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mente interrotto alla prima sillaba di FUR-fante, senza arrivare alla seconda, infine non resse più, si trasse la riga dal petto (probabilmente con l’intenzione di servirsene come arma di difesa) e cavò di tasca un documento piegato in forma d’una grossa lettera. Aprì il foglio con un gesto drammatico, e guardandone il contenuto, come per ammirarne in anticipazione lo stile, cominciò a leggere come segue:

«Cara signora Trotwood e signori...

– Che Dio lo benedica! – esclamò mia zia sottovoce. –

Se dovesse chiedere la grazia della vita, scriverebbe una risma di lettere.

Il signor Micawber, che non l’aveva sentita, continuò:

«Nell’apparire innanzi a voi per denunciare il briccone più consumato che probabilmente sia mai esistito

– il signor Micawber, senza distogliere gli occhi dalla lettera, brandì la riga come il bastone di comando, verso Uriah Heep – non domando per me alcuna considerazione. Vittima, fin dalla culla, di obbligazioni pecuniarie alle quali non fui mai in grado di fare onore, sono stato sempre lo zimbello e il trastullo di vergognose circostanze. L’ignominia, il bisogno, la disperazione e la follia sono stati sempre, collettivamente o separatamen-te, miei compagni.

La delizia con cui il signor Micawber si descriveva pre-1334

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da di quelle orrende calamità non era eguagliata che dall’enfasi con cui leggeva la lettera, e dalla specie di omaggio che le rendeva, con un giro del capo, tutte le volte che s’imbatteva in una frase sufficientemente energica.

«Sotto un monte di ignominia, di bisogno, di disperazione, di follia entrai nello studio... o, come i Galli, vivaci nostri vicini, lo chiamerebbero, bureau della ditta nominalmente condotta sotto l’appellativo di Wickfield e...

Heep, ma, in realtà, diretta soltanto da Heep. Heep, soltanto Heep, è la molla principale di questa macchina.

Heep e soltanto Heep è il falsario e il truffatore».

Uriah, più azzurro che pallido a queste parole, balzò sulla lettera, come per farla a pezzi.

Il signor Micawber, con un atto di prodigiosa destrezza o fortuna, gli acchiappò le dita sotto la riga e gli rese in-valida la mano. Uriah piegò il polso, come se gli si fosse rotto, e il colpo risonò come sul legno.

– Il diavolo vi porti! – gridò Uriah, contorcendosi dal dolore. – Ce la vedremo.

– Avvicinatevi un’altra volta, Heep, cumulo d’infamia –

gridò il signor Micawber – e se la vostra testa è una testa d’uomo, ve la romperò. Su, avanti, avanti!

Credo che non avessi visto mai nulla di più ridicolo del signor Micawber che faceva il mulinello con la riga e gridava: «Su, avanti!», mentre Traddles e io lo spinge-1335

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vamo in un angolo, donde egli continuava a fare una sortita non appena eravamo riusciti a cacciarvelo.

Il suo nemico, mormorando fra i denti, dopo essersi stropicciato per qualche tempo la mano indolenzita, trasse il fazzoletto e ve l’avvolse, poi vi portò l’altra mano; e si sedette sulla tavola con la faccia scura fissa sul pavimento.

Il signor Micawber, calmatosi alquanto, continuò la lettura:

«Gli emolumenti mensili, in considerazione dei quali entrai in servizio di Heep – egli si fermava sempre innanzi a questo nome e lo pronunziava con straordinario vigore – non furono provvisoriamente fissati che a ven-tidue scellini e sei pence la settimana. Il resto doveva essere regolato dal valore del mio esercizio professionale; o in altre e più espressive parole, dalla viltà della mia natura, dalla cupidigia dei miei desideri, dalla povertà della mia famiglia, dalla generica morale (o piuttosto immorale) rassomiglianza fra me e... Heep. Ho bisogno di dire che tosto ebbi la necessità di sollecitare da...

Heep... degli anticipi pecuniari per il sostentamento della signora Micawber e della nostra sventurata ma crescente famiglia? Ho bisogno di dire che questa necessità era stata calcolata da... Heep? Che quegli anticipi erano garantiti da cambiali e altre simili obbligazioni, ricono-sciute dalle istituzioni legali del nostro paese? E che così io venni acchiappato nella rete tessuta a bella posta 1336

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per me?».

