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David Copperfield

strinse fra le braccia. Egli mi presentò a quella signora, dicendo ch’era sua madre, ed ella mi diede un pomposo benvenuto.

La casa era vecchia, ma elegante, molto tranquilla e ordinata. Dalle finestre della camera che mi venne assegnata, vedevo tutta Londra, lontano, immersa come in un grande vapore, rotto qua e là da tremolanti punti luminosi. Rivestendomi, ebbi appena il tempo di dare uno sguardo ai mobili solidi, ai lavori d’ago o di rica-mo nelle cornici (fatti, immaginai, dalla madre di Steerforth, quand’era ragazza) e ad alcuni ritratti a matita di signore dai capelli incipriati e dalla vita stretta, traballanti sulle pareti alle fiamme del caminetto, acceso allora, che scoppiettava e schizzava scintille, perché fui chiamato per il desinare.

V’era nella sala da pranzo un’altra donna, piccola, magra, scura, niente affatto bella, ma pur con certi sguardi che attrassero la mia attenzione: forse perché io non m’ero aspettato di vederla; forse perché mi trovai a sedere di fronte a lei. Aveva i capelli neri e occhi ardenti e neri, ed era sottile, e aveva una cicatrice alle labbra. Una vecchia cicatrice – l’avrei detta, piuttosto, cucitura, perché non era scolorata, e s’era rimarginata da anni – che le aveva attraversato la bocca fin sul mento, ma che ora, dal mio posto, era troppo visibile, tranne sul labbro superiore, che era rimasto deformato.

Mi dissi naturalmente ch’ella aveva circa trent’anni, e 519

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che desiderava di maritarsi. Era un po’ sciupata – come una casa che aspettasse da tempo d’essere appigionata; pure aveva, come ho già detto, certi sguardi che attraevano. La sua sottigliezza sembrava l’effetto d’un intimo fuoco devastatore, che le si sprigionava dagli occhi.

Mi fu presentata come la signorina Dartle; e Steerforth e la madre la chiamavano semplicemente Rosa. Seppi che viveva in casa loro, ed era da gran tempo la compagna della signora Steerforth. Mi parve che non dicesse mai ciò che voleva sapere, subito e francamente; ma vi accennasse appena, e riuscisse a molto di più con questa manovra. Per esempio, quando la signora Steerforth osservò, più per scherzo che sul serio, di temer che suo figlio ad Oxford non conducesse che una vita di dissipazione, la signorina Dartle la interruppe così:

– Oh, come? Voi sapete che io sono ignorante, e che se faccio delle domande le faccio per istruirmi, ma non è sempre così? Credevo che tutti ammettessero che quel genere di vita non sia che... eh?

– Una preparazione per una professione molto seria, se è questo che intendi dire, Rosa – rispose la signora Steerforth con qualche freddezza.

– Oh, sì! È verissimo – rispose la signorina Dartle. – Ma è così, vero?... Correggetemi, se ho torto... ma è così, veramente?

– Veramente che? – disse la signora Steerforth.

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– Oh tu dici di no! – rispose la signorina Dartle. – Bene, son lietissima di saperlo. Ora so che cosa pensarne.

Questo è il vantaggio di fare delle domande. Non per-metterò mai più a nessuno di parlare in mia presenza, a proposito di quella vita di prodigalità e di dissipazione.

– E tu avrai ragione – disse la signora Steerforth. – Il precettore di mio figlio è un uomo coscienziosissimo; e se io non avessi fiducia di mio figlio, avrei fiducia in lui.

– Sì – disse la signorina Dartle. – Poveretta me! È coscienzioso? È veramente coscienzioso?

– Ne sono più che persuasa – disse la signora Steerforth.

– Che bellezza! – esclamò la signorina Dartle. – Che gioia! Veramente coscienzioso? Allora egli non è... ma naturalmente non può essere, se veramente è coscienzioso. Bene, da questo momento sarò felicissima d’avere questa opinione di lui. Non potete credere come lo faccia salire alto nella mia stima sapere di certo ch’è realmente coscienzioso.

Nello stesso modo la signorina Dartle insinuava il proprio parere su ogni questione e le proprie correzioni di tutto ciò che nella conversazione non le andava a garbo: e a volte, non potevo nascondermelo, con grande energia, e perfino in contraddizione con Steerforth. Ne ebbi un esempio prima che il desinare fosse finito. Parlando con la signora Steerforth della mia intenzione d’andare 521

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laggiù nel Suffolk, dissi a caso come sarei stato contento, se Steerforth avesse voluto accompagnarmi; e spiegando a Steerforth che intendevo di visitare la mia vecchia governante e la famiglia del signor Peggotty, gli rammentai il barcaiuolo da lui veduto a scuola.

– Ah! quel brav’uomo! – disse Steerforth. – Aveva un figliuolo con lui, ricordi?

– No. Era suo nipote – risposi – ma l’ha adottato come figlio, però. Ha anche una graziosissima nipotina, che ha adottato come figlia. Insomma, la sua casa (o meglio il suo battello, perché abita in un battello, sulla terrafer-ma) è piena di gente che è oggetto della sua bontà e della sua generosità. Ti farà un gran piacere vedere quella casa.

– Credi? – disse Steerforth. – Bene, lo credo anch’io.

Vedrò quel che si può fare. Mette conto di fare un viaggetto (senza contare il piacere di un viaggio con te, Margheritina) per vedere insieme della gente di quella specie, e starci un po’ insieme.

Il mio cuore sussultò con una nuova speranza di piacere.

Ma la signorina Dartle, i cui occhi scintillanti ci avevano sempre vigilati, esclamò, riguardo al tono con cui egli aveva parlato di gente di quella specie:

– Oh, ma veramente? Ditemi. Veramente sono?...

– Sono che?... – disse Steerforth.

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– Gente di quella specie? Sono veramente animali bruti, ed esseri d’altra natura? Mi piacerebbe tanto di sapere...

– Ebbene, v’è certo un gran divario fra essi e noi – disse Steerforth, con indifferenza. – Non si può pretendere ch’essi siano sensibili come siamo noi. Non si urta e non si ferisce con gran facilità la loro delicatezza. Sono straordinariamente virtuosi, ammetto. Alcuni lo sostengono, e io non intendo contraddirli; ma non hanno molta finezza di sentimenti, e buon per loro, che, avendo la pelle scabra, non s’intaccano facilmente.

– Veramente! – disse la signorina Dartle.

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