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– Caro Trot – disse mia zia, come vide che mi accingevo a prepararle la sua solita bevanda serale. – No!

– Non volete nulla, zia?

– Non col vino, caro. Con la birra.

– Ma il vino ce l’ho, zia. E voi usate sempre il vino.

– Serbalo in caso di malattia – disse mia zia. – Non bisogna farne spreco, Trot. Dammi la birra. Una mezza bottiglia.

Mi parve che il signor Dick stesse lì lì per svenire. Mia zia fu irremovibile, ed io uscii per andare a comprare la birra. Siccome era tardi, Peggotty e il signor Dick colsero quell’occasione per fare insieme la via verso la bottega del droghiere. Io mi separai da lui, poveretto, alla cantonata, e lo vidi allontanarsi con l’aquilone sulle 889

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spalle, che pareva l’immagine della miseria umana.

Quando rientrai, mia zia passeggiava su e giù per la stanza, arricciando con le dita gli orli della sua cuffia da notte. Feci scaldare la birra e feci i crostini secondo le solite infallibili norme. Quando tutto fu pronto, era pronta anche lei, con la cuffia in testa, e il lembo della veste rimboccato sulle ginocchia.

– Caro mio – disse mia zia, dopo aver assaggiato un cucchiaio del liquido; – è molto migliore del vino, e molto meno biliosa.

Immaginò che io non ne fossi persuaso, perché aggiunse:

– Zitto, zitto, figlio mio. Se non ci accadesse nulla di peggio che dover bere la birra, potremmo esser soddisfatti.

– Certo, anch’io direi così, zia.

– E allora perché non lo pensi? – disse mia zia.

– Perché voi e io siamo diversi – risposi.

– Sei uno sciocco, Trot! – rispose mia zia. Mia zia continuò con un piacere calmo, nel quale non c’era molta affettazione, se pure ve n’era, a bere col cucchiaio, e a in-zuppare i crostini.

– Trot – ella disse – in generale non mi piacciono le facce nuove, ma la tua Barkis non mi dispiace, sai?

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– Ho più piacere di sentirvi dir così, che d’avere un centinaio di sterline! – dissi.

– È un mondo veramente straordinario – osservò mia zia, stropicciandosi il naso. – Non arrivo a spiegarmi dove quella donna sia andata a cercarsi quel nome. Credo che sarebbe molto più facile nascere una Jackson, o qualche cosa di simile.

– Forse anche lei è del vostro parere, zia; ma non è colpa sua – dissi.

– Credo di no – rispose mia zia, ammettendolo molto mal volentieri; – ma è un grave difetto. Però, adesso è Barkis, ed è una consolazione. Barkis ti vuol molto bene, Trot.

– Non v’è nulla ch’ella non farebbe per dimostrarmelo –

dissi.

– È vero, lo credo – rispose mia zia. – Non sai che quella povera sciocca m’ha pregato e scongiurato d’accettare un po’ del suo denaro, perché dice che ne ha troppo...

Stupida!

Mia zia piangeva lagrime di consolazione, e quasi le gocciolavano nella birra calda.

– È la più ridicola creatura che io mi sia mai incontrata

– disse mia zia. – M’accorsi subito, nel primo istante che la vidi con quella cara piccina di tua madre, che era la persona più ridicola del mondo. Ma Barkis ha delle 891

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buone qualità.

Facendo le viste di ridere, colse il destro per portarsi le mani agli occhi, e per asciugarseli. Poi riprese una fetta di crostino e il discorso.

– Ah, Dio ci perdoni! – sospirò mia zia. – So tutto ciò che è accaduto, Trot. Barkis e io ne abbiamo parlato a lungo, mentre tu eri fuori con Dick. So tutto. E non arrivo a indovinare che diamine s’annidi nella testa di quelle sciagurate ragazze. Mi domando perché mai non vadano a rompersela contro... contro la cappa del camino –

disse mia zia, esprimendo un’idea ispiratale certamente dalla contemplazione del mio caminetto.

– Povera Emilia! – esclamai.

– Oh, non la compiangere! – rispose mia zia. – Avrebbe dovuto pensarci, prima d’esser la causa di tanti dolori.

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