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Trovai Uriah Heep nella comitiva, in abito nero e in profonda modestia. Nell’atto che gli stringevo la mano, mi disse che era orgoglioso d’essere oggetto della mia attenzione, e riconoscente per la mia condiscendenza.

Avrei desiderato che mi fosse stato meno riconoscente, perché nella effusione della sua gratitudine mi gravitò 659

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intorno per tutto il resto della serata: tutte le volte che io dicevo una parola ad Agnese ero certo di vedermelo lì di dietro, con quei suoi occhi senza ciglia e quel suo viso cadaverico.

V’erano altri ospiti – tutti, come osservai, in ghiaccio, per l’occasione, al pari del vino. Ma uno attrasse la mia attenzione prima d’entrare, non appena ne fu pronunciato il nome: il signor Traddles. La mia mente volò subito a Salem House: non poteva forse essere Tommaso Traddles che soleva disegnare gli scheletri?

Attesi l’ingresso del signor Traddles con vivo interesse.

Vidi un giovane calmo, compassato, di maniere modeste, con una chioma ribelle, e gli occhi un po’ troppo aperti. Si ritirò così presto in cantuccio oscuro, che durai fatica a rintracciarlo. Finalmente potei esaminarlo in pieno, e... bene, o la mia vista prendeva un grosso abbaglio, o quegli era veramente l’antico disgraziato Tommaso Traddles.

M’avvicinai al signor Waterbrook, e gli dissi che con piacere credevo d’aver scoperto in casa sua un mio vecchio compagno di scuola.

– Veramente! – disse il signor Waterbrook, sorpreso.

– Non siete troppo giovane per essere stato a scuola col signor Spiker?

– Oh, non alludo a lui! – risposi. – Dico di quel signore che si chiama Traddles.

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– Ah, già, già, davvero! – disse il mio ospite, con minor calore. – Può esser bene.

– Se realmente è lui – dissi, guardando verso il supposto Traddles – fummo insieme nel convitto di Salem House, ed era un bravo giovane.

– Oh, già, Traddles è un bravo giovane! – rispose il mio ospite, facendo col capo un cenno di condiscendenza. – Traddles è veramente un bravo giovane.

– È una strana combinazione – dissi.

– Già – rispose il mio ospite – è un mero caso che Traddles si trovi qui: Traddles è stato invitato soltanto stamattina al posto del fratello della signora Spiker, che è dovuto rimanere a casa per un’indisposizione. Un vero signore, il fratello della signora Spiker, signor Copperfield.

Mormorai un assenso pieno di cordialità, considerando che non conoscevo affatto il fratello della signora Spiker; e domandai quale fosse la professione di Traddles.

– Traddles – rispose il signor Waterbrook – si prepara per entrare nel Foro. Già. È veramente un bravo giovane. Non ha altri nemici che se stesso.

– Come? – domandai, dolente d’apprendere una cosa simile.

– Già – rispose il signor Waterbrook, arrotolando la bocca, e scotendo la catena dell’orologio con un’aria 661

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beata,e magnanima – direi che è una di quelle persone che non arrivano mai a far molto. Già, direi che egli non arriverà mai a possedere cinquecento sterline. Mi fu raccomandato da un mio amico avvocato. Già, già. Ha un certo ingegno per studiare le cause, ed esporre chiaramente una questione per iscritto. Di tanto in tanto posso dargli da fare qualche cosetta... che per lui rappresenta molto. Già, già!

Mi fece molta impressione la maniera disinvolta e soddisfatta con cui il signor Waterbrook di tanto in tanto pronunziava quella paroletta «già». V’era in essa una meravigliosa espressione. Dava l’idea d’un uomo che fosse nato non con un cucchiaio d’argento in bocca, come si dice, ma con una macchina da scalare le fortez-ze in mano, e che avesse percorso tutti gli scalini della vita l’uno dopo l’altro, per guardare ora dalla vetta delle fortificazioni, dov’era giunto, le persone giù nei fossi, con l’occhio del filosofo e del protettore.

Riflettevo ancora a questo, quando fu annunciato il pranzo. Il signor Waterbrook offrì il braccio alla zia d’Amleto. Il signor Spiker prese la signora Waterbrook.

