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Non sarei stato disposto a ricevere gentilmente quel diminutivo di donna se, al rimuovere l’ombrello, che tutti i suoi sforzi non riuscivano a chiudere, ella m’avesse mostrato quella volubile espressione di viso, che, nel mio primo e ultimo incontro con lei, m’aveva fatto tanta impressione. Invece il suo volto nell’atto che si volgeva verso di me era improntato a tanta gravità, ed ella si torse le mani in maniera così desolata, dopo che l’ebbi liberata dall’ombrello (il quale avrebbe impacciato perfino il Gigante irlandese), che non potei fare a meno di mostrarmele ospitale.

– Signorina Mowcher! – esclamai, dopo aver dato una occhiata da un lato e l’altro della via deserta, senza sapere distintamente che sperassi di vedervi. – Come state? Che cosa c’è?

Ella mi fece cenno con la destra di chiuderle l’ombrello, e passandomi in fretta accanto, entrò nella cucina.

Quando, richiusa la porta, la seguii, con l’ombrello in mano, la trovai seduta nell’angolo del parafuoco – che era di ferro e basso e aveva di sopra due spranghe qua-drangolari per posarvi i piatti – all’ombra della caldaia, nell’atto di oscillare innanzi e indietro e di stringersi le ginocchia con le mani, come una sofferente.

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Veramente impensierito d’esser solo a ricevere quella visita fuor d’ora, e di trovarmi unico spettatore di quello strano contegno, dissi di nuovo:

– Vi prego di dirmi, signorina Mowcher, che c’è? Vi sentite male?

– Anima bella – rispose la signorina Mowcher, premendosi sul cuore le mani, l’una sul l’altra, – io sto male, molto male. Pensare che si sarebbe dovuto arrivare a tanto, quando avrei potuto saperlo e forse impedirlo, se non fossi stata incredibilmente sciocca!

Il suo gran cappello (immenso per la sua personcina) ondeggiò di nuovo innanzi e indietro, seguendo l’oscil-lazione del corpo minuscolo; mentre un altro cappello colossale seguiva lo stesso ritmo sulla parete.

– Mi meraviglio – cominciai – di vedervi tanto addolorata.,. – Ma ella m’interruppe:

– Già, è sempre così! – disse. – Tutti questi giovani in-considerati, pienamente e perfettamente sviluppati, si meravigliano dei sentimenti più naturali in una personcina come la mia. Mi usano come un balocco, per il loro trastullo, mi gettano via quando se ne sono stancati e si meravigliano che io senta più d’un cavallo a dondolo o d’un soldatino di stagno. Sì, sì, proprio così, sempre così!

– Gli altri, forse – risposi – ma io no, certo. Forse non dovrei meravigliarmi affatto di vedervi in codesto stato: 819

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ma io vi conosco poco; e l’ho detto senza secondi fini.

– Che debbo fare? – rispose la donnina, levandosi in piedi e allargando le braccia per farsi guardare. – Vedete! Mio padre era come me, mia sorella è come me, mio fratello è come me. Da molti anni lavoro per mia sorella e mio fratello... instancabilmente, signor Copperfield...

tutto il giorno. È necessario vivere. Io non faccio male ad anima viva. Sé v’è della gente così sciocca o così crudele da prendermi in giro, che altro mi resta se non prendere in giro me stessa, loro, e tutto? E se faccio così, di chi è la colpa? Mia forse?

No, no; comprendevo bene che la colpa non era sua.

– Se mi fossi mostrata più suscettibile col vostro falso amico – continuò la donnina, scotendo il capo, con aria grave di rimprovero, – credete che egli mi avrebbe mai aiutata o favorita? Se la piccola Mowcher (che non s’è fatta da sé, signorino mio), si fosse rivolta a lui, o a un altro simile a lui, in nome della sua infelicità, credete che la sua vocina sarebbe stata avvertita? La piccola Mowcher, anche se fosse la più perfida e la più sciocca delle nane, avrebbe necessità di vivere. Ma no, ella si potrebbe sgolare a chiedere il pane, e campare allegramente d’aria.

La signorina Mowcher si risedette sul parafuoco, e cavò di tasca il fazzoletto per asciugarsi gli occhi.

