Dammi un bacio, Trot. Mi duole tanto che tu debba fare una triste esperienza della vita.
Mi sporsi verso di lei, ed ella mi mise il bicchiere su un ginocchio, per trattenermi, dicendo:
– Oh, Trot, Trot! E così, tu ti figuri d’essere innamorato, non è vero?
– Come, zia, mi figuro! – esclamai, arrossendo. – Io l’adoro con tutta l’anima.
– Dora? Veramente! – rispose mia zia. – E tu vuoi dire che la piccina è affascinante, immagino?
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– Mia cara zia – risposi – nessuno può farsi un’idea di ciò ch’ella sia.
– Ah! E non è una sciocca? – disse mia zia.
– Sciocca, zia!
Io seriamente credo che non mi fosse mai passato per la testa di domandarmi un solo istante se ella lo fosse o no.
Quella supposizione, certo, mi fece male; ma ne fui sorpreso come da un’idea assolutamente nuova.
– Non è una sventatella? – disse mia zia.
– Sventatella, zia! – potei solo fare eco a quella domanda con lo stesso sentimento col quale avevo ripetuto la precedente.
– Bene, bene! – disse mia zia. – Domando soltanto. Non intendo di fare torto. Povera coppietta! E così voi credete d’esser nati l’un per l’altro, e di dover condurre una vita inzuccherata, come due chicche su una torta, non è vero, Trot?
Mi interrogava con tanta gentilezza, con un’aria così scherzosa e insieme melanconica, che io ne fui veramente commosso.
– Noi siamo giovani e inesperti, lo so, zia – risposi – e forse diciamo e pensiamo cose che non sempre son sen-sate; ma è certo che ci vogliamo molto bene. Se pensassi che Dora potesse mai voler bene a qualcun altro, o cessare di volermene; o che io potessi mai voler bene a 893
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qualche altra o cessare di volergliene; non so che farei...
diventerei pazzo, credo.
– Ah, Trot! – disse mia zia, scotendo il capo e sorridendo gravemente. – Cieco, cieco, cieco! C’è qualcuno che io conosco, Trot – continuò mia zia, dopo una pausa –
che, nonostante la dolcezza del suo carattere, possiede una vivacità d’affetto che mi rammenta la sua povera madre. Quel qualcuno deve cercare una persona seria che lo possa sostenere e aiutare, Trot: un carattere saldo, sincero, costante.
– Se voi conosceste la serietà di Dora, zia! – esclamai.
– Oh, Trot! – essa disse di nuovo. – Cieco, cieco! – E
senza saper perché, mi parve vagamente di avvertire una grave perdita, la perdita di qualche cosa che si celasse dietro una nuvola.
– Però – disse mia zia – io non voglio scoraggiare due creature o renderle infelici: così, benché sia una passione di ragazzi... e le passioni dei ragazzi spessissimo...
non dico sempre, bada!... si risolvano in nulla, noi la tratteremo con serietà, sperandone un esito prospero per un giorno avvenire. Abbiamo abbastanza tempo per arrivare a qualche cosa di concreto.
Questo, in sostanza, non era molto consolante per un ardente innamorato quale io m’ero; ma, lieto che mia zia non ignorasse la mia affezione, pensai che ella dovesse essere stanca. Così la ringraziai vivamente per quella 894
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sua dimostrazione d’affetto, e per tutte le altre sue gentili parole, e dopo ch’io le ebbi dato teneramente la buona sera, ella trasportò nel mio letto la sua cuffia da notte.
Come mi sentii infelice, quando mi sdraiai anch’io nel salottino! Non feci altro che pensare e ripensare alla mia povertà di fronte al signor Spenlow; alle mie condizioni diventate assai diverse da quando avevo fatto la mia dichiarazione a Dora; alla cavalleresca necessità di rivelarle il mio stato domestico e finanziario, e di scioglier Dora dalla sua promessa, se ella lo desiderasse; al modo di tirare innanzi, fino al termine del mio impegno col signor Spenlow, durante il qual tempo non avrei guadagnato nulla; alla necessità di far qualcosa per aiutare mia zia, e all’impossibilità di far nulla; al fatto che non avrei avuto più denaro in tasca, e avrei portato un vestito frusto, e non avrei potuto fare a Dora qualche re-galino, e non avrei più cavalcato bei corsieri grigi, e non più avuto un aspetto elegante. Era viltà ed egoismo, e mi torturavo a dirmelo, pensare tanto alla mia miseria; ma sentivo tanta devozione per Dora che non potevo non farlo. Sapevo che commettevo una bassezza pensando più a me che a mia zia; ma il fatto sta che l’egoismo era inseparabile da Dora, e non potevo metter Dora da parte per nessun’altra creatura mortale. Come fui straordinariamente infelice quella notte!
Quanto al sonno, feci dei sogni di povertà e di miseria in tutte le forme, e mi parve di sognare senza aver prima 895
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compiuto la formalità di addormentarmi. Ora, vestito di cenci, volevo che Dora andasse vendendo i fiammiferi a sei mazzetti per un soldo; ora mi trovavo nello studio, con le scarpe e la sola camicia da notte, mentre il signor Spenlow mi rimproverava aspramente per essermi presentato innanzi ai clienti in quell’aerea acconciatura; ora, affamato, raccoglievo le briciole che cascavano dalla ciambella quotidiana del signor. Tiffey, che ne mangiava regolarmente una allo scoccar del tocco all’orologio di San Paolo; ora lottavo disperatamente per aver la licenza ufficiale di sposar Dora, non possedendo altro da dare in compenso che un vecchio guanto di Uriah Heep, che la Corte del Doctor’s Commons rifiutava sdegnosamente; finalmente, più o meno consapevole del luogo ove mi trovavo, ballonzolavo continuamente come una nave in pericolo in un oceano di lenzuola e di coltri.
Neppure mia zia dormiva, perché la sentii spesso camminare su e giù per la stanza. Due o tre volte durante la notte, avviluppata in un lungo accappatoio di flanella che la faceva parere d’un’altezza smisurata, apparve nella mia stanza come un’anima sofferente, accanto al canapè che mi faceva da letto. La prima volta balzai su impaurito, per apprendere che da un certo chiarore nel cielo ella temeva s’incendiasse l’Abbazia di Westminster, ed esser consultato sulla probabilità che il fuoco si propagasse a Buckingham Street, nel caso che il vento cambiasse di direzione. Quando riapparve la seconda volta, non mi mossi, ma ella mi si sedé accanto, mormo-896
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