– Proprio così, signor Copperfield – rispose Uriah. –
Sotto tutti i rapporti. Specialmente per la signorina Agnese. Voi non ricordate le vostre eloquenti espressioni, signor Copperfield, ma io ricordo che diceste che tutti debbono ammirarla, e che vi ringraziai. Certo l’avete dimenticato, signor Copperfield.
– No – dissi con secchezza.
– Oh, come son contento che non ve ne siate dimenticato! – esclamò Uriah. – Pensare che voi foste il primo ad accendere le scintille dell’ambizione nel mio umile petto, e che non ve ne siete dimenticato. Oh!...
Mi scuserete se vi chieggo un’altra tazza di caffè?
Qualche cosa dell’energia messa nell’accensione di quelle scintille, e qualche cosa nell’occhiata che mi volse, parlando, mi avevano fatto balzare come se lo avessi visto illuminato da una fiamma. Scosso dalla sua domanda, pronunciata con un tono assolutamente diverso, feci gli onori del recipiente per la barba; ma con la mano che mi tremava, con l’improvviso sentimento di non potergli stare a pari, e un’ansia sospettosa di ciò che 672
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avrebbe detto fra poco, che mi accorsi non sfuggivano alla sua osservazione.
Egli non diceva più nulla. Agitava il caffè col cucchiaio, ne beveva un sorso, si palpava il mento con la mano scarna, guardava il fuoco, guardava la stanza, mi faceva una smorfia a bocca aperta sotto forma di sorriso, si contorceva nella sua deferenza servile, ma lasciava a me la cura di riannodare la conversazione.
– Così il signor Wickfield – dissi io finalmente – che vale cinquecento volte più di voi... o di me; – non avrei potuto fare a meno, ad ogni costo, dal dividere quella parte della frase con un gesto indignato – s’è mostrato imprudente, signor Heep?
– Oh, veramente imprudentissimo, signorino Copperfield – rispose Uriah, sospirando. – Oh, molto, molto imprudente! Ma vorrei che mi chiamaste Uriah, di grazia, come una volta.
– Bene, Uriah! – dissi, pronunciando la parola con qualche difficoltà.
– Grazie – egli rispose, con fervore. – Grazie, signorino Copperfield! E come il soffio d’una antica brezza o il suono delle campane d’una volta sentirvi dir Uriah. Scusatemi. Dicevo qualche cosa?
– Del signor Wickfield – suggerii.
– Ah, sì, veramente! – disse Uriah. – Una grande impru-673
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denza, sì, signor Copperfield. È un soggetto del quale, tranne ché a voi, non farei cenno ad anima viva. E anche a voi, non posso che accennarlo, e niente altro. Se qualche altro fosse stato al mio posto in queste ultime settimane, a quest’ora avrebbe avuto il signor Wickfield (pure che brava persona ch’egli è!) sotto il dito pollice...
sot... to... il... di… to pol... lice – disse Uriah, scandendo le sillabe, stendendo la mano crudele sulla tavola, e pre-mendovi il pollice, da farla tremare, e far tremare la stanza.
Se fossi stato costretto a vederlo col tallone puntato sulla testa del signor Wickfield, difficilmente l’avrei potuto odiare di più.
– Oh, sì, signorino Copperfield – continuò con una voce melliflua in assoluto contrasto con l’atto del pollice, la cui dura pressione non si allentava minimamente – non c’è dubbio di sorta! Sarebbe stata la sua rovina, il suo disonore, non so che altro. Il signor Wickfield lo sa. Io son l’umile strumento destinato a servirlo modestamente, ed egli mi solleva a un’altezza che appena avrei potuto mai sperare di raggiungere. Quanta gratitudine debbo avergli! – Col viso rivolto a me, mentre finiva, ma senza guardarmi, sollevò il pollice adunco dal punto dove l’aveva piantato, e lentamente e pensosamente si grattò la guancia scarna, come se si stesse radendo.
Ricordo di quanta indignazione mi ribolliva il sangue, mentre vedevo nel suo viso scaltro, opportunamente il-674
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luminato dalla luce rossa del fuoco, l’annuncio di nuove rivelazioni.
– Signorino Copperfield – egli cominciò – forse vi faccio far tardi?
– Voi non mi fate far tardi. Io vado a letto sempre molto tardi.
– Grazie, signorino Copperfield. Mi son sollevato dalla mia modesta condizione da quando voi mi conosceste la prima volta, è vero; ma sono modesto ancora. Spero d’esser sempre modesto. Non penserete male di me, se vi faccio qualche piccola confidenza, signor Copperfield, non è vero?
– Oh, no! – dissi, con uno sforzo.
– Grazie! – Si tolse il fazzoletto di tasca, e cominciò ad asciugarsi le palme delle mani. – La signorina Agnese, signorino Copperfield...
– Bene, Uriah?
– Oh, come mi piace esser chiamato Uriah, spontanea-mente! – egli esclamò; e diede un balzo, come un pesce in convulsione. – Ve parsa molto bella stasera, signorino Copperfield?
– M’è parsa come sempre: superiore, sotto tutti gli aspetti, a quanti le erano intorno – risposi.
– Oh, grazie! Proprio così! – esclamò. – Ve ne ringrazio tanto.
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– Perché? – dissi, altero; – Non veggo ragione alcuna perché dobbiate ringraziarmi.
– Perché in questo, signorino Copperfield – disse Uriah