In un altro momento forse non avrei avuto la fiducia o l’ardire di parlargli, e avrei rimandato la cosa al giorno dopo, e avrei potuto perderlo. Ma nelle condizioni del mio spirito, che era ancora sotto il fascino della rappresentazione, la protezione accordatami in passato da quel giovane mi parve così degna di gratitudine, e il bene che gli avevo voluto mi traboccò dal petto con tanta freschezza e spontaneità, che diedi immediatamente un passo verso di lui, e, col cuore che mi batteva forte, dissi:
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David Copperfield
– Steerforth, non mi riconosci?
Egli mi guardò – proprio com’era solito guardare a volte
– ma non mi riconobbe ancora.
– Ho paura che tu ti sia dimenticato di me – dissi.
– Mio Dio! – esclamò improvvisamente. – Il piccolo Copperfield!
Lo afferrai per tutte e due le mani, e non potei lasciarle andare. Ma se non avessi avuto vergogna, e non avessi avuto timore di dispiacergli, gli sarei saltato al collo piangendo.
– Come son contento, come son contento! Mio caro Steerforth, come son felice di rivederti!
– E anch’io son contento di riveder te – egli disse, stringendomi cordialmente le mani. – Su, Copperfield, mio caro, non ti commuovere tanto!
Eppure egli, era contento, mi parve, di veder quanta gioia sentissi per quell’incontro.
M’asciugai le lagrime, che m’ero sforzato invano di trattenere, feci le viste di riderne, e ci sedemmo l’uno accanto all’altro.
– Ebbene, come ti trovi qui? – disse Steerforth, battendomi sulla spalla.
– Son arrivato oggi con la diligenza di Canterbury.
Sono stato adottato da mia zia che abita laggiù in cam-511
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pagna, e ho appunto terminato gli studi. E tu come ti trovi qui, Steerforth?
– Ebbene, io sono ciò che si dice uno studente di Oxford – egli rispose; – vale a dire che mi vado a seccare a morte periodicamente laggiù... e ora vado a casa, da mia madre. Tu sei un bel ragazzo, Copperfield. Proprio come eri una volta, ora che ti guardo. Tale e quale come una volta!
– Io ti ho riconosciuto immediatamente – dissi – anche perché tu sei più facilmente riconoscibile.
Sorrise, mentre si ficcava le dita tra i folti riccioli della chioma, e riprese allegramente:
– Sì, come mi vedi, sono in pellegrinaggio filiale. Mia madre abita un po’ lontano dalla città; e perché le strade sono pessime e la casa è piuttosto noiosa, mi son fermato qui stasera. È da cinque o sei ore che sono in città, e le ho passate borbottando e sonnecchiando a teatro.
– Anch’io sono stato a teatro – dissi. – Al Covent Garden. Che magnifica rappresentazione, Steerforth!
Steerforth si mise a ridere cordialmente.
– Mio caro piccolo Davy – disse, battendomi sulla spalla – sei una vera margheritina. La margheritina dei campi, la mattina, è meno fresca di te. Anch’io sono stato al Covent Garden, e non ho visto mai uno spettacolo più stupido. Ehi, qui!
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Questo era rivolto al cameriere, che aveva osservato, in distanza, e con molta attenzione, il nostro incontro, e si fece innanzi molto rispettosamente.
– Dove hai messo il mio amico Copperfield? – disse Steerforth.
– Bene, signore – disse il cameriere, con accento di scusa – per ora il signor Copperfield è al numero quarantaquattro.
– E come ti viene in mente – ribatté Steerforth – di andare a cacciare il signor Copperfield in un buco sopra una stalla?
– Non sapevo, signore – rispose il cameriere sempre in tono di scusa – che il signor Copperfield ne facesse caso. Al signor Copperfield possiamo dare il settanta-due, se lo preferisce. Accanto alla vostra camera, signore.
– Naturalmente che lo preferisce – disse Steerforth. – E
sbrigati.
Il cameriere corse immediatamente a fare il cambio.
Steerforth, immensamente divertito perché m’avevano dato il quarantaquattro, rise di nuovo, e mi batté sulla spalla di nuovo, invitandomi a colazione per le dieci della mattina – un invito che fui orgoglioso e felice di accettare. Ma era già tardi, e ci prendemmo le candele e andammo di sopra, dove, sulla soglia della sua camera, ci separammo con gran cordialità, e dove vidi che il mio 513
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