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Non dovei aspettare a lungo, perché al primo rintocco della mezz’ora, lo sbirciai in istrada.

– Eccolo! – dissi – e senza l’abito nero.

Mia zia si legò i nastri del cappellino (era venuta a colazione col cappellino), e indossò lo scialle, come per prepararsi a qualche cosa di forte e di decisivo. Traddles si abbottonò con aria risoluta. Il signor Dick, turbato da questi formidabili preparativi, ma sentendo necessario di imitarli, si tirò il cappello, con ambe le mani, più che gli fu possibile, sulle orecchie; e immediatamente se lo ritolse per salutare il signor Micawber.

– Signori e signora – disse il signor Micawber –

buongiorno! Mio caro signore – al signor Dick, che gli 1322

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dava una vigorosa stretta di mano – voi siete sommamente gentile.

– Avete fatto colazione? – disse il signor Dick. – Ac-cettereste una costoletta?

– Neanche per sogno, mio buon signore! – esclamò il signor Micawber, impedendogli di sonare. – L’appetito e io, signor Dixon, siamo da lungo tempo nemici.

Il signor Dixon si compiacque tanto del suo nuovo nome, e vide un tratto di tanta generosità nel signor Micawber che glielo conferiva, che gli strinse di nuovo la mano, ridendo come un bambino.

– Dick – disse mia zia – attenzione! Il signor Dick ridi-ventò serio, arrossendo.

– Ora, signore – disse mia zia al signor Micawber, mettendosi i guanti – siamo pronti a partire per il Vesuvio o per dovunque vi piacerà.

– Signora – rispose il signor Micawber – io ho la speranza, infatti, di farvi assistere fra poco a un’eruzione.

Signor Traddles, io ho il vostro permesso, credo, di ricordare qui che noi siamo stati in comunicazione insieme.

– È un fatto indiscutibile, Copperfield – disse Traddles, al quale io diedi un’occhiata di sorpresa. – Il signor Micawber mi ha consultato su ciò che contava di fare; e io l’ho consigliato nel modo che m’è parso più opportuno.

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– Se non m’inganno, signor Traddles – continuò il signor Micawber, – ciò che conto di fare è una rivelazione molto importante.

– Sommamente importante – disse Traddles.

– Forse in tali circostanze, signori e signora – disse il signor Micawber – voi mi farete il favore di farvi guidare, per il momento, da uno, che, comunque indegno di esser considerato diversamente di un relitto sulla sponda dell’umana natura, e per quanto sfigurato nella sua forma originale da errori individuali e dalla forza cumulativa di un concorso di circostanze, è pur sempre un vostro simile.

– Noi abbiamo un’assoluta fiducia in voi, signor Micawber – dissi – e faremo ciò che vi piace.

– Signor Copperfield – rispose il signor Micawber – la vostra fiducia non è, nelle presenti circostanze, mal collocata. Io vi prego di accordarmi di potervi precedere per soli cinque minuti d’orologio, e poi di ricevere la presente compagnia, che chiederà della signorina Wickfield, nello studio di Wickfield e Heep, dove sono impiegato.

Mia zia e io guardammo Traddles, che fece un cenno di approvazione.

– Per ora non ho più nulla da dire – osservò il signor Micawber.

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E così dicendo, con mia grande meraviglia, ci comprese tutti in un inchino generale e scomparve. L’avevo visto colmo d’uno straordinario sussiego e col viso pallidissimo.

Traddles sorrise soltanto e scosse il capo (coi capelli irti sul cranio), quando lo guardai chiedendogli una spiegazione; così, come ultimo espediente, cavai di tasca l’orologio per contare i cinque minuti. Mia zia fece lo stesso. Spirato quel termine, Traddles le diede il braccio; e ci avviammo tutti insieme a casa di Wickfield, senza dire una parola durante il cammino.

Trovammo il signor Micawber seduto alla sua scrivania, nella stanza rotonda a pianterreno, e occupato attivamente, o fingendo d’essere occupato, a scrivere. Aveva la grossa riga dello studio ficcata nella sottoveste, e non l’aveva così ben nascosta che non si vedesse uscirne fuori per più d’un palmo, come una gala di nuovo genere.

Siccome mi sembrò che dovessi parlar io, dissi ad alta voce:

– Come state, signor Micawber?

– Signor Copperfield – disse il signor Micawber, gravemente – spero che voi stiate bene.

– È in casa la signorina Wickfield? – dissi.

– Il signor Wickfield sta a letto, signore, con una febbre 1325

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reumatica – egli rispose – ma la signorina Wickfield sarà felicissima, non ne dubito, di rivedere i suoi vecchi amici. Favorite.

Egli ci precedette nella sala da pranzo – la prima stanza da me veduta in quella casa – e spalancando la porta di quella che aveva servito da studio del signor Wickfield, disse, con voce sonora:

– La signora Trotwood, il signor Davide Copperfield, il signor Tommaso Traddles e il signor Dixon.

Non avevo veduto più Uriah Heep dal giorno in cui gli avevo dato uno schiaffo. La nostra visita lo sorprese, evidentemente, forse anche perché sorprendeva noi stessi. Egli non raccolse le sopracciglia, perché non ne aveva da raccogliere, ma raggrinzò la fronte quasi in maniera da chiudere i piccoli occhi, mentre si portava la mano cartilaginosa al mento con un gesto d’ansia e di stupore.

Questo, solo nell’istante del nostro ingresso, e nell’istante che potei dargli un’occhiata di sulla spalla di mia zia. L’istante appresso, egli era più servile e più umile che mai.

– Ah, siete voi! – egli disse. – È veramente un piacere inatteso aver tanti amici intorno in una volta sola! Signor Copperfield, spero che stiate bene, e... se posso umilmente esprimermi così... siate benevolo verso quelli che si dimostrarono sempre vostri amici, in tutte le occasioni. La signora Copperfield, spero, sta meglio. Ci è 1326

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dispiaciuto tanto, vi assicuro, sentire ultimamente che non stava bene.

Mi sentivo vergognoso di lasciarmi stringere la mano; ma d’altra parte, come fare? – Le cose sono mutate in questo studio, signora Trotwood, dal tempo in cui ero un modesto impiegato, e reggevo fuori la porta il vostro cavallino, non è vero? – disse Uriah, con un sorriso miserabile – ma io non sono mutato, signora Trotwood.

– Bene, signore – rispose mia zia: – a dirvi la verità, mi pare che abbiate mantenuto le promesse della vostra giovinezza, se questo vi fa piacere.

– Grazie, signora Trotwood, per la vostra buona opinione – disse Uriah, con una ignobile contorsione. – Micawber, avvertite la signorina Agnese e mia madre. La mamma sarà veramente orgogliosa, quando vedrà tutti questi amici – disse Uriah, prendendo le sedie.

– Non siete occupato, signor Heep? – disse Traddles, che aveva per caso sorpreso l’occhio rosso del volpone, che ci esaminava a uno a uno senza averne l’aria.

– No, signor Traddles – rispose Uriah, riprendendo il suo posto e premendosi le mani ossute, palma contro palma, fra le ginocchia parimenti ossute. – Non tanto come vorrei. Ma avvocati, pescecani e sanguisughe, lo sapete, non sono mai sazi. Non che io e il signor Micawber non abbiamo le mani sempre piene, giacché il signor Wickfield non può più occuparsi di niente. Ma per 1327

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noi è un piacere e un dovere lavorare per lui. Voi non siete abbastanza intimo col signor Wickfield, signor Traddles. Credo, anzi, che non l’abbiate visto che una volta sola.

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