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Primo effetto d’un mio spontaneo impulso, al ritorno, fu di andare a fare una passeggiata notturna a Norwood, e di girare, secondo un venerabile indovinello del tempo della mia fanciullezza «intorno intorno alla casa senza mai toccar la casa», pensando a Dora. Credo che quell’indovinello, per me incomprensibile, si riferisse alla luna. Comunque si fosse, io, schiavo lunatico di Dora, girai due ore intorno alla casa e al giardino, guardando a traverso gli spiragli del giardino, arrivando con una serie di violenti sforzi a sporgere il mento sui ferri rugginosi della cancellata, inviando baci ai lumi nelle finestre, e romanticamente, di tanto in tanto, invocando la notte perché difendesse la mia Dora – non so esattamente da che, forse dal fuoco, forse dai topi, dei quali ella aveva una paura indicibile.

Ero così pieno dell’amor mio, ed era così naturale che io mi confidassi con Peggotty, quando la sera me la trovai di nuovo accanto, occupata, con tutti i suoi vecchi strumenti di lavoro, a passare in rassegna il mio guardaroba, che la misi a parte, con molte perifrasi, del mio gran segreto. Peggotty prese vivamente a cuore la cosa, ma assolutamente non mi riuscì di fargliela guardare dal lato da cui la vedevo io. Essa si mostrò audacemente preve-nuta in mio favore, e per nulla affatto in grado di comprendere perché io fossi preda di ansie, di timori e di scoramenti. «La ragazza deve ritenersi fortunatissima d’avere un simile innamorato», ella osservava. «E quanto a suo padre», aggiungeva, «per amor di Dio, che cosa 841

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pretenderebbe di più?».

Notai però, che la toga di procuratore del signor Spenlow e la cravatta inamidata confusero un po’ Peggotty e le ispirarono maggior rispetto per l’uomo che diventava gradatamente, giorno per giorno, sempre più etereo agli occhi miei, e dal quale mi sembrava, vedendolo seduto impettito in Corte fra i suoi incartamenti, raggiasse un riflesso luminoso, come da un piccolo faro in un mare di carte. E inoltre, soleva farmi un effetto veramente strano, sedendo anch’io in Corte, ricordo, considerare che quei giudici e dottori vecchi e tristi non si sarebbero curati di Dora, se l’avessero conosciuta; che non avrebbero delirato di gioia, se fosse stato loro proposto il matrimonio con Dora; che Dora avrebbe potuto, cantando, e sonando su quella sua magica chitarra, trarmi fino all’orlo della follia, senza che neppur uno di quei tardigradi si sentisse tentato di deviar d’un pollice dalla sua carreggiata.

Li avvolsi tutti nel mio disprezzo, a uno a uno. Mi parve che quei vecchi ghiacciati giardinieri delle aiuole del cuore mi facessero tutti un oltraggio personale. Il tribunale non mi parve che un pantano di scerpelloni, e pensai che l’alta Corte contenesse meno poesia e sentimento di una sala da caffè.

Assuntami, con un certo orgoglio, la cura di dare assetto alle faccende di Peggotty, feci registrare il testamento, pagai la tassa di successione, accompagnai lei 842

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alla Banca, e in breve; tutto fu regolato. Ci divertimmo a dare qualche varietà alle nostre occupazioni legali con l’andare a vedere in Fleet Street certo museo di figure di cera, tutte trasudanti (a quest’ora, dopo vent’anni dovrei crederle completamente fuse), e col visitare l’esposizione della signorina Linwood, che rimane nel mio ricordo come un mausoleo di lavori all’uncinetto propizio agli esami di coscienza e al pentimento; e col dare un’occhiata alla Torre di Londra, e col salire sulla chiesa di San Paolo. Tutte quelle meraviglie diedero a Peggotty, in condizioni melanconiche di spirito, tutto il piacere che potevano darle: tranne, forse, San Paolo, il quale da lei, per la lunga consuetudine che la legava alla sua cassetta da lavoro, fu considerato come il rivale di quello dipinto sul coperchio, e, in alcuni particolari, lasciato indietro, ella pensava, dal capolavoro artistico di sua proprietà.

Regolati gli affari di Peggotty, che erano ciò che in Corte si usava chiamare « affari ordinari» (e gli «affari ordinari» erano molto facili e molto lucrosi), una mattina la condussi allo studio a pagare il conto. Il signor Tiffey mi annunziò che il signor Spenlow era uscito per andare a far giurare un cliente che domandava una licenza di matrimonio; ma siccome sapevo che sarebbe tornato subito, perché il nostro studio era vicinissimo all’ufficio del Vicario generale, dissi a Peggotty d’aspettare.

Eravamo, al Doctor’s Commons, in fatto di verifiche te-843

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stamentarie, un po’ come gl’imprenditori di pompe funebri; e avevamo in generale l’abitudine di comporci un’aria più o meno afflitta verso i clienti vestiti a lutto.

