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di’ la verità… Sù, sù, smetti di piangere, cara: rassèttati: guarda, puoi far male alla tua piccina, così… Io ora sono vivo – vedi? – e voglio stare allegro… Allegro! come diceva un certo ubriaco amico mio… Allegro,

Pomino! Ti pare che voglia lasciare una figliuola senza mamma? Ohibò! Ho già un figliuolo senza babbo… Vedi, Romilda? Abbiamo fatto pari e patta: io ho un figlio, che è figlio di Malagna, e tu ormai hai una figlia, che è figlia di Pomino. Se Dio vuole, li mariteremo insieme, un giorno! Ormai quel figliuolo là non ti deve far più dispetto… Parliamo di cose allegre… Ditemi come tu e tua madre avete fatto a riconoscermi morto, là, alla Stìa

— Ma anch’io! — esclamò Pomino, esasperato. Ma tutto il paese! Non esse sole!

— Bravi! bravi! Tanto dunque mi somigliava?

— La tua stessa statura… la tua barba… vestito come te, di nero… e poi, scomparso da tanti giorni…

— E già, me n’ero scappato, hai sentito? Come se non m’avessero fatto scappar loro… Costei, costei… Eppure stavo per ritornare, sai? Ma sì, carico d’oro! Quando… che è, che non è, morto, affogato, putrefatto… e riconosciuto, per giunta! Grazie a Dio, mi sono scialato, due anni; mentre voi, qua: fidanzamento, nozze, luna di miele, feste, gioje, la figliuola… chi muore giace, eh? e chi vive si dà pace…

— E ora? come si fa ora? — ripeté Pomino, gemendo, tra le spine. —

Questo dico io!

Romilda s’alzò per adagiar la bimba nella cuna.

— Andiamo, andiamo di là, — diss’io. — La piccina s’è riaddormentata.

Discuteremo di là.

Ci recammo nella sala da pranzo, dove, sulla tavola ancora apparecchiata, erano i resti della cena. Tutto tremante, stralunato, scontraffatto nel pallore cadaverico, battendo di continuo le palpebre su gli occhietti diventati scialbi, forati in mezzo da due punti neri, acuti di spasimo, Pomino si grattava la fronte e diceva, quasi vaneggiando:

— Vivo… vivo… Come si fa? come si fa?

— Non mi seccare! — gli gridai. — Adesso vedremo, ti dico.

Romilda, indossata la veste da camera, venne a raggiungerci. Io rimasi a guardarla alla luce, ammirato: era ridivenuta bella come un tempo, anzi più formosa.

— Fammiti vedere… — le dissi. — Permetti, Pomino? Non c’è niente di male: sono marito anch’io, anzi prima e più di te. Non ti vergognare, via, Romilda! Guarda, guarda come si torce Mino! Ma che ti posso fare se non son morto davvero?

— Così non è possibile! — sbuffò Pomino, livido.

— S’inquieta! — feci, ammiccando, a Romilda. — No, via, calmati, Mino… Ti ho detto che te la lascio, e mantengo la parola. Solo, aspetta…

con permesso!

Mi accostai a Romilda e le scoccai un bel bacione su la guancia.

— Mattia! — gridò Pomino, fremente.

Scoppiai a ridere di nuovo.

— Geloso? di me? Va’ là! Ho il diritto della precedenza. Del resto, sù, Romilda, cancella, cancella… Guarda, venendo, supponevo (scusami, sai, Romilda), supponevo, caro Mino, che t’avrei fatto un gran piacere, a liberartene, e ti confesso che questo pensiero m’affliggeva moltissimo, perché volevo vendicarmi, e vorrei ancora, non credere, togliendoti adesso Romilda, adesso che vedo che le vuoi bene e che lei… sì, mi pare un sogno, mi pare quella di tant’anni fa… ricordi, eh, Romilda?… Non piangere! ti rimetti a piangere? Ah, bei tempi… sì, non tornano più!… Via, via: voi ora avete una figliuola, e dunque non se ne parli più! Vi lascio in pace, che diamine!

— Ma il matrimonio s’annulla? — gridò Pomino.

— E tu lascialo annullare! — gli dissi. — Si annullerà pro forma, se mai: non farò valere i miei diritti e non mi farò neppure riconoscer vivo

ufficialmente, se proprio non mi costringono. Mi basta che tutti mi rivedano e mi risappiano vivo di fatto, per uscir da questa morte, che è morte vera, credetelo! Già lo vedi: Romilda, qua, ha potuto divenir tua moglie… il resto non m’importa! Tu hai contratto pubblicamente il matrimonio; è noto a tutti che lei è, da un anno, tua moglie, e tale rimarrà. Chi vuoi che si curi più del valor legale del suo primo matrimonio? Acqua passata… Romilda fu mia moglie: ora, da un anno, è tua, madre d’una tua bambina. Dopo un mese non se ne parlerà più. Dico bene, doppia suocera?

La Pescatore, cupa, aggrondata, approvò col capo. Ma Pomino, nel crescente orgasmo, domandò:

— E tu rimarrai qua, a Miragno?

— Sì, e verrò qualche sera a prendermi in casa tua una tazza di caffè o a bere un bicchier di vino alla vostra salute.

— Questo, no! — scattò la Pescatore, balzando in piedi.

— Ma se scherza!… — osservò Romilda, con gli occhi bassi.

Io m’ero messo a ridere come dianzi.

— Vedi, Romilda? — le dissi. — Hanno paura che riprendiamo a fare all’amore… Sarebbe pur carina! No, no: non tormentiamo Pomino… Vuol dire che se lui non mi vuole più in casa, mi metterò a passeggiare giù per la strada, sotto le tue finestre. Va bene? E ti farò tante belle serenate.

Pomino, pallido, vibrante, passeggiava per la stanza, brontolando:

— Non è possibile… non è possibile…

A un certo punto s’arrestò e disse:

— Sta di fatto che lei… con te, qua, vivo, non sarà più mia moglie…

— E tu fa’ conto che io sia morto! — gli risposi tranquillamente.

Riprese a passeggiare:

— Questo conto non posso più farlo!

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