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– Volete dir del D. di A.? – disse il signor Spiker.

– Del C. di B. – disse il signor Gulpidge. Il signor Spiker levò le sopracciglia, e parve molto sorpreso.

– Quando la cosa fu riferita a lord... è inutile dire il nome – disse il signor Gulpidge, frenandosi.

– Comprendo – disse il signor Spiker – N. Il signor Gulpidge fece un cenno oscuro:

– Fu riferita a lui. Rispose: senza denaro, niente libera-665

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zione.

– Bontà del Cielo! – esclamò il signor Spiker.

– Senza denaro, niente liberazione – ripeté con fermezza il signor Gulpidge. – L’erede diretto... voi mi capite.

– K. – disse il signor Spiker, con uno sguardo sinistro.

– K. allora positivamente rifiutò di firmare. Fu seguito fino a Newmarket con quello scopo, e di punto in bianco rifiutò di farlo.

Il signor Spiker era così attento, che sembrava impietra-to.

– Così la faccenda per il momento è a questo punto –

disse il signor Gulpidge, gettandosi indietro nella sedia.

– Il nostro amico Waterbrook mi scuserà se, per l’importanza degli interessi che vi son coinvolti, evito di spiegarmi più chiaramente.

Il signor Waterbrook mi sembrava più che felice che alla sua tavola si accennasse, anche fugacemente, a interessi così gravi e a nomi così importanti. Egli assunse una espressione di intelligente gravità (benché io sia persuaso che di quella discussione avesse compreso anche meno di me), e approvò solennemente la discrezione che era stata osservata. Il signor Spiker, dopo aver ricevuto l’onore di una simile confidenza, desiderò naturalmente di contraccambiare l’amico con un’altra; perciò il dialogo precedente fu seguito da un secondo, durante il 666

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quale toccò al signor Gulpidge di far le proprie meraviglie; e il secondo da un altro durante il quale toccò di nuovo al signor Spiker di far le sue, e così di seguito, volta per volta. Nel frattempo, noi, i profani, rimanevamo oppressi dai formidabili interessi involti nella conversazione; e il nostro ospite ci guardava con orgoglio, come le vittime di un timore e d’uno stupore salutari.

Veramente io fui molto lieto di andar di sopra con Agnese, e di conversar con lei in un angolo, dopo averle presentato Traddles, che era timido, ma simpatico, e la stessa buona creatura d’una volta. Siccome egli era costretto ad andarsene via presto, perché la mattina doveva partire e star lontano un mesetto, conversai con lui meno di quanto avrei desiderato; ma ci scambiammo gl’indirizzi, e ci ripromettemmo il piacere d’un altro incontro al suo ritorno. Egli apprese con molta gioia il mio incontro con Steerforth e parlò di lui con tanto calore che lo pregai di dire ad Agnese ciò che pensasse di lui. Ma Agnese frattanto mi guardava, scotendo leggermente il capo quando Traddles non la osservava.

Siccome essa stava fra persone con le quali non credevo si sentisse ad agio, fui quasi lieto di apprendere che sarebbe partita fra pochi giorni, benché mi dispiacesse di dovermi di nuovo separare da lei così presto. Questo mi spinse a rimanere finché tutta la compagnia non se ne fu andata. Conversando con lei, e sentendola cantare, rie-vocavo l’antica dolce vita nell’antica e solenne casa resa 667

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così lieta dalla sua presenza; e sarei rimasto a sentirla tutta la notte; ma non avendo alcuna scusa per indugiarmi ancora, dopo che tutti i lumi della serata del signor Waterbrook erano già spenti, mi levai, benché a malin-cuore, e mi congedai. Compresi allora più che mai, che ella era il mio buon angelo, e giacché pensavo al suo dolce viso e al suo tranquillo sorriso, come a immagini di una lontana angelica creatura, questa mia innocente illusione mi sarà certo perdonata.

