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Charles Dickens David Copperfield

– Tu sei istruito, Trotwood – disse il signor Dick. – Tu sei molto istruito. E sai che uomo dotto, che grand’uo-mo è il dottore. Sai l’onore ch’egli m’ha sempre fatto.

La sua scienza non l’ha fatto superbo. Egli è umile, umile... modesto anche col povero Dick, che è sciocco, e non sa nulla. Io ho fatto salire il suo nome, su un pezzo di carta lungo la corda dell’aquilone, ed è arrivato in cielo fra le allodole. L’aquilone è stato lieto di riceverlo, ed il cielo ne è stato più lucente.

Lo feci estasiare, dicendogli, con la maggiore cordialità, che il dottore meritava il più gran rispetto e la più alta stima.

– E la sua bella moglie è una stella – disse il signor Dick

– una fulgida stella. Io l’ho veduta in tutto il suo splendore, Trot. Ma – e in quell’atto avvicinò la sua sedia alla mia, e mi mise una mano sulle ginocchia – vi sono delle nuvole, Trot... vi sono delle nuvole.

Risposi alla sollecitudine espressa dal suo viso dando la stessa espressione al mio, e scotendo il capo.

– Quali nuvole? – disse il signor Dick.

Mi guardava con aria così inquieta, e mi pareva così desideroso di comprendere di che nuvole si trattasse, che mi sforzai di rispondergli pianamente e chiaramente, come cercando di spiegare qualche cosa a un bambino.

– Ve fra loro qualche disgraziata ragione di divisione –

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risposi. – Qualche infelice motivo di separazione. È un segreto. Può essere una conseguenza inevitabile della differenza della loro età. Può anche derivare da qualche inezia.

Il signor Dick, che seguiva ciascuna frase con un cenno pensoso, s’arrestò quand’ebbi finitole rimase meditabondo con gli occhi fissi su di me e una mano sulle mie ginocchia.

– Il dottore non è in collera con lei, Trotwood? – egli disse dopo qualche minuto.

– No. Le è teneramente devoto.

– Allora, ho compreso, figlio mio – disse il signor Dick. .

L’aria di esultanza con la quale egli mi batté le ginocchia e s’appoggiò alla spalliera della sedia, con le ciglia levate più alte che gli fu possibile, me lo fece giudicare più matto che mai. A un tratto si fece di nuovo grave, e sporgendosi innanzi come prima, disse – avendo cura prima di cavar di tasca il fazzoletto, come se veramente rappresentasse mia zia:

– La donna più meravigliosa del mondo, Trotwood. Perché essa non ha fatto nulla per mettere le cose a posto?

– È un argomento troppo difficile e delicata per potervi-si mischiare – risposi.

– E tu che sei tanto istruito – disse il signor Dick, toc-1165

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candomi con l’indice – perché non hai fatto nulla?

– Per la stessa ragione – risposi.

– Allora ho compreso, figlio mio! – disse il signor Dick.

E si eresse innanzi a me più esultante di prima, scotendo il capo, e battendosi ripetutamente il petto, tanto da far credere che si stesse cacciando tutto il fiato di corpo.

– Un povero scervellato, Trot – disse il signor Dick –

un grullo, uno sciocco... parlo di me, sai! – e si batteva di nuovo – può far ciò che i savi non possono. Io li ri-concilierò, figlio mio. Mi proverò. E non potranno biasi-marmi, non mi diranno indiscreto. Io non sono che Dick. Chi si cura di Dick? Dick non è nessuno. Fffu! –

E fece una soffiatina in proprio dispregio, come per dileguarsi con essa.

Fortuna che si fosse spinto tanto col suo mistero, perché sentimmo la vettura, che riportava a casa mia zia e Dora, fermarsi al cancello del giardino.

– Non una parola, mi raccomando – egli proseguì sottovoce; – lascia che tutta la responsabilità ricada su Dick...

su Dick lo sciocco... su Dick il matto. È da qualche tempo, Trot, che ci pensavo, e ora ci sono. Dopo ciò che m’hai detto, son certo d’esserci. Benissimo.

Il signor Dick non fiatò più su quell’argomento; ma per una mezz’ora continuò a telegrafarmi, facendo gravemente impensierire mia zia, di mantenere il più profondo segreto.

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Per due o tre settimane, con mia gran sorpresa, non ne seppi più nulla, benché fossi abbastanza interessato nell’esito dei suoi sforzi, perché scorgevo uno strano barlume di buon senso – non dico di generoso sentimento, che non gli aveva fatto mai difetto – nella conclusione alla quale egli era arrivato. Finalmente cominciai a pensare, che per la volubilità e l’infermità del suo spirito, avesse o dimenticato o lasciato cadere il progetto che gli stava a cuore.

Una bella sera che Dora non si sentiva disposta ad uscire, mia zia e io facemmo una passeggiatina fino al villino del dottore. S’era in autunno, e non v’erano le discussioni parlamentari ad amareggiarmi la dolcezza dell’aria della sera; e ricordo che le foglie che calpestavo odoravano come il nostro giardino di Blunderstone, e l’antica sensazione di tristezza sembrava che ritornasse sui sospiri del vento.

Giungemmo al villino con l’estremo crepuscolo. In quell’istante la signora Strong usciva nel giardino, dove il signor Dick s’era indugiato, con un coltello in mano, ad aiutare il giardiniere che piantava certi pioli. Il dottore aveva una visita nello studio; ma la signora Strong ci pregò d’attenderlo, ché sarebbe stato fra poco libero.

Entrammo nel salotto con lei, e ci sedemmo accanto alla finestra che s’abbuiava. Non si facevano cerimonie fra vicini e vecchi amici come eravamo noi.

Non eravamo lì che da qualche minuto, quando la si-1167

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gnora Markleham, che di solito trovava sempre da ridire su questo o su quello, entrò come una raffica, col giornale in mano, a dire, respirando a fatica:

– Buon Dio, Annie, perché non m’hai detto che c’e-ra gente nello studio?

– Mia cara mamma – ella rispose tranquillamente –

come potevo indovinare che lo volevi sapere?

– Che lo volevo sapere! – esclamò la signora Markleham, lasciandosi cadere sul divano. – Non ho avuto mai uno sconvolgimento simile in vita mia!

– Sei dunque entrata nello studio, mamma? – chiese Annie.

– Se sono entrata, mia cara! – ella rispose con energia. – Sì, che sono entrata. E ho sorpreso quel caro uomo... figuratevi la mia commozione, signora Trotwood e Davide... nell’atto di far testamento.

Sua figlia volse a un tratto la testa.

– Nell’atto, mia cara Annie – ripeté la signora Markleham, allargando il giornale sul suo grembo come una tovaglia, e battendolo con le mani – di dettare le sue ultime volontà. Che buon cuore e che previdenza! Ti debbo dire come ha fatto. Veramente debbo dirtelo, se non altro per far giustizia a quell’angelo. Forse sapete, signora Trotwood, che in questa casa non s’accende una candela, se prima uno non s’è cavato gli occhi, a furia di 1168

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