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ella proseguì. – Mio figlio m’ha raccontato, signor Copperfield, che voi gli foste sempre devoto, e che quando lo incontraste ieri, piangeste di commozione. Non sarei una donna sincera, se fingessi d’essere sorpresa dal fatto 527

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che mio figlio possa ispirare commozioni simili; ma non posso mostrarmi indifferente con chi comprende così esattamente il valore di mio figlio, e sono lietissima di vedervi qui, e posso assicurarvi che egli sente un’insolita amicizia per voi; e che potete aver fiducia nella sua protezione.

La signorina Dartle metteva, come in tutto, molto ardore a giocare a dama. Se la prima volta l’avessi vista al giuoco, mi sarei detto che fosse diventata magra, e gli occhi le si fossero ingranditi in quell’occupazione, e non altrimenti. Ma non sarei esatto se affermassi che ella aveva perduto una parola del nostro colloquio o un mio sguardo, mentre ascoltavo col maggior piacere le confidenze della signora Steerforth, e, onorato di quell’atto di fiducia, mi sentivo maggiore di quanto mi giudicassi lasciando Canterbury.

Alla fine della serata, dopo che fu portato un vassoio di bottiglie e bicchieri, accanto al fuoco, Steerforth mi annunziò che pensava seriamente di venire in campagna con me. Non c’era fretta, egli disse; si poteva intanto aspettare una settimana; e sua madre disse lo stesso con un sorriso ospitale. Mentre parlavamo, più d’una volta egli mi chiamò Margherita, cosa che fece interloquire di nuovo la signorina Dartle.

– Ma veramente, signor Copperfield – ella chiese – è un nomignolo? E perché ve lo dà? Forse perché... eh?...

perché vi crede innocente e candido? Io sono così scioc-528

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ca in queste cose!

Mi feci rosso nel rispondere che credevo di sì.

– Oh! – disse la signorina Dartle. – Ora son lieta di saperlo. Domando per sapere, e son contenta di saperlo.

Egli vi crede candido e innocente; e così voi siete suo amico. Ecco una cosa deliziosa!

Subito dopo ella andò a letto, e fu seguita dalla signora Steerforth. Io e Steerforth, dopo esser rimasti un’altra mezz’ora accanto al fuoco, parlando di Traddles e di tutti i compagni dell’antico Salem House, andammo di sopra insieme. La camera di Steerforth era attigua alla mia, ed entrai per visitarla. Era un modello di comodità, piena di poltrone, guanciali e sgabellini, ricamati di mano della madre. Non vi mancava nulla che potesse renderla più gradita. Finalmente, i lineamenti di lei contemplavano il figlio diletto da un ritratto sulla parete, come per vegliarlo in effigie mentre egli dormiva.

In camera mia trovai il fuoco che fiammeggiava: le cortine tirate innanzi alle finestre e intorno al letto gli davano un grazioso aspetto. Mi sedetti nella poltrona accanto al fuoco a meditare sulla mia felicità; e sarei rimasto immerso in quella contemplazione per qualche tempo, se non avessi scoperto un’effigie della signorina Dartle che mi guardava con gli occhi ardenti dalla parete del caminetto.

Era d’una somiglianza sorprendente, e necessariamente 529

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aveva uno sguardo d’una espressione sorprendente. Il pittore vi aveva omesso la cicatrice, ma io ve la mettevo; ed eccola andare e venire: ora limitata al labbro superiore, come l’avevo vista a desinare, e ora tesa per tutto il tratto della ferita inflittale dal martello, come l’avevo vista in un atto d’ira.

Puerilmente mi domandai perché non l’avessero sospesa in qualche altra parte, invece di cacciarmela lì. Per liberarmi di Rosa Dartle, mi spogliai rapidamente, spensi il lume, e mi misi a letto. Ma mentre pigliavo sonno, non potevo dimenticare ch’ella era ancora lì a guardarmi:

«Ma veramente, proprio così? Io voglio sapere»; e quando mi svegliai la notte, m’accorsi che in sogno m’ero affannato a domandare a persone d’ogni condizione se veramente fosse così e non così – senza saper che m’intendessi.

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XXI.

L’ EMILIETTA

In quella casa c’era un domestico, che, di solito, come potei capire, accompagnava Steerforth. Era stato da lui assunto in servizio a Oxford, ed era all’aspetto un modello di rispettabilità. Credo che non sia mai esistito un uomo della sua condizione d’aspetto più rispettabile.

Era taciturno, dal passo morbido e leggero, calmo di modi, deferente, attento, sempre presente quando si aveva bisogno di lui, sempre assente quando di lui non si aveva bisogno; ma la sua grande caratteristica era la rispettabilità. Non aveva il volto mobile, anzi aveva il collo piuttosto rigido, e la testa stretta e liscia, con capelli corti pendenti sulle orecchie, e il vezzo speciale di bisbigliare la lettera s così distintamente, che sembrava la usasse più spesso degli altri; ma ogni tratto suo speciale diventava in lui rispettabilità. Avesse avuto il naso a rovescio, egli l’avrebbe fatto diventare rispettabile. Si circondava d’un’atmosfera di rispettabilità, e vi si moveva sicuro. Sarebbe stato quasi impossibile di sospet-tarlo di qualche cosa di male: era così perfettamente rispettabile. Nessuno avrebbe potuto pensare di metterlo in una livrea: era così altamente rispettabile. Dargli 531

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un’incombenza servile, sarebbe stato infliggere un violento oltraggio all’uomo più rispettabile del mondo. E, m’avvidi, che di questo le domestiche della famiglia erano istintivamente persuase, perché disbrigavano esse direttamente ogni faccenda, e in generale mentr’egli leggeva il giornale accanto al fuoco della dispensa.

Non avevo visto mai un uomo più riservato. Ma in quella qualità, come in tutte le altre che possedeva, non sembrava che più rispettabile ancora. Anche il fatto che nessuno sapeva il suo nome di battesimo, pareva che formasse una parte della sua rispettabilità. Nulla si poteva obiettare al suo cognome, Littimer, col quale era conosciuto. Pietro poteva essere impiccato, o Tom deportato; ma Littimer era perfettamente rispettabile.

Sarà stato per la natura veneranda della rispettabilità in astratto, ma mi sentivo particolarmente giovane alla presenza di quell’uomo. Quant’anni egli avesse, non riuscii mai a indovinare: e questo gli tornava ad onore per lo stesso titolo; perché, nella calma della rispettabilità, avrebbe potuto contar cinquant’anni, come trenta.

Prima che mi levassi, Littimer apparve in camera mia per portarmi l’acqua calda della barba (pungente riflessione!) e per spazzolarmi il vestito. Quando tirai da una parte la cortina e guardai fuori del letto, lo vidi, in un’e-qua temperatura di rispettabilità, non commossa dal rigido vento di gennaio, e neppur minimamente raffreddata, allinear le mie scarpe a destra e a sinistra nella prima 532

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posizione della danza, e soffiar dei granelli di polvere dal mio vestito, mentre delicatamente lo deponeva sulla sedia, come si fa con un bambino.

Gli diedi il buongiorno, e gli chiesi che ora fosse. Egli trasse di tasca il più rispettabile orologio che avessi mai veduto, e impedendo col pollice alla molla di sollevar violentemente il coperchio, guardò il quadrante come se stesse consultando un’ostrica sibilla, lo richiuse e disse, che, se non mi dispiaceva, erano le otto e mezzo.

– Il signor Steerforth sarà lieto di sapere come avete riposato, signore.

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