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– Ma egli non ha più cura di sé – disse il pescatore Peggotty a voce bassa e solenne: – non cura più la sua vita, signorino Davy. Tutte le volte ch’è necessario qualcuno che affronti un pericolo in mare, c’è lui. Quando c’è qualche cosa di rischioso da intraprendere, è lui che si presenta prima. E pure è dolce come un fanciullo. Non v’è ragazzo a Yarmouth che non lo conosca e non gli voglia bene.

Penosamente raccolse le lettere, lisciandole con le dita; e le riunì in un pacchetto che si mise di nuovo teneramente in petto. Il viso era sparito dalla porta: vidi la neve entrarvi; ma non c’era altro.

– Bene! – egli disse, guardando il suo fardello. – Aven-dovi veduto stasera, signorino Davy (e m’ha fatto tanto bene!), andrò via presto, domani mattina. Voi avete veduto ciò che ho qui – e mise la mano dove stava il pacchetto: – quello che mi turba è il pensiero che mi potrebbe accader qualche disgrazia, prima d’aver restituito questo denaro. Se dovessi morire, e andasse perduto, o 1047

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rubato, o altrimenti disperso, e che egli potesse credere che io me lo fossi tenuto, credo che l’altro mondo non mi potrebbe trattenere. Credo che ritornerei.

Si levò, e mi levai anch’io; ci stringemmo di nuovo la mano prima di uscire.

– Farei diecimila miglia – egli disse – camminerei finché cadessi morto, per gettargli questo denaro ai piedi.

Se posso far questo, m’auguro soltanto ch’ella qualche giorno venga a sapere che il suo caro zio cessò d’andare in cerca di lei soltanto quando cessò di vivere; e anche questo, se ben la conosco, la farà finalmente tornare a casa.

Come egli uscì nella notte rigida, vidi fuggire innanzi a noi la solitaria apparizione. Mi voltai con un pretesto, e lo tenni in conversazione finché quella non si fosse dileguata.

Egli mi parlò d’un albergo sulla strada di Dover, dove avrebbe avuto una semplice ma pulita cameretta per la notte. Lo accompagnai fin sul ponte di Westminster, e mi separai da lui sulla sponda di Surrey. Sembrava alla mia fantasia che ogni cosa intorno tacesse per rispetto di lui, mentre egli riprendeva il suo viaggio solitario attraverso la neve.

Tornai nella corte dell’albergo, e, invaso dal ricordo del viso che vi avevo veduto, lo cercai ansiosamente d’intorno. Non c’era. La neve aveva coperto le nostre ultime 1048

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orme; non si vedevan più che quelle impresse allora allora da me; e anch’esse cominciavan a cancellarsi (nevicava così fitto!) nell’istante stesso che mi voltavo a guardare.

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XLI.

LE ZIE DI DORA

Finalmente, ebbi una risposta dalle due vecchie signorine. Esse mandavano i loro saluti al signor Copperfield, e lo informavano d’aver letto attentamente la sua lettera «tenendo di mira la felicità delle due parti» – frase che mi sembrò poco rassicurante, non, solo per l’uso da esse fattone relativamente alle discrepanze familiari già ricordate, ma perché avevo (ed ho in tutta la vita) osservato che i termini convenzionali sono una specie di razzi , i quali, facilmente accesi, assumono alla fine una gran varietà di forme e di colori che non s’immaginava-no al primo scoppio. Le signorine Spenlow aggiungevano di credere di non poter esprimere, «per iscritto», una opinione rispettivamente alla comunicazione del signor Copperfield; ma che se il signor Copperfield (accompagnato, se credeva opportuno, da un amico di fiducia) avesse voluto onorarle d’una visita, in un dato giorno, esse sarebbero state felici d’intrattenerlo sull’argomento.

A questa lettera, il signor Copperfield rispose immediatamente, coi suoi rispettosi ossequi, che egli avrebbe avuto l’onore di fare una visita alle signorine Spenlow, 1050

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nel giorno fissato; accompagnato, in conformità del loro gentile permesso, dal suo amico Tommaso Traddles dell’ Inner Court. Spedita questa missiva, il signor Copperfield cadde in uno stato di profonda agitazione nervosa, che durò fino al giorno dell’appuntamento.

