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Charles Dickens David Copperfield

Il suo onesto viso appariva radioso di fedeltà e di generosità. Ogni parola aveva una forza derivata unicamente dall’altezza di quei suoi sentimenti.

– La mia vita con mia moglie è stata molto felice. Fino a stasera, ho avuto molte occasioni di benedire il giorno in cui involontariamente le feci torto.

La sua voce, che balbettava sempre più pronunziando queste parole, tacque per un istante; poi continuò:

– Una volta svegliato dal mio sogno... in un modo o nell’altro, ho sempre sognato in vita mia... comprendo che è naturale che ella abbia qualche sentimento di rimpianto per l’antico compagno d’infanzia. Sarà purtroppo vero che ella lo consideri con un innocente rimpianto, e pensi a ciò che sarebbe potuto essere, se non mi fossi trovato io sulla sua via. Molto che ho veduto, ma non ho notato, m’è apparso con un nuovo significato in quest’ultima ora di supplizio. Ma oltre questo, signori, il nome della cara donna non dev’essere sfiorato da una parola, da un soffio di dubbio.

Per un po’ il suo occhio s’accese e la sua voce fu ferma; per un po’, egli tacque di nuovo; poi subito riprese:

– Non ho altro da fare che sopportare, con la massima sottomissione, la conoscenza dell’infelicità di cui sono stato l’origine. È lei che dovrebbe rimproverare me, non io lei. È mio dovere ora di proteggerla dal sospetto, dal crudele sospetto, che neppure i miei amici 1102

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hanno potuto evitare. Più noi vivremo in solitudine, e più questo compito mi sarà facile. E quando verrà il tempo – e venga presto, per grazia del Signore misericordioso! – che la mia morte la libererà dal giogo, io chiuderò gli occhi, dopo aver contemplato il suo volto onesto, con illimitata fiducia e illimitato amore; e la lascerò, senza tristezza allora, perché viva giorni più felici e radiosi.

Le lagrime m’impedivano di vederlo; tanta bontà, semplicità e forza m’avevan commosso fin nel profondo.

Egli s’era avviato alla porta, quando aggiunse:

– Signori, vi ho mostrato il cuor mio. Son certo che lo rispetterete. Ciò che ho detto stasera non dev’essere ripetuto. Wickfield, mio vecchio amico, aiutatemi ad andar su.

Il signor Wickfield accorse subito. Senza scambiarsi una parola, uscirono insieme, seguiti dallo sguardo di Uriah.

– Bene, signorino Copperfield! – disse Uriah, volgendosi benignamente verso di me. – La cosa non ha preso la piega che avevo sperato; perché questo vecchio sapiente

– che eccellente uomo! – è cieco come un pipistrello; ma non importa, ecco una famiglia messa a posto.

Non occorreva che il suono della sua voce per farmi montare in una collera della quale non ho mai conosciuta l’eguale, né prima, né dopo.

– Mascalzone – dissi, – che ti proponi col mischiarmi ai 1103

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tuoi perfidi intrighi? Come hai osato di chiamarmi a testimone, scellerato, come se avessimo parlato insieme della cosa?

Eravamo l’uno di fronte all’altro. Gli leggevo chiaramente in viso il suo trionfo segreto; io capivo benissimo che egli m’aveva costretto ad ascoltare le sue confidenze unicamente per trafiggermi, e che m’aveva a bella posta attirato in un trabocchetto. Era troppo. La sua guancia scarna mi stava innanzi come un invito, e gli diedi uno schiaffo con tanta forza che la mano mi rimase indolenzita.

Egli mi afferrò la mano, e rimanemmo a lungo così stretti, a guardarci in silenzio; tanto che potei vedere i segni bianchi delle mie dita sparirgli sul viso in un rosso acceso, che in un attimo diventò più acceso.

– Copperfield – egli disse finalmente, con una voce soffocata – diventate matto?

– Lasciami – dissi, strappando la mia mano dalla sua –

lasciami, briccone, non ti conosco più.

– Non mi conoscete? – disse, costretto dal dolore alla guancia a portarvi la mano. – Avrete un bel fare, mi conoscerete sempre. Non è una ingratitudine la vostra?

– Io ti ho dimostrato spesso – gli dissi – che ti disprezzo. Te l’ho dimostrato ora più chiaramente che mai. Perché temere che tu faresti peggio di ciò che hai fatto finora? Che altro potrai fare?

