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tendo il capo – quando eravate in conversazione animata con la signorina Kitt.
Kitt, debbo osservare, era il nome della giovinetta vestita di rosa, dagli occhi piccoli.
– Benché veramente non sappia perché avreste dovuto curarvene – disse Dora – o perché poi dovreste chiamarla felicità. Naturalmente non lo dite sul serio. Certo nessuno ha il diritto di credere che voi non siate libero di far ciò che vi pare e piace. Jip, brutto animale, vieni qui!
Non so come la feci. Fu in un momento. Intercettai Jip, e m’ebbi Dora nelle braccia. Fui pieno d’eloquenza.
Non una parola m’impacciò. Le dissi come l’amavo. Le dissi che sarei morto senza di lei. Le dissi che la venera-vo e l’adoravo. E Jip nel frattempo abbaiava come un matto.
Quando Dora abbandonò su di me la testa, e pianse, e tremò, la mia eloquenza aumentò di fervore. Se avesse voluto che io fossi morto per lei, avrebbe dovuto soltanto dirlo, ché ero pronto. La vita senza l’amore di Dora non era una cosa che avesse valore. Non avrei potuto durarla, non volevo. Io l’avevo amata ogni momento, giorno e notte, dalla prima volta che l’avevo vista. Io l’amavo in quell’istante alla follia. L’avrei amata sempre, in ogni istante, alla follia. Innamorati avevano amato già, e innamorati avrebbero amato ancora; ma nessuno aveva potuto, poteva, vorrebbe, potrebbe amare 866
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come io amavo Dora. Più io farneticavo, più Jip abbaiava. Ciascuno di noi, a suo modo, diventava ogni momento più folle.
Bene, bene! Dora e io stavamo seduti sul divano, e Jip le giaceva in grembo, ammiccandomi con sguardo pacifico. Io non stavo più nella pelle. Ero in uno stato di perfetta felicità. Dora e io eravamo promessi.
Immagino che appena sapessimo vagamente che la faccenda doveva finire col matrimonio. Certo, perché Dora stabilì che non ci saremmo mai sposati senza il consenso di papà. Ma nella nostra estasi giovanile non credo che noi guardassimo minimamente innanzi o indietro; o che avessimo una diversa aspirazione fuor del presente ignaro. Dovevamo tener segreto il nostro impegno al signor Spenlow; ma non mi entrò mai in testa l’idea che questo non fosse perfettamente onesto.
La signorina Mills apparve più del solito pensosa quando Dora, andata a trovarla, la ricondusse con sé; – forse perché, immagino, ciò che era accaduto le ridestava gli echi assopiti nelle caverne della memoria. Ma ella ci im-partì la sua benedizione e l’assicurazione della sua sem-piterna amicizia, parlandoci in generale come conveniva alla voce d’una sepolta in un chiostro.
Che tempo beato! Che tempo etereo, felice e sciocco fu quello!
Quando misurai il dito di Dora per farle fare un anello 867
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composto di non ti scordar di me, e quando il gioielliere al quale portai la misura, indovinando di che si trattava, si mise a ridere trascrivendo il mio ordine e mi fece pagare tutto ciò che volle per il grazioso ninnolo con le pietruzze azzurre, il quale è così strettamente legato nel mio spirito alla mano di Dora, che ieri, quando ne vidi un altro simile al dito di mia figlia, ebbi un momentaneo sussulto in cuore, come di sofferenza...
Quando andavo in giro, esaltato dal mio segreto e pieno della mia importanza, e sentivo tanto la dignità d’amar Dora e d’esserne riamato, che se avessi camminato per aria, non avrei potuto sentirmi più al di sopra di tutti gl’infelici che strisciavano sulla terra...
Quando noi avevamo quei convegni nel giardino della piazzetta, e ci sentivamo così felici in quel polveroso padiglione, che ora amo i passeri di Londra per tale unica ragione, e veggo i colori dell’arcobaleno nelle loro penne affumicate...
Quando scoppiò il nostro primo grande dissenso (una settimana dopo il nostro fidanzamento), e quando Dora mi rimandò l’anello, avvolto in un bigliettino piegato ad angolo, nel quale usava la terribile espressione che «il nostro amore era cominciato con la follia e finiva con la demenza!» le quali tremende parole mi fecero strappare i capelli e gridare che tutto era finito...
Quando, nel manto della notte, io ricorsi dalla signorina 868
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Mills, che vidi furtivamente nel retrocucina ove era una macchina per il bucato, e supplicai la signorina Mills d’interporsi fra noi e salvarci da una pazzia...
Quando la signorina Mills acconsentì ad assumersi l’impresa, e ritornò con Dora, esortandoci, dal pergamo della sua amara giovinezza, a mutue concessioni, per sfuggire il deserto di Sahara...
Quando noi piangemmo, e ci riconciliammo, e fummo di nuovo così beati, che il retrocucina con la macchina del bucato e tutto, si mutò in un vero tempio d’amore, dove fu architettato un piano di corrispondenza per mezzo della signorina Mills, da comprendere almeno una lettera al giorno da una parte e dall’altra...
Che tempo beato! Che tempo etereo, sciocco, e felice!
Di tutti i miei tempi che il Tempo ha nelle sue branche, non ve n’è un altro che come quello mi faccia sorridere e m’intenerisca tanto.
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XXXIV.
UNA SORPRESA DI MIA ZIA
Scrissi ad Agnese, non appena io e Dora ci fummo promessi. Le scrissi una lettera nella quale mi sforzai di farle comprendere quanto io fossi felice e quanto Dora fosse bella e cara.
Supplicai Agnese di non considerar quella mia una futile passione, che potesse mai cedere il posto a un’altra, o che avesse la minima rassomiglianza coi capricci infantili intorno ai quali avevamo scherzato insieme in passato. Le assicurai che la sua profondità non si sarebbe potuta scandagliare, ed espressi la mia convinzione che non se n’era vista mai un’altra come quella.
Non so come, ma scrivendo ad Agnese, in una bella sera, accanto alla finestra aperta e con la visione dei suoi calmi e limpidi occhi e del suo sereno volto, sentii un’influenza così dolce calmare l’agitazione febbrile che mi occupava da qualche tempo, e della quale vibrava la mia stessa beatitudine, che mi misi a piangere. Ricordo che me ne stetti con la testa poggiata sulla mano, a metà della lettera, assorto a fantasticare su Agnese, come se ella fosse uno degli elementi naturali del mio tetto familiare; come se nel ritiro di casa mia, resa quasi 870
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sacra dalla sua presenza, Dora e io dovessimo essere più felici che altrove; come se nell’amore, nella gioia, nella tristezza, nella speranza o nella delusione, in tutte le commozioni, il mio cuore si volgesse naturalmente a lei come al suo più sicuro rifugio.