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Ero più che mai felice quando la compagnia si sciolse, e tutti, compreso il disfatto Fedinerosse, se n’andarono per la loro strada; e noi per la nostra nella calma sera, fra le luci morenti e i dolci profumi che ci spiravano intorno. Il signor Spenlow, un po’ assonnato dopo lo spumante benedetto il suolo che diede l’uva, benedetta l’u-va che diede il vino, il sole che lo maturò, e l’oste che l’adulterò! – s’era addormentato in un angolo della vettura, e io potei cavalcare a fianco di Dora e parlarle. Ella ammirò il cavallo e lo carezzò – oh, che cara manina mi parve sul cavallo! Giacché non riusciva ad accomodarsi lo scialle, di tanto in tanto le davo l’aiuto del mio braccio; e anche mi lusingavo che Jip cominciasse a intendere come stessero le cose, e a capire che finalmente doveva risolversi a far amicizia con me.

E la sagacia della signorina Mills! Quell’amabile, benché logora, reclusa; quella piccola matrona di un po’ meno di vent’anni, che aveva rinunziato alle pompe del mondo, e alla quale non si dovevano affatto ri-destare gli echi dormienti nelle caverne della memoria, che tesoro d’anima che aveva!

– Signor Copperfield – disse la signorina Mills – venite da questo lato... se avete un momento di tempo. Ho bi-861

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sogno di parlarvi.

Ed eccomi sul corsiero grigio, con la mano sullo sportello della vettura, chinato al fianco della signorina Mills.

– Dora verrà a stare con me. Verrà a stare con me posdomani. Se a voi piacesse di venire, son sicura che papà sarebbe felicissimo di conoscervi.

Potevo non invocare una tacita benedizione sulla testa della signorina Mills, e non riporre l’indirizzo della signorina Mills nel cantuccio più sicuro della mia memoria? Potevo non dire alla signorina Mills, con sguardi pieni di gratitudine e con fervide parole, il conto che facevo dei suoi buoni uffici, e il valore inestimabile che attribuivo alla sua amicizia?

Allora la signorina Mills mi congedò benevolmente, dicendomi: «Tornate da Dora!» e io tornai da Dora; e Dora si sporse dallo sportello per parlarmi per tutto il resto della strada: e io cavalcavo sul mio bel corsiero così accosto alla ruota, che questa gli scorticò un ginocchio, e «gli tolse la buccia», come mi disse il suo proprietario, «per un valore di tre sterline e più» che io dovetti pagare, giudicandole una vera miseria per tanta gioia. Nel frattempo, la signorina Mills stava contemplando la luna, recitando versi e ricordando, credo, gli antichi giorni quando lei e la terra avevano qualche cosa in comune.

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Norwood era molte, troppe miglia vicino, e vi giungemmo molte ore troppo presto; ma il signor Spenlow si riscosse un po’ prima, e mi disse «Voi, Copperfield, dovete entrare a riposarvi», e io acconsentii, e ci fu una distribuzione di tartine e di vino e acqua. Nella stanza illuminata, il rossore di Dora mi parve così amabile, che io non riuscivo a staccarmi di lì. Rimasi piantato a contemplarla, come in sogno, finché il russare del signor Spenlow non mi ispirò abbastanza coscienza da congedarmi. Così ci separammo: e io cavalcai verso Londra, sentendo ancora il tocco della mano di Dora sulla mia, ripensando a ogni cenno e a ogni parola di lei, diecimila volte; e così perfettamente incantato e incitrullito al momento di poter finalmente andare a letto, come mai nessun forsennato per amore.

Quando mi svegliai la mattina appresso ero risoluto di dichiarare la mia passione a Dora, e di conoscere il mio destino. Era una questione di felicità o d’infelicità.

E, a quel che sapevo, era l’unica al mondo, e solo Dora poteva trovarle una soluzione. Passai tre giorni in un mare di angoscia, torturandomi, dando ogni possibile varietà d’interpretazione sfavorevole a quanto si era svolto fra Dora e me. Finalmente, abbigliato per il mio proposito con gran dispendio, m’avviai dalla signorina Mills, carico d’una dichiarazione.

Quante volte facessi su e giù la strada, e il giro della piazza – sentendo vivamente che io meglio della luna 863

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ero la parola di risposta al vecchio indovinello – prima di persuadermi a salir i gradini e picchiare, non importa dire. Anche dopo che, finalmente, ebbi picchiato, e attendevo alla porta, mi venne per un istante il pensiero di chiedere se abitasse lì il signor Blackboy (seguendo l’invenzione del povero Barkis), di scusarmi, e d’andarmene. Ma non sloggiai dalla posizione.

Il signor Mills era uscito di casa. Non m’aspettavo che ci fosse. Nessuno aveva bisogno di lui. Ma c’era a casa la signorina. Benissimo! Era quello che ci voleva.

Fui guidato in una stanza al di sopra, dov’erano la signorina Mills e Dora. C’era anche Jip. La signorina Mills era occupata a copiare un pezzo di musica (uno nuovo, ricordo, intitolato l’Elegia dell’affetto) e Dora dipingeva dei fiori. Qual non fu il mio sentimento vedendo che erano i miei fiori, l’identico mio acquisto del mercato di Covent Garden? Non posso dire che fossero molto rassomiglianti, o che avessero particolarmente l’apparenza di fiori che io avessi mai osservati; ma riconobbi dalla carta che li avvolgeva, accuratamente rico-piata, la natura della composizione.

La signorina Mills fu lietissima di vedermi, e dolen-tissima che suo padre non fosse in casa: circostanza questa che, a quanto vidi, sopportammo tutti con gran coraggio. La signorina Mills alimentò la conversazione per alcuni minuti, e poi, lasciando cadere la penna sull’Elegia dell’affetto, fu vista levarsi e lasciare la stanza.

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Cominciai a pensare di rimandare la dichiarazione a un altro giorno.

– M’auguro che il vostro cavallo non fosse stanco quando arrivò a casa la sera – disse Dora levandomi in viso i suoi begli occhi. – Per lui fu un lungo viaggio.

Cominciai a pensare di fare la dichiarazione in quel giorno.

– Per lui fu un lungo viaggio – io dissi – perché non aveva nulla con che sostenersi.

– Non gli era stato dato da mangiare, poverino? – chiese Dora.

Cominciai a pensare di rimandarla a un altro giorno.

– S... sì – dissi – gli fu dato da mangiare. Intendevo che esso non godé come me l’ineffabile felicità che ebbi io con l’esservi vicino.

Dora chinò la testa sul disegno, e disse, dopo un istante

– m’ero sentito nell’intervallo ardere di febbre, e con le gambe addirittura irrigidite:

– Neppur voi sembraste godere di quella felicità quel giorno, in un certo momento.

Vedevo ora che io ero sul punto di farla, e dovevo farla all’istante.

– Voi non vi curaste minimamente di quella felicità –

disse Dora, sollevando sdegnosamente le ciglia e sco-865

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