Non mi dispiacque poi tanto l’aver perduto Agnese, perché ebbi l’occasione, sulla scalinata, di farmi ricono-662
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scere da Traddles, che mi salutò con gran fervore, mentre Uriah si contorceva con una modestia e una soddisfazione così importune, che lo avrei fatto saltare oltre la ringhiera.
Traddles e io a tavola fummo separati, perché i nostri due biglietti erano stati messi in due angoli opposti: lui nel fuoco d’una signora in velluto rosso; io nelle tenebre della zia d’Amleto. Il desinare fu lunghissimo; e la conversazione volse intorno all’Aristocrazia – e al Sangue.
La signora Waterbrook ci disse più volte, che se essa aveva un debole, era appunto per il Sangue.
Pensai parecchie volte che saremmo stati meglio, se non fossimo stati così per bene. Eravamo così straordinariamente per bene che il nostro campo era molto limitato. V’erano fra gl’invitati un signore e una signora Gulpidge che avevano qualche relazione (almeno il signor Gulpidge) di seconda mano con gli affari legali della Banca d’Inghilterra; e chi con la Banca d’Inghilterra e chi col Tesoro, eravamo più esclusivi del giornale di Corte. Per aggiunger grazia alla cosa, la zia di Amleto aveva il difetto della famiglia: di abbandonarsi a dei soliloqui, e andava innanzi, sola, a intervalli, su tutti i soggetti della conversazione, che non erano molti, veramente, e s’aggiravano sempre sul Sangue, di modo che, come suo nipote, ella aveva innanzi a sé un vastissimo campo di speculazione astratta.
Si sarebbe detto che fossimo a un pranzo d’orchi, 663
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così sanguinario era il tono della conversazione.
– Confesso che sono dell’opinione della signora Waterbrook – disse il signor Waterbrook, col bicchiere al-l’altezza dell’occhio. – Ci sono altre cose che hanno pure il loro pregio, ma non dite male del Sangue!
– Oh, non v’è nulla – osservò la zia d’Amleto – non v’è nulla che dia tanta soddisfazione! Non v’è nulla che sia tanto il beau-ideal di... di tutte quelle specie di cose, generalmente parlando. Vi sono alcune menti volgari (non molte, voglio credere, ma ve ne sono) che preferi-rebbero di fare ciò che io direi prosternarsi innanzi a degli idoli. Positivamente idoli. Innanzi ai meriti, alla intelligenza, e così via. Ma queste sono idee astratte. Il Sangue invece, no. Noi vediamo il Sangue in un naso, e lo riconosciamo. Lo incontriamo in un mento, e diciamo: «Eccolo, questo è il Sangue». È positivo, è materia di fatto. Si tocca col dito. Non c’è dubbio di sorta.
Il signore che sorrideva sempre e che s’era preso Agnese, mi parve che affrontasse la questione con maggiore penetrazione.
– Oh, perbacco, sapete – disse quel signore, guardando intorno alla tavola con un sorriso di idiota – non si può rinunciare al Sangue, no! Il Sangue si deve avere, si deve. Alcuni giovani, possono mostrarsi un po’ al di sotto della loro condizione, forse, in fatto d’educazione e di condotta, e condursi un po’ male, si sa, e trovarsi essi e 664
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gli altri in un gran numero di difficoltà, eccetera, eccetera; ma è sempre un piacere, perbacco, considerare che hanno nelle loro vene il Sangue. Quanto a me preferirei sempre d’essere atterrato da uno che avesse in sé il Sangue, che non da uno che non ne avesse.
Questo sentimento, che concentrava la questione generale in un guscio di noce, fu accolto con unanime soddisfazione, e segnalò grandemente l’oratore, finché le signore si ritirarono. Notai allora che il signor Gulpidge e il signor Henry Spiker, mantenutisi fino a quel momento a distanza, avevano formato una lega difensiva contro di noi, che rappresentavamo il loro comune nemico, e si scambiarono un dialogo misterioso attraverso la tavola, per la nostra completa disfatta.
– Quell’affare della prima obbligazione di quattromila e cinquecento sterline non ha il corso che si sarebbe aspettato, Spiker – disse il signor Gulpidge.
– Volete dir del D. di A.? – disse il signor Spiker.
– Del C. di B. – disse il signor Gulpidge. Il signor Spiker levò le sopracciglia, e parve molto sorpreso.
– Quando la cosa fu riferita a lord... è inutile dire il nome – disse il signor Gulpidge, frenandosi.
– Comprendo – disse il signor Spiker – N. Il signor Gulpidge fece un cenno oscuro:
– Fu riferita a lui. Rispose: senza denaro, niente libera-665
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zione.
– Bontà del Cielo! – esclamò il signor Spiker.
– Senza denaro, niente liberazione – ripeté con fermezza il signor Gulpidge. – L’erede diretto... voi mi capite.
– K. – disse il signor Spiker, con uno sguardo sinistro.
– K. allora positivamente rifiutò di firmare. Fu seguito fino a Newmarket con quello scopo, e di punto in bianco rifiutò di farlo.
Il signor Spiker era così attento, che sembrava impietra-to.
– Così la faccenda per il momento è a questo punto –
disse il signor Gulpidge, gettandosi indietro nella sedia.
– Il nostro amico Waterbrook mi scuserà se, per l’importanza degli interessi che vi son coinvolti, evito di spiegarmi più chiaramente.
Il signor Waterbrook mi sembrava più che felice che alla sua tavola si accennasse, anche fugacemente, a interessi così gravi e a nomi così importanti. Egli assunse una espressione di intelligente gravità (benché io sia persuaso che di quella discussione avesse compreso anche meno di me), e approvò solennemente la discrezione che era stata osservata. Il signor Spiker, dopo aver ricevuto l’onore di una simile confidenza, desiderò naturalmente di contraccambiare l’amico con un’altra; perciò il dialogo precedente fu seguito da un secondo, durante il 666
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quale toccò al signor Gulpidge di far le proprie meraviglie; e il secondo da un altro durante il quale toccò di nuovo al signor Spiker di far le sue, e così di seguito, volta per volta. Nel frattempo, noi, i profani, rimanevamo oppressi dai formidabili interessi involti nella conversazione; e il nostro ospite ci guardava con orgoglio, come le vittime di un timore e d’uno stupore salutari.