Agnese, dovunque andasse, lasciava un segno gradito della sua tacita presenza. Al ritorno, trovai la gabbia degli uccelli di mia zia sospesa alla finestra, come già nel salotto del villino; e la mia poltrona, messa, come quella molto più bella di mia zia, innanzi alla finestra aperta; e la ventola verde, che mia zia s’era portata appresso piantata con una vite sul davanzale. Sapevo chi aveva fatto tutto, semplicemente perché tutto sembrava si fosse fatto tacitamente da sé; e avrei indovinato subito la mano che mi aveva ordinato nel modo come li or-dinavo io, al tempo che andavo a scuola, i libri allora negletti, anche se avessi creduto Agnese mille miglia lontana, e non l’avessi veduta, sorridendo del disordine in cui erano sparpagliati, affaccendata a riassettarli.
Mia zia mi parlò favorevolmente del Tamigi (infatti, se non era bello come il mare innanzi al villino, in realtà faceva un magnifico effetto sotto la luce del sole), ma non poté mostrarsi dolce verso il fumo di Londra, che, 914
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essa diceva, «metteva del pepe su tutto». Una rivoluzio-ne completa, nella quale Peggotty ebbe la massima parte, fu portata in ogni angolo della mia camera, per snidar quel pepe; ed io, guardandola, pensavo quanto poco sembrava facesse la stessa Peggotty col massimo trambusto, e il molto invece che faceva Agnese senza alcun trambusto, quando alla porta si sentì picchiare.
– Credo – disse Agnese, diventando pallida – che sia papà. M’ha promesso che sarebbe venuto.
Aprii, e vidi entrare non soltanto il signor Wickfield, ma Uriah Heep. Da parecchio non avevo veduto il signor Wickfield, e m’attendevo di trovare un gran mutamento in lui, da quanto mi aveva detto Agnese, ma ebbi dal suo aspetto un’impressione dolorosa.
Non che sembrasse, vestito ancora con la stessa sua nettezza scrupolosa, molto vecchio; non perché avesse in viso un rossore morboso, e avesse gli occhi gonfi e iniettati di sangue, e le mani con un tremito nervoso, la cui causa avevo per parecchi anni seguita. Neppure perché avesse perduto la sua buona grazia, o il suo antico portamento di gentiluomo, che era sempre lo stesso; ma perché c’era in lui, pur coi segni evidenti della sua ingenita superiorità, una manifesta sottomissione a quella strisciante incarnazione della bassezza che era Uriah Heep. Lo spostamento dei due caratteri nelle loro relazioni – Uriah diventato padrone e il signor Wickfield dipendente – fu una vista che mi rattristò tanto che non sa-915
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prei dire. Se avessi veduto una scimmia condurre un uomo al guinzaglio, lo spettacolo non mi sarebbe parso più degradante.
E sembrava ch’egli ne fosse perfettamente a cognizione.
Quand’entrò, se ne stette silenzioso e con la testa bassa, come se lo sentisse. Fu un istante; perché Agnese dolcemente gli disse:
«Papà, ecco la signora Betsey Trotwood... e Trotwood, che non vedi da tanto tempo!» e allora egli s’avvicinò, e stese impacciato la mano a mia zia, e poi strinse con maggiore cordialità la mia. Nel momento di cui parlo, vidi apparire sulla faccia di Uriah un sinistro sorriso.
Anche Agnese lo vide, credo, perché si allontanò da lui.
Ciò che mia zia vedesse o non vedesse, sfido tutta la scienza fisionomica a indovinarlo senza il permesso di lei. Credo che non sia mai esistita un’altra che, a suo piacere, fosse più di mia zia imperturbabile. Il suo volto, muraglia impenetrabile, non fece trasparire alcun pensiero, finché ella non ruppe il silenzio, come sempre le accadeva, improvvisamente.
– Ebbene, Wickfield – disse mia zia, costringendolo a fissarla per la prima volta. – Ho narrato a vostra figlia il bell’uso che ho fatto del mio denaro, perché io non potevo più affidarlo a voi che diventavate rugginoso in fatto di affari. Ci siamo consigliati un poco insieme, e tutto considerato, s’è conchiuso abbastanza. Secondo me, Agnese vale più di tutta la vostra ditta.
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– Sé m’è permesso di fare una modesta osservazione –
disse Uriah Heep, con una contorsione – convengo pienamente con la signora Betsey Trotwood, e sarei felicissimo di avere anche Agnese per socia.
– Contentatevi d’esser socio voi – rispose mia zia. – Vi deve bastare, credo. Come state, signore?
In risposta a questa domanda, formulata in tono assai brusco, il signor Heep, stringendo con aria impacciata la borsa azzurra che aveva con sé, disse che stava benissimo, ringraziava mia zia, e sperava lo stesso di lei.
– E voi, signorino... dovrei dire signor Copperfield –
continuò Uriah, – spero che stiate molto bene. Son lieto di rivedervi, signor Copperfield, anche nelle circostanze attuali. – Lo credevo bene; perché mi pareva ch’egli ne avesse un gran piacere. – Le circostanze attuali non sono ciò che gli amici vi augurano, signor Copperfield, ma il denaro non fa l’uomo: lo fa in vece... veramente non sono in grado con le mie modeste facoltà di esprimere ciò che lo fa – disse Uriah con un tratto servile –
ma certo non è il danaro.
Così dicendo mi strinse la mano; non al modo di tutti, ma mantenendosi a una certa distanza da me, e solle-vandomi la mano su e giù, come il manico d’una pompa, della quale avesse una certa paura.
– E come vi sembra che noi stiamo, signorino Copperfield... dovrei dire signore – continuò Uriah con adula-917
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zione. – Non trovate il signor Wickfield d’aspetto assai florido, signore? Gli anni non contano molto nella nostra società, signorino Copperfield, tranne nel sollevare gli umili, cioè la mamma e me... e nello sviluppare... –
aggiunse con una riflessione tardiva – le belle, cioè la signorina Agnese.
Egli si contorse, dopo aver espresso questo complimento, in modo così insopportabile, che mia zia, che lo guardava fisso, perse ogni pazienza.
– Che il diavolo vi porti – disse mia zia, brutalmente: –
che avete? Vi ha morso la tarantola, signore!
– Vi chiedo scusa, signora Trotwood – rispose Uriah: –
so che voi siete piuttosto nervosa.
– Non dite sciocchezze, signore! – disse mia zia tutt’altro che placata. – Vi prego di star zitto. Sognate dicendo che io sono nervosa! Se siete un’anguilla, signore, fate l’anguilla; ma se siete un uomo, state un momento fermo. E per l’amor del Cielo – disse mia zia con grande indignazione – non mi fate più girar la testa col contor-cervi continuamente come un serpente o come un cavaturaccioli!
Il signor Heep fu, come sarebbe stato altri al suo posto, piuttosto umiliato da questo scatto, il quale attinse una nuova forza dall’aria d’indignazione con la quale mia zia dopo si trasse indietro con la sedia, scotendo il capo, come se volesse saltargli addosso. Ma egli mi disse a 918