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— Mamma, da Romilda, per carità… — scongiurò Pomino.

Ma troppo tardi. Romilda, col busto slacciato, la poppante al seno, tutta in disordine, come se – alle grida – si fosse levata di letto in fretta e in furia, si fece innanzi, m’intravide:

— Mattia! — e cadde tra le braccia di Pomino e della madre, che la trascinarono via, lasciando, nello scompiglio, la piccina in braccio a me, accorso con loro.

Restai al bujo, là, nella sala d’ingresso, con quella gracile bimbetta in braccio, che vagiva con la vocina agra di latte. Costernato, sconvolto, sentivo ancora negli orecchi il grido della donna ch’era stata mia, e che ora, ecco, era madre di questa bimba non mia, non mia! mentre la mia, ah, non la aveva amata, lei, allora! E dunque, no, io ora, no, perdio! non dovevo aver pietà di questa, né di loro. S’era rimaritata? E io ora… Ma seguitava a vagire quella piccina, a vagire; e allora… che fare? per quietarla, me l’adagiai sul petto e cominciai a batterle pian pianino una mano su le spallucce e a dondolarla passeggiando. L’odio mi sbollì, l’impeto cedette. E

a poco a poco la bimba si tacque.

Pomino chiamò nel bujo con sgomento:

— Mattia!… La piccina!…

— Sta’ zitto! L’ho qua, — gli risposi.

— E che fai?

— Me la mangio… Che faccio!… L’avete buttata in braccio a me… Ora lasciamela stare! S’è quietata. Dov’è Romilda?

Accostandomisi, tutto tremante e sospeso, come una cagna che veda in mano al padrone la sua cucciola:

— Romilda? Perché? — mi domandò.

— Perché voglio parlarle! — gli risposi ruvidamente.

— È svenuta, sai?

— Svenuta? La faremo rinvenire.

Pomino mi si parò davanti, supplichevole:

— Per carità… senti… ho paura… come mai, tu… vivo!… Dove sei stato?… Ah, Dio… Senti… Non potresti parlare con me?

— No! — gli gridai. — Con lei devo parlare. Tu, qua, non rappresenti più nulla.

— Come! io?

— Il tuo matrimonio s’annulla.

— Come… che dici? E la piccina?

— La piccina… la piccina… — masticai. — Svergognati! In due anni, marito e moglie, e una figliuola! Zitta, carina, zitta! Andiamo dalla mamma… Sù, conducimi! Di dove si prende?

Appena entrai nella camera da letto con la bimba in braccio, la vedova Pescatore fece per saltarmi addosso, come una jena.

La respinsi con una furiosa bracciata:

— Andate là, voi! Qua c’è vostro genero: se avete da strillare, strillate con lui. Io non vi conosco!

Mi chinai verso Romilda, che piangeva disperatamente, e le porsi la figliuola:

— Sù, tieni… Piangi? Che piangi? Piangi perché son vivo? Mi volevi morto? Guardami… sù, guardami in faccia! Vivo o morto?

Ella si provò, tra le lagrime, ad alzar gli occhi su me, e con voce rotta dai singhiozzi, balbettò:

— Ma… come… tu? che… che hai fatto?

— Io, che ho fatto? — sogghignai. — Lo domandi a me, che ho fatto? Tu hai ripreso marito… quello sciocco là!… tu hai messo al mondo una figliuola, e hai il coraggio di domandare a me che ho fatto?

— E ora? — gemette Pomino, coprendosi il volto con le mani.

— Ma tu, tu… dove sei stato? Se ti sei finto morto e te ne sei scappato… —

prese a strillar la Pescatore, facendosi avanti con le braccia levate.

Glien’afferrai uno, glielo storsi e le urlai:

— Zitta, vi ripeto! Statevene zitta, voi, perché, se vi sento fiatare, perdo la pietà che m’ispira codesto imbecille di vostro genero e quella creaturina là, e faccio valer la legge! Sapete che dice la legge? Ch’io ora devo riprendermi Romilda…

— Mia figlia? tu? Tu sei pazzo! — inveì, imperterrita, colei.

Ma Pomino, sotto la mia minaccia, le si accostò subito a scongiurarla di tacere, di calmarsi, per amor di Dio.

La megera allora lasciò me, e prese a inveire contro di lui, melenso, sciocco, buono a nulla e che non sapeva far altro che piangere e disperarsi come una femminuccia…

Scoppiai a ridere, fino ad averne male ai fianchi.

— Finitela! — gridai, quando potei frenarmi. — Gliela lascio! la lascio a lui volentieri! Mi credete sul serio così pazzo da ridiventar vostro genero? Ah, povero Pomino! Povero amico mio, scusami, sai? se t’ho detto imbecille; ma hai sentito? te l’ha detto anche lei, tua suocera, e ti posso giurare che, anche prima, me l’aveva detto Romilda, nostra moglie… sì, proprio lei, che le parevi imbecille, stupido, insipido… e non so che altro. È vero, Romilda?

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