Agnese, alla quale avrei dato volentieri il braccio io, toccò a un signore dalle gambe deboli che sorrideva sempre. Uriah, Traddles e io, come i più giovani della brigata, discendemmo gli ultimi, senza formar coppia.

Non mi dispiacque poi tanto l’aver perduto Agnese, perché ebbi l’occasione, sulla scalinata, di farmi ricono-662

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scere da Traddles, che mi salutò con gran fervore, mentre Uriah si contorceva con una modestia e una soddisfazione così importune, che lo avrei fatto saltare oltre la ringhiera.

Traddles e io a tavola fummo separati, perché i nostri due biglietti erano stati messi in due angoli opposti: lui nel fuoco d’una signora in velluto rosso; io nelle tenebre della zia d’Amleto. Il desinare fu lunghissimo; e la conversazione volse intorno all’Aristocrazia – e al Sangue.

La signora Waterbrook ci disse più volte, che se essa aveva un debole, era appunto per il Sangue.

Pensai parecchie volte che saremmo stati meglio, se non fossimo stati così per bene. Eravamo così straordinariamente per bene che il nostro campo era molto limitato. V’erano fra gl’invitati un signore e una signora Gulpidge che avevano qualche relazione (almeno il signor Gulpidge) di seconda mano con gli affari legali della Banca d’Inghilterra; e chi con la Banca d’Inghilterra e chi col Tesoro, eravamo più esclusivi del giornale di Corte. Per aggiunger grazia alla cosa, la zia di Amleto aveva il difetto della famiglia: di abbandonarsi a dei soliloqui, e andava innanzi, sola, a intervalli, su tutti i soggetti della conversazione, che non erano molti, veramente, e s’aggiravano sempre sul Sangue, di modo che, come suo nipote, ella aveva innanzi a sé un vastissimo campo di speculazione astratta.

Si sarebbe detto che fossimo a un pranzo d’orchi, 663

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così sanguinario era il tono della conversazione.

– Confesso che sono dell’opinione della signora Waterbrook – disse il signor Waterbrook, col bicchiere al-l’altezza dell’occhio. – Ci sono altre cose che hanno pure il loro pregio, ma non dite male del Sangue!

– Oh, non v’è nulla – osservò la zia d’Amleto – non v’è nulla che dia tanta soddisfazione! Non v’è nulla che sia tanto il beau-ideal di... di tutte quelle specie di cose, generalmente parlando. Vi sono alcune menti volgari (non molte, voglio credere, ma ve ne sono) che preferi-rebbero di fare ciò che io direi prosternarsi innanzi a degli idoli. Positivamente idoli. Innanzi ai meriti, alla intelligenza, e così via. Ma queste sono idee astratte. Il Sangue invece, no. Noi vediamo il Sangue in un naso, e lo riconosciamo. Lo incontriamo in un mento, e diciamo: «Eccolo, questo è il Sangue». È positivo, è materia di fatto. Si tocca col dito. Non c’è dubbio di sorta.

Il signore che sorrideva sempre e che s’era preso Agnese, mi parve che affrontasse la questione con maggiore penetrazione.

– Oh, perbacco, sapete – disse quel signore, guardando intorno alla tavola con un sorriso di idiota – non si può rinunciare al Sangue, no! Il Sangue si deve avere, si deve. Alcuni giovani, possono mostrarsi un po’ al di sotto della loro condizione, forse, in fatto d’educazione e di condotta, e condursi un po’ male, si sa, e trovarsi essi e 664

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gli altri in un gran numero di difficoltà, eccetera, eccetera; ma è sempre un piacere, perbacco, considerare che hanno nelle loro vene il Sangue. Quanto a me preferirei sempre d’essere atterrato da uno che avesse in sé il Sangue, che non da uno che non ne avesse.

Questo sentimento, che concentrava la questione generale in un guscio di noce, fu accolto con unanime soddisfazione, e segnalò grandemente l’oratore, finché le signore si ritirarono. Notai allora che il signor Gulpidge e il signor Henry Spiker, mantenutisi fino a quel momento a distanza, avevano formato una lega difensiva contro di noi, che rappresentavamo il loro comune nemico, e si scambiarono un dialogo misterioso attraverso la tavola, per la nostra completa disfatta.

– Quell’affare della prima obbligazione di quattromila e cinquecento sterline non ha il corso che si sarebbe aspettato, Spiker – disse il signor Gulpidge.

Are sens