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Egli comprese perfettamente questa allusione ai motivi che fino allora m’avevano costretto a una certa mo-derazione nei miei rapporti con lui. Credo che non mi sarei lasciato sfuggire né lo schiaffo, né l’allusione, se Agnese quella sera non mi avesse assicurato del suo fermo proposito di non esser mai sua. Ma poco importa.

Vi fu un’altra lunga pausa. Mentr’egli mi guardava, mi sembrava che i suoi occhi assumessero man mano tutte le sfumature di colore che potevano farli più tristi.

– Copperfield – disse, togliendosi la mano dalla guancia – voi mi siete stato sempre contrario.

– Tu pensa ciò che ti pare e piace – gli dissi con collera. – Benché non sia vero, era quello che meritavi.

– E pure v’ho voluto sempre bene, Copperfield.

Non mi degnai di rispondergli; e presi il cappello per andarmene, quand’egli si piantò fra me e la porta.

– Copperfield . – egli disse – per litigare bisogna essere in due. Io non voglio litigare.

– Puoi andare al diavolo! – dissi.

– Non dite così! – egli rispose. – So che dopo ve ne pentirete. Come potete farvi così inferiore a me, da mostrarvi in tale condizione di spirito? Ma io vi perdono.

– Il tuo perdono! – risposi sdegnosamente.

– Sì, io vi perdono, e non potete proibirmelo – rispose 1105

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Uriah. – Chi direbbe che siete stato capace di percuoter-mi, quando vi sono stato sempre amico? Ma per litigare bisogna essere in due, e io non voglio litigare. Io continuerò ad esservi amico, a vostro dispetto. Così ora sapete ciò che potrete aspettarvi da me.

La necessità di disputare a bassa voce (la sua parte era lenta, la mia vivace) per non turbare la casa a quell’ora, non mi rendeva migliore, benché la mia ira andasse sbollendo. Dicendogli semplicemente che m’aspettavo da lui ciò che sempre m’ero aspettato, senza aver sperimentato la minima delusione, spalancai la porta su di lui, come fosse stato una grossa noce messa li per essere schiacciata, e uscii. Ma anche lui doveva uscire per andare a coricarsi in casa di sua madre; e prima che avessi fatto un centinaio di passi, me lo sentii alle costole.

– Voi sapete, Copperfield – mi disse in un orecchio (io non voltai la testa) – che vi mettete dalla parte del torto (io avvertivo che era così, e me ne sentivo maggiormente irritato) – voi non credete che la vostra sia stata una bell’azione, e non potete proibirmi di perdonarvi. Non ho intenzione di dir nulla a mia madre, o ad anima viva. Son risoluto di perdonarvi. Ma mi domando come abbiate avuto il coraggio di levar la mano contro una persona che voi conoscete così umile!

Mi sentivo appena meno vile di lui. Egli mi conosceva meglio di quanto mi conoscessi io stesso. Se avesse ritorto le mie ingiurie o mi avesse apertamente irritato, 1106

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n’avrei avuto un sollievo e una giustificazione; ma mi aveva messo a cuocere a fuoco lento, e ne fui tormentato tutta la notte.

La mattina, uscendo al primo tocco della campana mattutina, lo vidi camminare su e giù con la madre. Egli mi salutò come se nulla fosse accaduto, e non potei fare a meno di rispondere. Lo avevo percosso abbastanza forte da dargli il mal di denti, credo. A ogni modo aveva la faccia legata in un fazzoletto di seta nera, che, sotto il cappello che lo copriva, non contribuiva ad abbellirlo.

Seppi poi che il lunedì mattina era andato a Londra da un dentista a farsi cavare un dente. Avrei voluto che fosse stato un molare.

Il dottore ci fece dire che non stava bene; e se ne rimase appartato quasi sempre in tutto il periodo della visita della famiglia Wickfield. Prima che riprendessimo il nostro lavoro, Agnese e suo padre erano già via da una settimana. Il giorno prima il dottore mi aveva personalmente consegnato una letterina aperta, a me diretta, nella quale mi raccomandava, con poche affettuose parole, di non fare allusioni al colloquio di quella sera. Io l’avevo riferito a mia zia, ma a nessun altro. Non era cosa di cui potessi parlare ad Agnese, e Agnese non aveva il minimo sospetto di ciò che era accaduto.

E non l’ebbe allora, n’ero sicuro, neppure la signora Strong. Passarono parecchie settimane prima che io no-tassi in lei il minimo mutamento, che apparve lentamen-1107

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