Ho detto che tutta la comitiva se n’era andata; ma avrei dovuto eccettuare Uriah, ché non ho incluso in quella denominazione, e che non aveva cessato di gravitarci intorno. Egli mi si strinse alle calcagna quando andai da basso, e mi si incuneò nel fianco, all’uscita, mentre si ficcava lentamente le lunghe dita scheletriche, nelle dita anche più lunghe di un paio di guanti che parevan fatti per Guy Fawkes.

Non ero d’umore da allietarmi della compagnia di Uriah, ma, ripensando alla preghiera fattami da Agnese, gli chiesi se non gli dispiacesse di venire a casa mia a bere una tazza di caffè.

– Oh, veramente, signorino Copperfield – egli rispose –

scusatemi, signor Copperfield, ma sono così abituato a chiamarvi signorino... veramente non vorrei che v’inco-modaste a invitare una persona della mia bassezza in casa vostra.

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– Non soffro incomodo di sorta – dissi. – Volete venire?

– Ci verrei volentierissimo – rispose Uriah con una contorsione.

– Ebbene, allora, andiamo! – dissi.

Non potevo fare a meno dal mostrarmigli piuttosto brusco, ma pareva che non se n’accorgesse. Andammo per la via più breve, senza spender molte parole per strada; ed egli era così modesto di fronte a quei suoi spauracchi di guanti, che ancora se li stava ficcando, e pareva non avesse fatto alcun progresso in quell’operazione, quando arrivammo a casa.

Lo guidai per la scala buia, per evitare che andasse a picchiar la testa in qualche parte, e la sua mano umida nella mia mi faceva in verità l’effetto d’una rana, tanto che ero tentato di lasciarla e fuggire. Il pensiero d’Agnese e il sentimento d’ospitalità prevalsero, però, e lo condussi innanzi al mio focolare. Quando accesi le candele, egli cadde in tali dolci trasporti d’ammirazione per la stanza che gli veniva rivelata; e quando mi misi a scaldare il caffè in un modesto recipiente di latta nel quale usava sempre di prepararlo la signora Crupp (principalmente, credo, perché non era destinato a quello scopo, ma a scaldar l’acqua della barba, e perché v’e-ra una macchinetta di molto prezzo che stava a muffire in cucina) egli si mostrò tanto commosso, che gli avrei lietamente versato addosso il liquido bollente.

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– Oh veramente, signorino Copperfield... voglio dire signor Copperfield – disse Uriah – non mi sarei mai aspettato di vedermi servir da voi. Ma si succedono, in un modo o nell’altro, tante cose che non mi sarei mai aspettate, ne son certo, nella mia condizione modesta, che mi sembra mi piovano continuamente benedizioni in testa. Avete saputo qualche cosa, forse, d’un mutamento nelle mie aspirazioni, signorino Copperfield...

cioè signor Copperfield.

Mentre egli sedeva sul mio canapè, con le lunghe ginocchia sotto la tazza, col cappello e i guanti accanto a lui sul pavimento, col cucchiaio che segnava dei lenti giri, gli occhi rossi senza ombra, che parevan gli avessero arse le ciglia, volti verso di me senza guardarmi, le strane contrazioni, che ho già descritte, delle narici, che si stringevano e si dilatavano con le vicende del respiro e un’ondulazione da serpe che gli scorreva dal capo alle piante per tutta la persona, vidi chiaramente in me che lo detestavo cordialmente. Provai un vero malessere d’averlo per ospite, perché ero giovane allora, e non avvezzo a dissimulare ciò che fortemente sentivo.

– Avete sentito qualche cosa, forse, d’un mutamento nelle speranze, signorino Copperfield... cioè signor Copperfield? – riprese Uriah.

– Sì – dissi – ho saputo.

– Ah! Pensavo già che Agnese ne sapesse qualcosa! –

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rispose tranquillamente. – Son lieto di apprendere che Agnese n’è informata. Grazie, signorino... signor Copperfield.

Are sens