Il fatto di esser privato, in quella crisi feconda di eventi, degl’inestimabili servigi della signorina Mills aumentò grandemente la mia ansietà. Ma il signor Mills, che faceva sempre qualche cosa per darmi noia – mi sembrava almeno che fosse così; il che per me era lo stesso – era arrivato alla peggiore estremità, mettendosi in testa di partire per le Indie. Perché andare in India, sé non per farmi dispetto? Certo non aveva nulla a che fare con qualsiasi altra parte del mondo, e molto con quella invece, perché con le Indie aveva avviato tutto il suo commercio, qualunque si fosse (avevo delle nozioni vaghe, sul soggetto, di scialli d’oro e di denti d’elefante); perché era stato a Calcutta nella sua giovinezza, e si proponeva di andarvi di bel nuovo, nella qualità di socio residente della sua ditta. Ma questo a me non importava. Il fatto sta che importava a lui, che si preparava a partire per le Indie e a condur Giulia con sé; e Giulia era in viaggio per andare a salutare i suoi parenti; e la casa era ornata d’una bella serie di cartelli che annunciavano che era da appigionare o da vendere, e che i mobili (con la macchina del bucato e il resto) si vendevano al miglior offerente. Ecco dunque un altro terremoto di cui io, prima d’essermi riavuto dall’urto di quello che lo aveva 1051

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preceduto, diventavo la vittima disgraziata.

Ero incerto sulla maniera di vestirmi in quel giorno solenne, diviso com’ero fra il desiderio d’apparire più che potessi elegante e il timore d’indossar cosa che potesse diminuire in qualche modo la mia serietà agli occhi delle signorine Spenlow. Mi sforzai di trovare il giusto mezzo fra questi due estremi; mia zia approvò il risultato; e il signor Dick gettò una scarpa in aria dietro Traddles e me, per augurio, mentre scendevamo le scale.

Nonostante tutta la mia stima per le eccellenti qualità di Traddles, e nonostante tutto l’affetto che sentivo per lui, avrei voluto, in quella delicata particolare occasione, ch’egli non avesse contratto l’abitudine di pettinarsi i capelli a foggia di spazzola. Questo gli dava un’aria in-tontita – per non dire l’aria d’una granata per la cenere –

che non mi presagiva nulla di buono.

Mentre s’andava verso Putney, mi presi la libertà di dirglielo, e di consigliarlo d’appiattirsi un po’ i capelli...

Mio caro Copperfield – disse Traddles, levandosi il cappello, e lisciandosi i capelli in tutti i sensi: – sarei felicissimo d’accontentarti. Ma non c’è verso di farli star giù.

– Non l’è possibile di portarli più lisci?

– No – disse Traddles: – è addirittura impossibile. Se portassi fino a Putney mezzo quintale in testa, l’istante dopo che mi fossi liberato da quel peso, si rizzerebbero 1052

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di nuovo. Tu non immagini che capigliatura ostinata sia la mia. Sono assolutamente un istrice furioso.

Ero un po’ deluso, debbo confessarlo, ma veramente incantato della sua dolcezza. Gli dissi quanto mi piacesse la bontà del suo carattere; e osservai che tutta la sua ostinazione s’era rifugiata nella capigliatura, perché in lui non ce n’era ombra.

– Oh! – rispose Traddles, ridendo. – La mia disgraziata capigliatura ha una storia. La moglie di mio zio non poteva sopportarla, e diceva che la irritava. E in principio mi nocque anche quando m’innamorai di Sofia. Mi nocque molto!

– Perché? Non le piaceva?

– Non a lei – soggiunse Traddles – ma alla sorella maggiore, la bella della famiglia, che ne rideva, lo so. E veramente tutte le sorelle ne ridono.

– Una cosa molto piacevole!

– Sì – rispose Traddles con perfetta innocenza: – è una cosa che ci diverte tutti. Esse dicono che Sofia ha una ciocca dei miei capelli nel suo cassetto, e che è obbligata, per tenerla appiattita, a chiuderla in un libro coi fermagli. E ridono.

– A proposito, mio caro Traddles – dissi – la tua esperienza può guidarmi. Quando tu ti sei fidanzato con la signorina di cui m’hai parlato, hai fatto una proposta 1053

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