsi i capelli.
In quei giorni, una nave ammiraglia inglese gettò l’ancora nella nostra rada. L’Ammiraglio diede una festa ai notabili d’Ombrosa e agli ufficiali d’altre navi di passaggio; la Marchesa ci andò; da quella sera Cosimo riprovò le pene della gelosia. Due ufficiali di due navi diverse s’invaghirono di Donna Viola e li si vedeva continuamente a riva, a corteggiare la dama e a cercar di superarsi nelle loro attenzioni. Uno era luogotenente di vascello dell’ammiraglia inglese; l’altro era pur egli luogotenente di vascello, ma della flotta napoletana. Presi a nolo
due sauri, i luogotenenti facevano la spola sotto le terrazze della Marchesa e quando s’incontravano il napoletano roteava verso l’inglese un’occhiata da incenerirlo, mentre di tra le palpebre socchiuse dell’inglese saettava uno sguardo come la punta d’una spada.
E Donna Viola? Non prende, quella civetta, a starsene ore e ore in casa, a venirsene al davanzale in matinée, come fosse una vedovella fresca fresca, appena uscita dal lutto? Cosimo, a non averla più con sé sulle piante, a non sentire ravvicinarsi del galoppo del cavallo bianco, diventava matto, ed il suo posto finì per essere (anche lui) davanti a quella terrazza, a tener d’occhio lei e i due luogotenenti di vascello.
Stava studiando il modo di giocare qualche tiro ai rivali, che li facesse tornare al più presto sulle rispettive navi, ma il vedere che Viola mostrava di gradire in egual modo la corte dell’uno e quella dell’altro, gli ridiede la speranza ch’ella volesse solo farsi gioco d’entrambi, e di lui insieme. Non per questo diminuì la sua sorveglianza: al primo segno che ella avesse dato di preferire uno dei due, era pronto a intervenire.
Ecco, un mattino passa l’inglese. Viola è alla finestra. Si sorridono.
La Marchesa lascia cadere un biglietto. L’ufficiale lo afferra al volo, lo
legge, s’inchina, rosso in volto, e sprona via. Un convegno! Era l’inglese il fortunato! Cosimo si giurò di non lasciarlo arrivare tranquillo fino a sera.
In quella passa il napoletano. Viola getta un biglietto anche a lui.
L’ufficiale lo legge, lo porta alle labbra e lo bacia. Dunque si reputava il prescelto? E l’altro, allora? Contro quale dei due Cosimo doveva agire? Certo a uno dei due. Donna Viola aveva fissato un appuntamento; all’altro doveva solamente aver fatto uno scherzo dei suoi. O li voleva beffare tutti e due?
Quanto al luogo del convegno, Cosimo appuntava i suoi sospetti su di un chiosco in fondo al parco. Poco tempo prima la Marchesa l’aveva fatto riattare e arredare, e Cosimo si rodeva dalla gelosia perché non era più il tempo in cui lei caricava le cime degli alberi di tendaggi e divani: ora si preoccupava di luoghi dov’egli non sarebbe mai entrato. «Sorveglierò il padiglione, - Cosimo si disse. - Se ha fissato un convegno con uno dei due luogotenenti, non può essere che lì». E s’appollaiò nel folto d’un castagno d’India.
Poco prima del tramonto, s’ode un galoppo. Arriva il napoletano.
«Ora lo provoco!» pensa Cosimo e con una cerbottana gli tira nel collo
una pallottola di stereo di scoiattolo. L’ufficiale trasalisce, si guarda intorno. Cosimo si sporge dal ramo, e nello sporgersi vede al di là della siepe il luogotenente inglese che sta scendendo di sella, e lega il cavallo a un palo. «Allora è lui; forse l’altro passava qui per caso». E
giù una cerbottanata di scoiattolo sul naso.
- Who’s there? - dice l’inglese, e fa per traversar la siepe, ma si trova faccia a faccia col collega napoletano, che, sceso anch’egli da cavallo, sta dicendo lui pure: - Chi è là?
- I beg your pardon, Sir, - dice l’inglese, - ma debbo invitarvi a sgombrare immediatamente questo luogo!
- Se sto qui è con mio buon diritto, - fa il napoletano, - invito ad andarsene la Signoria Vostra!
- Nessun diritto può valere il mio, - replica l’inglese. - I’m sorry, non vi consento di restare.
- È una questione d’onore, - dice l’altro, - e ne faccia pur fede il mio casato: Salvatore di San Ca-
taldo di Santa Maria Capua Vetere, della Marina delle Due Sicilie!
- Sir Osbert Castlefìght, terzo del nome! - si presenta l’inglese. - È il mio onore a imporre che voi sgombriate il campo.
- Non prima d’aver cacciato voi con questa spada! - e la trae dal fodero.