Per un simil sentimento di delicata interpretazione, eravamo lieti ed espansivi coi clienti che si presentavano per avere una licenza di matrimonio. Perciò avvertii Peggotty che essa avrebbe visto il signor Spenlow completamente rimesso dall’impressione prodottagli dalla morte di Barkis; e infatti egli arrivò radioso come un fidanzato.

Ma né Peggotty né io avemmo più occhi per lui, quando vedemmo, insieme con lui, entrare il signor Murdstone.

Questi non era cambiato gran che: aveva i capelli folti e neri come una volta; e negli occhi lo stesso falso sguardo di prima.

– Ah, Copperfield? – disse il signor Spenlow. – Voi conosceste questo signore, credo?

Feci a quel signore un freddo saluto, e Peggotty ebbe l’aria di riconoscerlo. Egli, a tutta prima, parve alquanto sconcertato di trovarci insieme; ma, ad un tratto decise come condursi, e mi s’avvicinò:

– Spero – egli disse – che voi stiate bene?

– Credo che non ve ne prema molto – dissi. – Sì, se desiderate saperlo.

Ci scambiammo un’occhiata, e poi egli si volse a Peggotty:

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– E voi? – disse. – Mi dispiace di vedere che avete perduto vostro marito.

– Non è la prima perdita che ho sofferto, signor Murdstone – rispose Peggotty tremando dalla testa ai piedi. – Sono contenta di sapere che di questa nessuno abbia colpa e nessuno debba risponderne.

– Ah! – egli esclamò. – Una consolante riflessione.

Avete fatto il vostro dovere?

– Per grazia di Dio, non ho abbreviato la vita di nessuno – disse Peggotty. – No, signor Murdstone, non ho affrettato con la paura e i tormenti la morte di nessuno.

Egli scoccò un’occhiata torva – con una punta di rimorso, credo – per un istante, e volgendosi a me, ma guardandomi i piedi, invece della faccia:

– Probabilmente non c’incontreremo presto un’altra volta; e sarà bene, certo, perché simili incontri non possono mai essere piacevoli. Non spero che voi, che vi ri-bellaste sempre contro la mia legittima autorità, esercitata per il vostro bene e per la vostra educazione, possiate aver mai per me un sentimento di benevolenza. Ve un’antipatia fra noi...

– Inveterata, penso – dissi, interrompendolo.

Egli sorrise, e mi dardeggiò la più maligna occhiata che potessero dardeggiare que’ suoi sguardi foschi.

– Sì, vi covava già in petto da bambino – egli disse. –

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Amareggiò la vita della vostra povera madre. Avete ragione. Spero che possiate comportarvi meglio, e che possiate trovare il modo di correggervi.

Qui egli troncò il dialogo, che s’era svolto a bassa voce, in un angolo dell’anticamera, col passar nella stanza del signor Spenlow e dir alto, in tono mellifluo:

– Le persone della vostra professione, signor Spenlow, sono abituate ai dissensi familiari, e sanno che son sempre complicati e difficili! – Ciò detto, pagò il denaro per la sua licenza; e, ricevendola accuratamente piegata dal signor Spenlow, insieme con una stretta di mano e un cortese augurio per la felicità sua e della sposa, uscì dallo studio.

Mi sarebbe stato più difficile frenarmi e tacere dopo le sue ultime parole, se non fosse stato meno difficile far capire a Peggotty (la quale non era irritata che per conto mio, poveretta!) che non era quello il luogo e il tempo delle recriminazioni, e che la supplicavo di tacere. Ella era così eccitata, che fui contento di racchetarla con un abbraccio, che scaturì dal ricordo ravvivato in lei delle nostre antiche sofferenze, e la sostenni del mio meglio in presenza del signor Spenlow e degli scrivani.

Sembrava che il dottor Spenlow non sapesse il grado di parentela che correva fra il signor Murdstone e me; e ne fui lieto, perché mi rifiutavo di riconoscerlo anche in me stesso, ricordando le sofferenze della mia cara ma-846

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dre. Sembrava che il signor Spenlow pensasse, se mai pensava a qualche cosa, che mia zia fosse alla testa del partito di Stato nella nostra famiglia e che vi fosse un partito d’opposizione comandato da qualche altro – così almeno compresi da ciò che disse, mentre si aspettava Tiffey che faceva il conto di quanto Peggotty doveva pagare.

– La signora Trotwood – egli osservò – è molto accorta, e non cederà facilmente all’opposizione. Io ammiro molto il suo carattere, e mi congratulo con voi, Copperfield, di vedervi schierato dal lato buono. I dissidi tra parenti sono veramente deplorevoli; ma sono assai comuni: l’importante è di stare dal lato buono – intendo dire, dal lato del denaro. Egli fa un buon matrimonio, credo – aggiunse il signor Spenlow.

Gli spiegai che non ne sapevo nulla.

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