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— E tu non lo fare. Ma, via, credi davvero – soggiunsi, – che vorrò darti fastidio, se Romilda non vuole? deve dirlo lei… Sù, di’, Romilda, chi è più bello? io o lui?

— Ma io dico di fronte alla legge! di fronte alla legge! — gridò egli, arrestandosi di nuovo.

Romilda lo guardava, angustiata e sospesa.

— In questo caso, — gli feci osservare, — mi sembra che più di tutti, scusa, dovrei risentirmi io, che vedrò d’ora innanzi la mia bella quondam metà convivere maritalmente con te.

— Ma anche lei, — rimbeccò Pomino, — non essendo più mia moglie…

— Oh, insomma, — sbuffai, — volevo vendicarmi e non mi vendico; ti lascio la moglie, ti lascio in pace, e non ti contenti? Sù, Romilda, alzati!

andiamocene via, noi due! Ti propongo un bel viaggetto di nozze… Ci divertiremo! Lascia questo pedante seccatore. Pretende ch’io vada a buttarmi davvero nella gora del molino, alla Stìa.

— Non pretendo questo! — proruppe Pomino al colmo dell’esasperazione.

— Ma vattene, almeno! Vattene via, poiché ti piacque di farti creder morto!

Vattene subito, lontano, senza farti vedere da nessuno. Perché io qua… con te… vivo…

Mi alzai; gli battei una mano su la spalla per calmarlo e gli risposi, prima di tutto, ch’ero già stato a Oneglia, da mio fratello, e che perciò tutti, là, a quest’ora, mi sapevano vivo, e che domani, inevitabilmente, la notizia sarebbe arrivata a Miragno; poi:

— Morto di nuovo? Lontano da Miragno? Tu scherzi, mio caro! —

esclamai. — Va’ là: fa’ il marito in pace, senza soggezione… Il tuo matrimonio, comunque sia, s’è celebrato. Tutti approveranno, considerando che c’è di mezzo una creaturina. Ti prometto e giuro che non verrò mai a importunarti, neanche per una miserrima tazza di caffè, neanche per godere

del dolce, esilarante spettacolo del vostro amore, della vostra concordia, della vostra felicità edificata su la mia morte… Ingrati! Scommetto che nessuno, neanche tu, sviscerato amico, nessuno di voi è andato ad appendere una corona, a lasciare un fiore su la tomba mia, là nel camposanto… Di’, è vero? Rispondi!

— Ti va di scherzare!… — fece Pomino, scrollandosi.

— Scherzare? Ma nient’affatto! Là c’è davvero il cadavere di un uomo, e non si scherza! Ci sei stato?

— No… non… non ne ho avuto il coraggio borbottò Pomino.

— Ma di prendermi la moglie, sì, birbaccione!

— E tu a me? — diss’egli allora, pronto. — Tu a me non l’avevi tolta, prima, da vivo?

— Io? — esclamai. — E dàlli! Ma se non ti volle lei! Lo vuoi dunque ripetuto che le sembravi proprio uno sciocco? Diglielo tu, Romilda, per favore: vedi, m’accusa di tradimento… Ora, che c’entra! è tuo marito, e non se ne parla più; ma io non ci ho colpa… Sù, sù. Ci andrò io domani da quel povero morto, abbandonato là, senza un fiore, senza una lacrima… Di’, c’è almeno una lapide su la fossa?

— Sì, — s’affrettò a rispondermi Pomino. — A spese del Municipio… Il povero babbo…

— Mi lesse l’elogio funebre, lo so! Se quel pover’uomo sentiva… Che c’è scritto su la lapide?

— Non so… La dettò Lodoletta.

— Figuriamoci! — sospirai. — Basta. Lasciamo anche questo discorso.

Raccontami, raccontami piuttosto come vi siete sposati così presto… Ah, come poco mi piangesti, vedovella mia… Forse niente, eh? di’ sù, possibile ch’io non debba sentir la tua voce? Guarda: è già notte avanzata… appena

spunterà il giorno, io andrò via, e sarà come non ci avessimo mai conosciuto… Approfittiamoci di queste poche ore. Sù, dimmi…

Romilda si strinse nelle spalle, guardò Pomino, sorrise nervosamente: poi, riabbassando gli occhi e guardandosi le mani:

— Che posso dire? Certo che piansi…

— E non te lo meritavi! — brontolò la Pescatore.

— Grazie! Ma infine, via… fu poco, è vero? — ripresi. — Codesti begli occhi, che pur s’ingannarono così facilmente, non ebbero a sciuparsi molto, di certo.

— Rimanemmo assai male, — disse, a mo’ di scusa, Romilda. — E se non fosse stato per lui…

— Bravo Pomino! — esclamai. — Ma quella canaglia di Malagna, niente?

— Niente, — rispose, dura, asciutta, la Pescatore. — Tutto fece lui…

E additò Pomino.

— Cioè… cioè… — corresse questi, — il povero babbo… Sai ch’era al Municipio? Bene, fece prima accordare una pensioncina, data la sciagura…

e poi…

— Poi accondiscese alle nozze?

— Felicissimo! E ci volle qua, tutti, con sé… Mah! Da due mesi…

E prese a narrarmi la malattia e la morte del padre; l’amore di lui per Romilda e per la nipotina; il compianto che la sua morte aveva raccolto in tutto il paese. Io domandai allora notizie della zia Scolastica, tanto amica del cavalier Pomino. La vedova Pescatore, che si ricordava ancora del batuffolo di pasta appiastratole in faccia dalla terribile vecchia, si agitò sulla sedia. Pomino mi rispose che non la vedeva più da due anni, ma che era viva; poi, a sua volta, mi domandò che avevo fatto io, dov’ero stato, ecc.

Dissi quel tanto che potevo senza far nomi né di luoghi né di persone, per

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