– Certo, Dora prima, spero – disse Agnese, ridendo.
– Ma voi dopo – dissi. – Dove andate? Era diretta a casa mia per fare una visita a mia zia. La giornata era così bella, ed ella fu contenta di scendere dalla vettura, che odorava (avevo cacciato dentro la testa nel frattempo) come una scuderia messa sotto una gran campana di vetro. Rimandai il cocchiere, ed ella infilò il braccio nel mio e ci avviammo insieme. Ella era per me come la speranza impersonata. Come mi sentii diverso, dopo qualche minuto, con Agnese al fianco!
Mia zia le aveva scritto uno dei suoi strani precipitosi biglietti – poco più lunghi d’un biglietto di banca – ai quali di solito si limitavano i suoi sforzi epistolari. Ella le aveva narrato che aveva avuto delle disgrazie, e che lasciava definitivamente Dover, ma che vi s’era rassegnata e stava così bene che era inutile preoccuparsi per lei. Agnese era venuta a Londra a visitare mia zia, con la quale da anni aveva rapporti di mutua simpatia: da quando, cioè, io m’ero stabilito in casa del signor Wickfield. Non era sola, mi disse. Suo padre era con lei... e Uriah Heep.
– E ora essi sono soci – dissi. – Che il Cielo lo maledica.
– Sì – disse Agnese. – Essi hanno da fare qui; e ho ap-905
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profittato della loro venuta per unirmi con loro. E non pensate che la mia gita sia assolutamente amichevole e disinteressata, Trotwood, perché, temo di avere dei pregiudizi in giusti... ma non mi piace di lasciar papà solo con lui.
– Esercita egli sempre la stessa influenza sul signor Wickfield, Agnese?
Agnese scosse il capo.
– Casa mia è cambiata tanto – ella disse – che a malape-na la riconoscereste come l’antica e cara casa nostra.
Essi ora abitano con noi.
– Chi essi? – domandai.
– Il signor Heep e sua madre. Egli dorme nella camera vostra – disse Agnese.
– Vorrei il potere di provvedergli io i sogni – dissi: –
non vi dormirebbe a lungo.
– Ho riserbata per me la mia stanzetta, quella dove solevo studiare – disse Agnese. – Come vola il tempo!
Ricordate? La stanzetta rivestita di legno che s’apre nel salotto?
– Ricordate, Agnese? Quando vi vidi apparire la prima volta alla porta, con quel singolare panierino di chiavi al fianco?
– Precisamente – disse Agnese, sorridendo. – Sono contenta che ve ne ricordiate con tanto piacere. Come era-906
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vamo felici allora!
– Veramente! – dissi.
– Tengo quella stanzetta per me, ma non posso lasciar sempre sola la signora Heep, sapete? E così – disse tranquillamente Agnese – mi vedo costretta a sopportare la sua compagnia, quando potrei preferire d’essere sola.
Ma non ho altra ragione di lagnarmi di lei. Se a volte mi annoia con le continue lodi di suo figlio, penso che è naturale in una madre. È un buon figlio.
Guardai Agnese, mentre mi diceva quelle parole, e non scopersi in lei alcuna consapevolezza dei disegni di Uriah. I suoi miti ma gravi occhi sostennero i miei con la loro bella sincerità, e nel suo viso non scorsi alcun mutamento.
– Il peggior male della loro presenza in casa, – disse Agnese – è che non posso star con papà tutto il tempo che vorrei... Uriah Heep ci è sempre fra i piedi. Io non posso accudirlo, se non è una frase troppo ardita, con quella diligenza che vorrei. Ma se si usa contro di lui qualche frode o qualche tradimento, spero che l’amore sincero e la verità alla fine trionferanno. Credo che l’amore sincero e la verità alla fine trionfino, nel mondo, di qualunque male e di qualunque disgrazia.
Il sorriso luminoso, che non ho mai visto su altri volti, scomparve allora dal suo, mentre pensavo come fosse dolce e come mi fosse stato familiare in passato; ed ella 907
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mi domandò, con un rapido mutamento d’espressione (eravamo già presso alla via di casa), se sapessi le ragioni che avevano determinato il rovescio finanziario di mia zia. Alla mia risposta di no, ch’ella non mi aveva detto ancora nulla, Agnese si fece pensosa, e a me parve di sentirle tremare il braccio nel mio.
Trovammo mia zia sola, alquanto eccitata. Fra lei e la signora Crupp era scoppiato un dissenso per una questione astratta: se fosse decoroso per il sesso gentile abitare nell’appartamentino di uno scapolo; e mia zia, assolutamente indifferente agli scrupoli della signora Crupp, aveva troncato in modo brusco la disputa informandola che ella puzzava della mia acquavite, e pregandola d’uscire immediatamente. La signora Crupp, considerando ingiuriose queste espressioni, aveva formulato il proposito di ricorrere al «Giudizio inglese» – intendendo, senza dubbio, il baluardo delle nostre libertà nazionali.
Però mia zia, mentre Peggotty era uscita per mostrare al signor Dick i soldati della Guardia a cavallo, aveva avuto il tempo di calmarsi, e, gloriandosi più che altro dell’incidente, ci ricevé, assai lieta di rivedere Agnese, di molto buon umore. Dopo che Agnese ebbe deposto il suo cappellino sul tavolo, e si fu seduta accanto a lei, non potei non pensare, guardando i suoi miti occhi e la sua fronte radiosa, che mi sembrava più che naturale averla lì in casa mia; che mia zia, benché la sapesse così giovine e inesperta, confidava sinceramente in lei; che 908
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ella era veramente forte, nel suo sincero amore e nella sua verità.
Ci mettemmo a parlare degli affari di mia zia; e ad entrambe narrai ciò che avevo tentato di fare quella mattina.
– Sei stato poco giudizioso, Trot – disse mia zia – ma la tua intenzione era buona. Sei un bravo ragazzo..., forse ora dovrei dire giovanotto... e sono orgogliosa di te, caro. Non c’è nulla da dire. Ora, Trot e Agnese, guardiamo di fronte la situazione di Betsey Trotwood, e vediamo qual sia.
Osservai che Agnese diventava pallida, nell’atto che fissava attentamente mia zia. Mia zia, che carezzava il gatto, fissava intanto Agnese.