– Felicitatevi con me, se avete l’animo gentile, come 820

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credo che l’abbiate – ella disse; – che, mentre so che cosa sono, posso mostrarmi lieta e sopportar tutto. Mi felicito io stessa, a ogni modo, di poter fare il mio pez-zettino di strada nel mondo senza aver da ringraziare nessuno; e che in compenso di ciò che mi si getta, per follia o per carità, possa dare delle ciurmerie. Se non mi lagno di tutto ciò che mi manca, tanto meglio per me, e tanto peggio per nessuno. Se io sono un trastullo per voi giganti, voi giganti siate pietosi per me.

La signorina Mowcher si rimise il fazzoletto in tasca, e, nel frattempo, guardandomi con occhio intento, continuò:

– Vi ho visto poco fa per via. Certo non pensate che io possa camminare col vostro passo, con queste gam-bette e col poco fiato di cui dispongo, e raggiungervi; ma ho indovinato la vostra mèta, e vi ho seguito. Sono stata qui, oggi, un’altra volta; ma la buona padrona non era in casa.

– Che, la conoscete? – domandai.

– La conosco – rispose – da quanto me ne han detto Omer e Joram. Ero da loro alle sette di stamane. Ricordate che cosa mi disse Steerforth di quella sventurata ragazza, quella volta che vi vidi entrambi all’albergo?

Il gran cappello sulla testa della signorina Mowcher e quello più grande sul muro ricominciarono ad oscillare innanzi e indietro a quella domanda.

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Ricordavo benissimo quello a cui ella si riferiva – ci avevo pensato molte volte quel giorno – e glielo dissi.

– Che il Fattore d’ogni Male lo confonda – disse la donnina, levando l’indice fra me e i suoi occhi scintillanti; –

e confonda dieci volte di più quel suo scellerato servitore; ma io credevo che foste voi ad avere una passione fanciullesca per lei.

– Io? – ripetei.

– Fanciullo, fanciullo! In nome della malasorte cieca –

esclamò la signorina Mowcher, torcendosi con impazienza, e agitandosi nell’angolo del parafuoco – perché la lodavate tanto, e arrossivate ed eravate così turbato?

Non potevo dissimularmi che m’ero comportato com’ella diceva, benché per una ragione diversa, da quella che immaginava.

– Che potevo sapere io? – disse la signorina Mowcher, cavando di nuovo il fazzoletto, e pestando i piedini tutte le volte che con ambe le mani se lo portava agli occhi. –

Vedevo bene ch’egli vi tormentava e vi vezzeggiava; e che eravate come morbida seta in mano sua. Un minuto dopo che avevo lasciato la vostra stanza, il suo domestico mi disse che il Giovane Innocente (così egli vi chiamava, e voi potete chiamarlo senza rimorso Vecchio Furfante) s’era incapricciato di lei, e anche lei era innamorata pazza di voi; ma che il suo padrone s’adoperava per evitar cattive conseguenze – più per amor vostro, 822

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che per lei – e che perciò essi si trattenevano qui. Potevo non credergli? Avevo visto Steerforth carezzarvi e lusin-garvi, tessendo le lodi di lei. Eravate stato il primo a dire il suo nome. Avevate confessato un’antica ammirazione. Vi avevo visto freddo e caldo, e rosso e bianco, mentre parlavate di lei. Che potevo pensare... che pensai? Che eravate un giovane libertino inesperto, caduto in mani molto esperte, le quali potevano guidarvi, se così volevano, per il vostro bene. Oh, oh, oh! Essi teme-vano ch’io scoprissi la verità! – esclamò la signorina Mowcher, uscendo dal parafuoco, e trotterellando su e giù per la cucina con le due piccole braccia levate disperatamente al cielo... – Perché io sono astuta... come potrei altrimenti girare il mondo?... E tutti e due mi ingan-navano, e diedi alla povera ragazza disgraziata una lettera, l’origine, credo, dei suoi colloqui con Littimer, lasciato a bella posta qui.

Rimasi stupito alla rivelazione di tanta perfidia, e seguii con lo sguardo la signorina Mowcher che continuava ad andar su e giù per la cucina, finché non ebbe più fiato, e si sedé di nuovo sul parafuoco, e, asciugandosi il viso col fazzoletto, scosse il capo a lungo, senza muoversi più, e senza pronunziare più una sillaba.

– I miei giri in provincia – ella aggiunse finalmente –

l’altra sera mi condussero a Norwich, signor Copperfield. Ciò che potei scoprire colà sui loro segreti viaggi qui, senza di voi... circostanza strana... mi destò il so-823

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