Veramente io fui molto lieto di andar di sopra con Agnese, e di conversar con lei in un angolo, dopo averle presentato Traddles, che era timido, ma simpatico, e la stessa buona creatura d’una volta. Siccome egli era costretto ad andarsene via presto, perché la mattina doveva partire e star lontano un mesetto, conversai con lui meno di quanto avrei desiderato; ma ci scambiammo gl’indirizzi, e ci ripromettemmo il piacere d’un altro incontro al suo ritorno. Egli apprese con molta gioia il mio incontro con Steerforth e parlò di lui con tanto calore che lo pregai di dire ad Agnese ciò che pensasse di lui. Ma Agnese frattanto mi guardava, scotendo leggermente il capo quando Traddles non la osservava.
Siccome essa stava fra persone con le quali non credevo si sentisse ad agio, fui quasi lieto di apprendere che sarebbe partita fra pochi giorni, benché mi dispiacesse di dovermi di nuovo separare da lei così presto. Questo mi spinse a rimanere finché tutta la compagnia non se ne fu andata. Conversando con lei, e sentendola cantare, rie-vocavo l’antica dolce vita nell’antica e solenne casa resa 667
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così lieta dalla sua presenza; e sarei rimasto a sentirla tutta la notte; ma non avendo alcuna scusa per indugiarmi ancora, dopo che tutti i lumi della serata del signor Waterbrook erano già spenti, mi levai, benché a malin-cuore, e mi congedai. Compresi allora più che mai, che ella era il mio buon angelo, e giacché pensavo al suo dolce viso e al suo tranquillo sorriso, come a immagini di una lontana angelica creatura, questa mia innocente illusione mi sarà certo perdonata.
Ho detto che tutta la comitiva se n’era andata; ma avrei dovuto eccettuare Uriah, ché non ho incluso in quella denominazione, e che non aveva cessato di gravitarci intorno. Egli mi si strinse alle calcagna quando andai da basso, e mi si incuneò nel fianco, all’uscita, mentre si ficcava lentamente le lunghe dita scheletriche, nelle dita anche più lunghe di un paio di guanti che parevan fatti per Guy Fawkes.
Non ero d’umore da allietarmi della compagnia di Uriah, ma, ripensando alla preghiera fattami da Agnese, gli chiesi se non gli dispiacesse di venire a casa mia a bere una tazza di caffè.
– Oh, veramente, signorino Copperfield – egli rispose –
scusatemi, signor Copperfield, ma sono così abituato a chiamarvi signorino... veramente non vorrei che v’inco-modaste a invitare una persona della mia bassezza in casa vostra.
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– Non soffro incomodo di sorta – dissi. – Volete venire?
– Ci verrei volentierissimo – rispose Uriah con una contorsione.
– Ebbene, allora, andiamo! – dissi.
Non potevo fare a meno dal mostrarmigli piuttosto brusco, ma pareva che non se n’accorgesse. Andammo per la via più breve, senza spender molte parole per strada; ed egli era così modesto di fronte a quei suoi spauracchi di guanti, che ancora se li stava ficcando, e pareva non avesse fatto alcun progresso in quell’operazione, quando arrivammo a casa.
Lo guidai per la scala buia, per evitare che andasse a picchiar la testa in qualche parte, e la sua mano umida nella mia mi faceva in verità l’effetto d’una rana, tanto che ero tentato di lasciarla e fuggire. Il pensiero d’Agnese e il sentimento d’ospitalità prevalsero, però, e lo condussi innanzi al mio focolare. Quando accesi le candele, egli cadde in tali dolci trasporti d’ammirazione per la stanza che gli veniva rivelata; e quando mi misi a scaldare il caffè in un modesto recipiente di latta nel quale usava sempre di prepararlo la signora Crupp (principalmente, credo, perché non era destinato a quello scopo, ma a scaldar l’acqua della barba, e perché v’e-ra una macchinetta di molto prezzo che stava a muffire in cucina) egli si mostrò tanto commosso, che gli avrei lietamente versato addosso il liquido bollente.
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– Oh veramente, signorino Copperfield... voglio dire signor Copperfield – disse Uriah – non mi sarei mai aspettato di vedermi servir da voi. Ma si succedono, in un modo o nell’altro, tante cose che non mi sarei mai aspettate, ne son certo, nella mia condizione modesta, che mi sembra mi piovano continuamente benedizioni in testa. Avete saputo qualche cosa, forse, d’un mutamento nelle mie aspirazioni, signorino Copperfield...
cioè signor Copperfield.
Mentre egli sedeva sul mio canapè, con le lunghe ginocchia sotto la tazza, col cappello e i guanti accanto a lui sul pavimento, col cucchiaio che segnava dei lenti giri, gli occhi rossi senza ombra, che parevan gli avessero arse le ciglia, volti verso di me senza guardarmi, le strane contrazioni, che ho già descritte, delle narici, che si stringevano e si dilatavano con le vicende del respiro e un’ondulazione da serpe che gli scorreva dal capo alle piante per tutta la persona, vidi chiaramente in me che lo detestavo cordialmente. Provai un vero malessere d’averlo per ospite, perché ero giovane allora, e non avvezzo a dissimulare ciò che fortemente sentivo.
– Avete sentito qualche cosa, forse, d’un mutamento nelle speranze, signorino Copperfield... cioè signor Copperfield? – riprese Uriah.
– Sì – dissi – ho saputo.
– Ah! Pensavo già che Agnese ne sapesse qualcosa! –
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rispose tranquillamente. – Son lieto di apprendere che Agnese n’è informata. Grazie, signorino... signor Copperfield.
Gli avrei gettato in testa il cavastivali (che era lì a portata di mano sul tappeto), per avermi tratto a rivelare una circostanza, benché insignificante, che riguardava Agnese. Ma continuai a sorbire il caffè.
– Che profeta siete stato, signor Copperfield! – proseguì Uriah. – Buon Dio! Che profeta avete dimostrato d’essere. Non ricordate che mi diceste una volta che forse sarei stato socio del signor Wickfield, e che si sarebbe detto Wickfield e Heep? Forse non lo ricordate; ma quando una persona è modesta, signor Copperfield, fa gran conto di simili cose.
– Ricordo d’averne parlato – dissi – benché allora non lo credessi probabile.
– Oh! chi mai l’avrebbe creduto possibile, signor Copperfield! – rispose Uriah, con entusiasmo. – Io no, certo. Ricordo d’aver detto con le mie stesse labbra che ero troppo umile. E così mi consideravo veramente e realmente.
Stava con una smorfia intagliata nel viso a contemplare il fuoco, mentre io lo guardavo.
– Ma le persone più modeste e umili, signorino Copperfield – ripigliò immediatamente – possono essere strumenti di bene. Son lieto di pensare che son stato 671
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strumento di bene per il signor Wickfield, e che potrò esserlo anche di più. Che degno uomo ch’egli è, signor Copperfield, ma com’è stato imprudente!
– Mi duole d’apprenderlo – dissi. – E non potei fare a meno dall’aggiungere con intenzione: – sotto tutti i rapporti.