La soddisfazione del signor Micawber per la sua potenza epistolare nel descrivere questo doloroso stato di cose sembrava lo sollevasse realmente da qualunque affanno e da qualunque ambascia della realtà. Egli continuò a leggere:

«Allora fu che... Heep... cominciò ad accordarmi appunto quel tanto di confidenza necessario al trionfo dei suoi disegni infernali. Allora fu che io cominciai, se posso così shakespearianamente esprimermi, a languire, a de-perire, ad appassire. Vidi che i miei servigi erano continuamente richiesti per la falsificazione degli affari e la mistificazione di un individuo che designerò come il signor W...; che il signor W. era ingannato, tenuto all’oscuro e abbindolato in ogni possibile maniera; pure, in questo frattempo, quel briccone di... Heep... professava la sua illimitata gratitudine, la sua illimitata amicizia per quel maltrattatissimo signore. Questo era già male; ma come il principe filosofo di Danimarca osserva, con quell’universale applicabilità che distingue l’illustre ornamento dell’era elisabettiana, doveva ancora venire il peggio!».

Il signor Micawber si mostrò così compiaciuto di quella sentenza così calzante, che col pretesto d’aver perso il segno, volle servircela una seconda volta.

«Non è mia intenzione – lesse, continuando – di entrare 1337

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in una lista particolareggiata, nell’ambito della presente epistola (ma la lista è già bella e pronta in un foglio separato), delle varie cattive azioni di minore importanza in pregiudizio della persona che ho già designato come il signor W., nelle quali io sono stato un complice tacitamente consenziente. Il mio scopo, quando cessò in me la lotta fra l’avere e il perdere lo stipendio, fra l’avere e il non avere da pagare il fornaio, fra l’esistere e il non esistere, fu di profittare del posto che occupavo per scoprire e denunciare le maggiori cattive azioni, le frodi e i più gravi torti commessi in danno di quel gentiluomo...

da ... Heep. Spronato dal tacito consigliere intimo, e da un non meno commovente consigliere esterno... che io designerò brevemente come la signorina W..., mi dedicai a un faticoso compito di clandestina investigazione, protratta, con quanto ho potuto di sagacia, applicazione e buona fede, per un periodo superiore a dodici mesi del calendario».

Egli lesse questo brano, come se fosse un atto parlamentare: e apparve straordinariamente consolato dal suono delle parole.

«Le mie accuse contro... Heep – egli continuò, dandogli un’occhiata, e mettendo la riga in un’adatta posizione sotto l’ascella sinistra, nel caso gli fosse dovuta occorrere – sono le seguenti».

Noi ascoltavamo, credo, trattenendo il respiro; certo Uriah tratteneva il suo.

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«Primo – lesse il signor Micawber. – Quando le facoltà e la memoria del signor W. per gli affari divennero, per cause che non è necessario né spetta a me indagare, deboli e confuse... Heep... deliberatamente imbrogliò e complicò tutti gli affari dello studio. Quando il signor W. era meno adatto a trattar d’affari... Heep gli era addosso per costringerlo a trattarli. Egli in simili circostanze fece firmare al signor W. documenti di grande importanza, rappresentandoli come se non avessero importanza alcuna. Indusse il signor W. ad autorizzarlo a preleva-re una certa somma da un deposito bancario ammontan-te a dodicimila seicentoquattordici sterline, due scellini e sei pence, e la impiegò a saldare delle spese immaginarie dello studio e debiti che erano già stati saldati o che non erano mai esistiti. A questa manovra egli diede in tutto e per tutto l’apparenza che fosse stata disonestamente voluta e compiuta dal signor W.; e da quel momento ne ha approfittato per torturarlo e dominarlo».

– Dovete provarlo, Copperfield! – disse Uriah, scotendo il capo con piglio minaccioso. – Vedremo!

– Chiedete a... Heep... signor Traddles, chi andò ad abitare in casa sua dopo di lui – disse il signor Micawber, staccandosi dalla lettera: – chiedeteglielo!

– Lo stesso imbecille che ci abita ancora – disse Uriah sdegnosamente.

– Chiedete a... Heep... se mai egli tenne un taccuino in 1339

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quella casa – disse il signor Micawber: – chiedeteglielo!

Vidi la mano di Uriah involontariamente cessare di grattarsi il mento.

– O chiedetegli – disse il signor Micawber – se non ne ha bruciato mai uno in quella casa. Se dice di sì, e vi domanda dove sono le ceneri, che si rivolga al signor Micawber, dal quale apprenderà delle cose poco piacevoli.

Il gesto trionfale col quale il signor Micawber pronunziò queste parole ebbe un grande effetto sulla madre, che gridò agitata e impaurita:

– Uriah, Uriah! Sii umile, e cerca d’accomodar le cose, caro.

Are sens